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Pubblicato in Altri diritti

La questione carceraria: criticità e prospettive

by Avv. Vincenzo Comi on12 Novembre 2015

Le condizioni delle carceri sono la rappresentazione del livello di sviluppo sociale di un Paese.

In Italia siamo di fronte ad una “questione carceraria scottante, da affrontare in tempi stretti nei suoi termini specifici e nella sua più complessa valenza”. Così l’ha definita il presidente della Repubblica Napolitano nel suo messaggio del 7 ottobre 2013. Da allora si è innestato un percorso finalizzato a ridurre il sovraffollamento negli istituti, si è attuata la prescrizione imposta dalla CEDU nella Sentenza Torreggiani di indennizzo ai detenuti sottoposto a trattamenti inumani e degradanti e si è messa in cantiere una legge di riforma dell’Ordinamento penitenziario. Il ministro della Giustizia Orlando haavviato gli Stati Generali dell’esecuzione penale: sei mesi di confronto tra esperti impegnati in 18 tavoli e coordinati dal prof. Glauco Giostra, per definire un nuovo modello di esecuzione penale e una migliore fisionomia del carcere, “dignitosa per chi vi lavora e per chi vi è ristretto”.

La politica fino ad oggi ha rinunciato ad affrontare concretamente il problema del sovraffollamento carcerario e delle relative condizioni dei detenuti, nonostante numerose sollecitazioni e denunce quotidiane. Salvo lo storico impegno del partito radicale, abbiamo assistito costantemente a sterili petizioni di principio, tatticismi e strumentalizzazioni, mentre sono anni che si attendono riforme e misure strutturali risolutive.

E’ triste, ma sui diritti fondamentali, in particolare, la politica non progetta ma insegue la cronaca e l’opinione pubblica, facendosi oramai scavalcare dalle decisioni dei giudici. Purtroppo le attese non modificano le condizioni di vita dei detenuti che peggiorano di giorno in giorno. La situazione è aggravata dalla crisi generale della giustizia e dal mal funzionamento dei tribunali di Sorveglianza, ridotti all’osso per mancanza di magistrati e di personale.

E’ facile documentarsi sulle situazioni di degrado  e di violazione della dignità e della personalità dei carcerati. Numerose associazioni di volontari testimoniano il fenomeno attraverso la diffusione di bollettini drammatici. Visite in carcere, rapporti, convegni di studi e ricerche sono la dimostrazione di un impegno e di buone intenzioni di molti esponenti della società civile, frustrate dalla stagnazione legislativa. L’Unione delle Camere Penali Italiane, l’associazione che rappresenta gli avvocati penalisti, ha istituito un osservatorio nazionale sul carcere ed ha pubblicato sin dal 2013 un volume di forte denuncia sociale dal titolo “Prigioni d’Italia, la difesa degli ultimi”, interessante per le testimonianze raccolte. Oggi il responsabile dell’Osservatorio coordina uno dei tavoli degli Stati Generali dell’esecuzione. Far conoscere e denunciare questo mondo sconosciuto ai più e spesso volontariamente trascurato è un dovere sociale per tutti e per gli avvocati, naturali garanti dei diritti fondamentali dei cittadini. Come diceva Calamandrei in tema di carcere, “prima di parlare bisogna aver visto”, perché solo così si abbattono le barriere di conoscenza e si acquisisce la consapevolezza della drammaticità del fenomeno: così si allontanano le paure e si costruisce il futuro di uno Stato di Diritto.

Tante storie di detenuti a cui sono stati calpestati i diritti più basilari, quelli che oramai anche grazie alle Carte Internazionali, sono catalogabili tra i diritti fondamentali dell’individuo. A titolo di esempio: individuo ristretto nel carcere di Civitavecchia in attesa di giudizio, vissuto per circa un anno in una cella di nove metri quadri insieme ad altre tre persone, senza acqua potabile, con solo due metri di spazio vitale. Nell’intera sezione dell’istituto erano ristretti circa 75 persone ed avevano a disposizione solo tre docce per lavarsi e vi potevano accedere solo in alcune ore della giornata.

Sono oggi troppi i detenuti che si trovano nelle stesse condizioni del caso di Civitavecchia.

Cesare Beccaria ripeteva che non esiste uno stato di diritto ogni volta che una legge permette che “in alcuni eventi, l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa”. Cardine del nostro sistema è la concezione della pena legata indissolubilmente alla rieducazione del condannato: non basta studiare il principio all’università, dovrebbe far parte del bagaglio culturale di ogni cittadino.

In Italia esiste sulla carta un modello di diritto penitenziario, frutto di una profonda e radicale evoluzione  del sistema previgente e approdato nella legge numero 354 del 1975, che contiene all’articolo 1 il seguente principio: “il trattamento dei detenuti deve essere improntato alla tutela della dignità e della personalità del condannato”. In sostanza un sistema che abbandona il vecchio principio di soggezione del condannato all’autorità del carcere, per tratteggiare  un modello costituzionalmente orientato. L’obiettivo è il reinserimento sociale del condannato, attraverso un percorso di osservazione scientifica della personalità e l’ammissione alle misure alternative alla detenzione. Siamo anni luce più avanti rispetto alle leggi che regolamentavano le Case di pena del Regno del 1862 (detenuti con obbligo di silenzio, catene al piede, ferri ai polsi e celle oscure), epoca in cui il carcere era solo un luogo di afflizione necessario a punire il reo. E’ curioso e triste che ancora oggi nella società sovente serpeggi la stessa concezione di allora.

Quando il numero dei reclusi supera abbondantemente il limite dei posti previsti negli istituti, la detenzione diventa una violazione dei diritti fondamentali e la pretesa punitiva dello Stato deve trovare una soluzione diversa, cedendo anche a pene alternative per reati di modesta gravità o aprendo la strada a nuove modalità esecutive della pena. Oggi grazie agli interventi eccezionali degli ultimi due anni il numero dei detenuti è diminuito fino a 52 mila circa nel mese di ottobre 2015. Ma la situazione attuale delle carceri è “indegna” e le condanne della Corte Europea  nei confronti dell’Italia per violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea (divieto di trattamento inumano e degradante), confermano l’esistenza di una “scottante questione carceri” che non è la conseguenza di episodi isolati, ma un problema sistemico (la corte di Strasburgo nella sentenza Torreggiani e altri contro Italia – 8 gennaio 2013, ha ordinato alle autorità nazionali di approntare nel termine di un anno le misure necessarie che garantiscano realmente una riparazione effettiva delle violazioni dei diritti fondamentali che scaturiscono dal sovraffollamento carcerario).

Dagli ultimi dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (D.A.P.) del Ministero della Giustizia, alla data del 15 ottobre 2015 il numero dei detenuti era pari a 52434 mentre la capienza regolamentare era di 49.640. Sarà essenziale aumentare i posti negli istituti penitenziari con interventi di edilizia carceraria e rivisitare il sistema penale vigente, nonché approvare la nuova legge che rafforzi l’applicazione delle misure alternative dell’affidamento in prova ai servizi sociali e della detenzione domiciliare.

Ma oggi lo Stato deve ristabilire la legalità negli istituti di pena e far ripartire un sistema penale impantanato, nonostante gli sforzi di tutti gli operatori (oggi è assicurato un giusto processo in un tempo ragionevole?), anche attraverso rimedi straordinari di natura clemenziale immediatamente attuabili per interrompere le violazioni dei diritti umani dei detenuti. E’ chiaro che i provvedimenti di clemenza sono strumenti eccezionali adottabili per far fronte ad una situazione di grave emergenza e devono rappresentare il primo momento di un progetto di riforma più generale che preveda interventi sul settore della giustizia penale, un ricorso maggiore alle misure alternative alla detenzione in fase di esecuzione (affidamento in prova ai servizi sociali e detenzione domiciliare) e un serio e attuabile piano carceri. Inoltre la risocializzazione del condannato passa attraverso lo sviluppo del lavoro carcerario e delle attività di volontariato o di studio e il coinvolgimento della famiglia dei reclusi con idonei sostegni.

Intanto oggi è ancora in discussione la proposta di legge risalente al 4 novembre 2013, tesa a garantire il diritto all’affettività in carcere, dalla sessualità all’amicizia e al rapporto familiare.

Ultima modifica il 12 Novembre 2015