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Pubblicato in Altri diritti

SPECIALI QUESTIONI DI NATURA CIVILISTICA E PENALISTICA NELL’ AMBITO DELLA “RESPONSABILITÀ 231”

by Dott. Dario Curti e dott. Pasquale Manili on07 Maggio 2016

Il D.Lgs. n. 231/2001 ha rappresentato, sin dalla sua emanazione, l’“opera giuridica” di riferimento assoluto nell’ambito della gestione dell’ente

e delle annesse imputabilità amministrative, per lo stesso, nonché penali, a cario dei soggetti di cui al relativo art. 5, con inevitabili riflessi di natura civilistica.

In tale contesto, questione di particolare attualità risulta essere, in primo luogo, l’ammissibilità o meno della costituzione di parte civile nel procedimento per “responsabilità 231”, particolarmente dibattuta da dottrina[1]e giurisprudenza. All’interno della tematica oggetto di disamina, convogliano strumenti di tutela di natura civilistica, che trovano applicazione nel processo penale, profili di cui al D.Lgs. n. 231/2001 decisivi nell’inquadramento della vicenda analizzata ed, infine, l’orientamento comunitario prevalente, interposto ai primi due profili. Il risultato definivo che né deriva risulta orientato in un’ottica di generi per speciem derogatur, ed, in ogni caso, garantisce la sussistenza degli strumenti necessari per la difesa degli interessi e diritti del danneggiato[2], sia pur generando alcune problematiche.

Il presupposto iniziale risiede nella posizione debitoria in cui versa l’autore del danno, a carico del quale la legge pone l’obbligo “alle restituzioni, a norma delle leggi civili” (art. 185 c.p.). Nel contempo, il danneggiato gode della legittimazione all’azione di risarcimento, in parola, all’interno del processo penale, nel rispetto delle formalità di cui all’art. 78 c.p. e delle tempistiche ex art. 79 c.p. . Tale facoltà (art. 74 c.p.), in particolare, assume concretezza e piena manifestazione attraverso la citazione del responsabile civile, così come previsto a norma dell’art. 83 c.p. . Questo il quadro generico.

La tematica assume sostanziosa rilevanza quando, però, a quest’ultimo si inseriscono alcune importanti considerazioni oggetto di accesso dibattito[3]in sede dottrinale e giurisprudenziale. In particolare, la discussione risulta incentrata su due aspetti essenziali: 1) la discontinuità tra la facoltà ex art. 83 c.p.p., avente carattere generico, riconosciuta alla parte civilmente lesa e l’esclusione, per quest’ultima, di cui al D.L.gs. n. 231/2001, della possibilità di costituirsi nel “giudizio 231” contro l’ente in qualità di parte civile; 2) tale profilo di evidente contraddittorietà deve essere misurato anche in ragione della normativa europea inerente la vittima del reato.

A disamina del primo aspetto appare senz’altro utile ricordare che, in merito, gli ermellini, con la nota sentenza n. 2251/2011, hanno ritenuto il rapporto tra l’istituto della costituzione di parte civile ed il processo contro gli enti, nell’ambito della “responsabilità 231”, sorretto da un carattere di palese incompatibilità. Ciò, ricordando, allo stesso tempo, che la tutela dei diritti e degli interessi facenti capo alla parte lesa risulta garantita sia dalla possibile instaurazione di un apposito giudizio civile a rivalsa del ristoro preteso sia dall’esercizio della facoltà ex art. 83 c.p.p., quando il soggetto passivo risulti parte civile in occasione del giudizio imperniato sulla responsabilità penale dell’intraneus (ovviamente il reato deve essere stato commesso nell’interesse della persona giuridica) il che ha luogo, di consueto, nello stesso processo in cui si accerta anche la responsabilità amministrativa dell’ente.

Per quanto concerne, invece, il secondo profilo quest’ultimo risulta essere stato già oggetto di disamina da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea[4]la quale, in disaccordo con un precedente indirizzo comunitario[5], ha ritenuto di escludere, in senso categorico, ogni conflitto tra la disciplina contenuta nel succitato decreto e la normativa europea in tema di tutela degli interessi e diritti della vittima del reato e della relativa facoltà di servirsi della via giudiziale ai fini della difesa dei medesimi. Invero, i giudici comunitari hanno osservato la sussistenza di adeguati strumenti di tutela predisposti dall’ordinamento interno a favore della parte lesa, in ordine ai reati di cui al D.Lgs. n. 231/2001, compiuti dai soggetti indicati all’art. 5 di quest’ultimo (apicali e non dell’ente responsabile).

L’osservazione che può ritenersi conclusiva, sia pur critica, in merito alle soluzioni prospettate, in ragione dei due distinti aspetti esaminati, dai quali segue il medesimo risultato è la seguente: sulle orme delle deduzioni di una condivisibile dottrina[6], si può considerare che “in relazione alle conseguenze ‘sostanziali’ della declatoria dell’inammissibilità della costituzione di parte civile, alle obiezioni  che possono muoversi ad una soluzione che ‘costringe’ il danneggiato ad agire in altra sede privandolo di una sedes ove il giudice conosce direttamente e con cognizione piena del fatto-reato che costituisce il presupposto da cui deriva la responsabilità dell’ente, si contrappongono altrettanto ragionevoli esigenze di assicurare la ragionevole durata del processo penale, in ipotesi compromessa a causa di accertamenti di particolare complessità, quali quelli volti a verificare l’esistenza di un nesso causale tra la condotta illecita dell’ente e la sfera giuridica del danneggiato del reato”[7].

Alla tematica della costituzione di parte civile nell'ambito della disciplina ex D.Lgs. n. 231/2001, si alterna altra questione, questa volta di naturapenalistica, sempre di particolare interesse, legata alla normativa, in parola, ed inerente il collegamento che “deve” sussistere tra il reato presupposto posto in essere dal soggetto persona fisica e la responsabilità dell'ente.

L'art. 5 del decreto legislativo indica come collegamento, ai fini della sussistenza della responsabilità dell'ente, che il reato presupposto sia stato commesso nell'interesse o a vantaggio dello stesso, precisando al secondo comma che l'ente non risponde se le persone indicate nel comma primo hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. Su tale concetti, quindi, risulta doveroso concentrare la nostra attenzione. Quale portata attribuire ai suddetti concetti di “interesse” e “vantaggio”, rappresenta l'ago della bilancia per l'esistenza o meno della responsabilità ex 231 dell'ente.

    Già la relazione ministeriale al D.Lgs. n. 231/2001 esaminava il punto e riconosceva al richiamo di interesse carattere soggettivo, che si accontenta di una verifica ex ante, viceversa, al vantaggio un carattere oggettivo, con una necessario verifica ex post[8]. Sul punto non è mancata di pronunciarsi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha provato a dirimere i dubbi interpretativi che sono sorti fin dall'intervento legislativo nel 2001. Da ultimo la Suprema Corte di Cassazione, con una recente decisione ha affrontato la questione e si è concentrata sui suddetti concetti di interesse e vantaggio.

Con la sentenza n. 25912/2015 la seconda sezione della Corte di Cassazione, ha riaffermato e precisato quanto già indicato nella relazione ministeriale, sottolineando come la sussistenza di un interesse dell’ente all’illecito penale commesso “esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, avendo dunque riguardo allo scopo per il quale veniva realizzato il reato.

Nel proprio ragionamento gli ermellini arrivano a caratterizzare il concetto di interesse, storicamente legato ad una caratterizzazione prettamente soggettiva, di evidenti connotazioni oggettive. “In altri termini linteresse dellautore del reato può coincidere con quello dellente (rectius: la volontà dellagente può essere quella di conseguire linteresse dellente), ma la responsabilità dello stesso sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, lagente obiettivamente realizzi (rectius : la sua condotta illecita appaia ex ante in grado di realizzare, giacché rimane irrilevante che lo stesso effettivamente venga conseguito) anche quello dellente. In definitiva, perché possa ascriversi allente la responsabilità per il reato, è sufficiente che la condotta dellautore di questultimo tenda oggettivamente e concretamente a realizzare, nella prospettiva del soggetto collettivo, anche linteresse del medesimo”

Per ciò che concerne il concetto di vantaggio la stessa Cassazione ci dice che si tratta di un quiddi più facile percezione, il quale per evitare alcun dubbio interpretativo va inteso come la “potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto”, il quale non può che avere una valutazione ex post, poichèsi ha riguardo al risultato conseguito dall'azione dell'agente.

La Suprema Corte sottolinea poi,“in ossequio a una giurisprudenza consolidata[9], come i due criteri dimputazione dellinteresse e del vantaggio si pongono in rapporto di alternatività, come confermato dalla congiunzione disgiuntiva “o” presente nel testo della disposizione”,imponendo così all'interprete una distinta valutazione in ordine a uno a all'altro, in virtù della loro innegabile differenza sostanziale.


[1]C. Piergallini, Societas delinquere et puniri non potes: la fine tardiva di un dogma, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2002, 573 ss. .

[2]Corte di Cassazione, Sez. VI, sent. 5 ottobre 2010-22 gennaio 2011 n. 2251.

[3]Sullo sviluppo del dibattito cfr. S. M. Corso, Codice della responsabilità “da reato” degli enti, Giappichelli, Torino, 2014, p. 238 ss. .

[4]Corte di Giustizia sent. 12 luglio 2012 relativa l’interpretazione dell’art. 9, paragrafo 1 della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio del 15 marzo 2011.

[5]Avvocatura generale UE nella causa C-79/11, secondo cui la normativa ex D.Lgs. dovrebbe ammettere la possibilità per la parte lesa di costituirsi parte civile nel processo contro l’ente ai fini della conseguente richiesta  di risarcimento danni nei confronti dell’ente.

[6]Cfr. G. Ariolli, La costituzione di parte civile nel processo a carico degli enti, in www.ratiolegis.it, cit.

[7]Il danno all'immagine delle persone giuridiche. Profili civilistici, penalisti ed erariali., Di Francesco Aversano,Aurelio Laino e Antonio Musio, Giappichelli Editore, 2012, pag. 91.

[8]Si veda il paragrafo 3.2 “i criteri di imputazione del piano oggettivo” della Relazione ministeriale al D.Lgs. n. 231/2001.

[9]Cfr. Cass. n. 3165/2005 Rv. 232957; Cass. n. 10265/2013 riv. 258575;  Cass. n. 24559/2013 riv. 255442; S.U. 38343/2014 Rv. 261114.

Ultima modifica il 07 Maggio 2016