ha portato la riscoperta di una condizione, quale la trasparenza nell’agire della pubblica amministrazione, secondo alcuni valore e giusto corollario di un principio costituzionale, quale il buon andamento della p. a., principio quest’ultimo che già i Padri costituenti avevano ben stigmatizzato nella Carta costituzionale.
Orbene, ciclicamente, ci ricordiamo del buon andamento della p.a., in occasione di eventi patologici, tipici delle azioni o delle omissioni degli uomini e delle donne che sono chiamati, tutti a diverso titolo, a dare attuazione alla Carta, nella convivenza civica che dovrebbe contraddistinguere una società. Invece, circa ogni vent’ anni - e la coincidenza della ricorrenza temporale impensierisce chi scrive - ci troviamo a dibattere su cosa debba essere la trasparenza, il suo valore ontologico e, conseguentemente, la portata sul piano operativo di questa strana condizione, propria del modus operandi di un’organizzazione che essa sia pubblica o privata.
Certo, passare da un’analisi ontologica ad un piano pratico, potrebbe portare a disamine assolutamente disancorate dal realismo pragmatico che l’attuale sviluppo, proprio di un’epoca “postbellica economica”, ci impone con severità e rigore. Quindi, lungi da parte di chi scrive di lasciarsi tentare da qualsivoglia affascinante ricostruzione filosofeggiante.
Trasparenza è innanzitutto semplicità dell’organismo, dell’organizzazione, dell’apparato, e, quindi, di tutto ciò che riguarda i procedimenti, i compiti, le attività ed i relativi atti che la Pubblica Amministrazione pone in esser nelle fasi in cui si manifesta nel proprio interno, come nel proprio esterno, sia nei confronti di se stessa, che degli altri.
Sin dal 1990, anno di emanazione della Legge sul procedimento amministrativo, il legislatore ha delineato i segmenti dell’agire dell’amministrazione in modo preciso; si pensi alle disposizioni sulla motivazione, sui tempi del procedimento, sulla collaborazione pubblico-privato ed ha consentito a chi ha un interesse diretto e concreto, coinvolto in quel preciso procedimento, di guardare dentro il procedimento, radiografare gli atti e i documenti, prima con una semplice presa visione, poi, con una estrazione copia: “solo tu che hai un interesse a conoscere e solo tu puoi guardare atti e documenti”. Tanto è forte il diritto a conoscere dell’interessato che, a chiusura, il Legislatore si sente in dovere di blindare quel diritto, vietando il controllo generalizzato della attività della p.a., e , quindi vietando a chiunque di chiedere ad una amministrazione di elaborare informazioni che costituiscono un dato, se quel dato già non esiste in natura. Un esempio: quanti effettuano raccolta differenziata sulla mia via non potrò mai saperlo, perché il mio Comune al più a solo il dato finale di quanto si raccoglie in toto in quella via e, forse neanche questo, neanche nei Comuni più avanzati in questo tipo di raccolta: in altri termini il mio Comune non è tenuto ad elaborare per me informazioni per somministrarmi un dato che essa stessa non ha elaborato, perché non me ha necessità. Questo è un primo tassello di un puzzle che il Legislatore sta delineando nel tempo, puzzle che dovrà rappresentare la tanto attesa casa di cristallo: la pubblica amministrazione italiana, costruita su fondamenta solide, quali i diritti dei cittadini di cui alla Carta costituzionale. Sul punto, la giurisprudenza si è più volte pronunciata. In particolare, per quanto riguarda il diritto di accesso agli atti, per essere riconosciuto, ha bisogno della dimostrazione che vi sia una “rigida necessità” e non una “mera utilità” dell'acquisizione del documento richiesto allorquando quest'ultimo concerna terzi ed il richiedente l'accesso documentale non sia parte del procedimento (Cons. St., sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5047).
Il secondo tassello descritto dal Legislatore e, cioè, che avere la conoscenza da parte dell’interessato - ove si spinga oltre la semplice conoscibilità - non può, comunque, vulnerare la riservatezza del dato per il contenuto che esso ha e le conseguenze negative che dalla conoscenza possono derivare, lo rintracciamo nella ormai copiosa normativa cd. sulla privacy, normativa nella quale in modo esemplare per chi è attento, è possibile rintracciare il rapporto osmotico che vi è tra accesso ai dati e riservatezza alle informazioni in essi contenuti: l’accesso si espande quando la riservatezza recede e viceversa, in un altalenarsi assolutamente armonioso, perché gestito dalle regole svizzere dell’orologio della logicità manifesta, categoria tanto cara a noi legulei processualisti. Ciononostante, è pacifico l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui il diritto di accesso deve prevalere sull'esigenza di riservatezza di terzi quando esso sia esercitato per consentire la cura o la difesa processuale di interessi giuridicamente protetti e concerna un documento amministrativo indispensabile a tali fini, la cui esigenza non possa essere altrimenti soddisfatta (Cons. St., Ad. Plen. 2 aprile 2007, n. 5).
Ed ecco, l’ultimo tassello del Legislatore, la conoscibilità, come mera presa visione generalizzata di un dato, di un’ informazione contenuta in un documento, ma che non ha “anima”: che io sappia che il mio Comune abbia uno scuolabus è una informazione che appaga il mio legittimo desiderio di sapere su cosa fa il mio Comune per facilitare il diritto allo studio, ma non mi da alcuna informazione su come stia spendendo e per chi nominativamente stia spendendo. Altri soggetti e con altri strumenti in altri momenti potrebbero esser edotti in ordini a queste informazioni che non possono esser elaborate per me.
Ecco come da un accesso agli atti dell’interessato, tutelato in ordine al contenuto cd. sensibile, siamo arrivati all’accesso civico: da un diritto dell’interessato alla conoscenza dell’atto siamo arrivati ad un diritto di tutti alla conoscibilità dell’atto; l’interessato prende visione, estrae copia, può chiedere di non rendere estensibili alcuni dati e informazioni; il cittadino può prendere visione di ciò che la legge ritiene possa esser conosciuto.
In altri termini, il Legislatore ha distinto tra una trasparenza piena per le parti coinvolte e una trasparenza circoscritta alla mera conoscibilità di dati e informazioni presenti in atti e documenti che sono somministrabili senza mediazione.
Orbene, questo ultimo profilo sta costituendo oggi l’ultimo tassello, il quarto, quello tutto da disegnare, quello alla conoscenza consapevole da parte di tutti noi divoratori di dati, per i quali troppo spesso ci mancano gli elementi di base per una lettura chiara, un po’ come la bolletta dell’Enel.
Però, per poter giungere ad una piena affermazione di questo diritto, occorre investire molto nel recupero della fiducia nelle p.a. e nel deficit democratico, entrambi elementi fondamentali di un diritto alla trasparenza, comunque declinato. Fondamentale ciò che si legge nel dlgs. 33/2013 e cioè che“L’ obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”.
Grazie a tali strumenti ci si avvicina sempre più a quell’immagine di Amministrazione come “casa di vetro” cara a Filippo Turati, all'interno della quale tutto è sempre e costantemente visibile dall’esterno; questa piena visibilità tende infatti a promuovere un controllo dell'attività amministrativa capillare dal basso, ma non generalizzato, in modo da garantire il massimo grado di correttezza ed imparzialità. La trasparenza dell'azione amministrativa rappresenta un'esigenza assolutamente fondamentale degli ordinamenti democratici, costituendo uno strumento indispensabile per realizzare un effettivo rapporto di collaborazione tra governanti e governati, consentendo a questi ultimi una consapevole partecipazione all'esercizio del potere pubblico.