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DIRITTO ALLA SALUBRITA' DELL’AMBIENTE E RISARCIBILITA' DEL DANNO

by Avv. Anna Maria Marinelli on28 Ottobre 2017

Il tema della tutela degli interessi diffusi si è posto, in particolare, con riferimento alla tutela del diritto alla salute

(sotto forma di diritto alla salubrità dell'ambiente) ed al danno ambientale.

Sul piano normativo, il primo riferimento veramente importante è certamente la L. n. 349 del 1986 istitutiva del Ministero dell'Ambiente, ove agli artt. 13 e 18 prevedeva la legittimazione, in capo ad organismi associativi riconosciuti con apposito decreto ministeriale, ad intervenire in giudizi per danno ambientale nonché a ricorrere per l'annullamento di atti illegittimi che incidano su interessi di natura ambientale. Tale norma non è stata abrogata dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (c.d. Testo Unico ambientale) che, tuttavia, ai sensi del comma 2 dell'art. 309, ha riconosciuto alle associazioni individuate ai sensi dell'art. 13 della L. n. 349 del 1986, solo la legittimazione a presentare denunce ed osservazioni, corredate di documenti ed informazioni ai fini dell'adozione di misure di precauzione. Tuttavia, dette associazioni non possono ricorrere per l'annullamento di atti e provvedimenti adottati in violazione della parte sesta del decreto o avverso il silenzio inadempimento serbato dal Ministro a fronte delle denunce e delle osservazioni presentate. 

Pertanto, in tema di legittimazione processuale, di legittimazione procedimentale e di azioni esperibili, l'art. 309 del decreto prevede, oltre che da parte della associazioni di cui all'art. 13 della L. n. 349 del 1986, la possibilità di sollecitare il Ministero dell'Ambiente all'adozione di misure di precauzione, prevenzione e ripristino da parte di regioni, province autonome ed enti locali, nonché  da parte delle persone fisiche o giuridiche che sono o potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento, che attraverso denunce ed osservazioni al Ministero dell'Ambiente, possono richiedere l'annullamento dei provvedimenti amministrativi illegittimi, agire contro il silenzio inadempimento del Ministero e per il risarcimento del danno subito a causa del ritardo nell'attivazione delle misure di precauzione e salvaguardia.

L'azione civile in sede penale per il risarcimento del danno ambientale è, invece, di competenza esclusiva del Ministero dell'Ambiente. Si è, dunque, esclusa la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale degli enti locali. Sotto il profilo delle tecniche di tutela, poi, il Ministro dell'Ambiente potrà agire per il risarcimento del danno in via ordinaria o emettere un'ordinanza immediatamente esecutiva volta, in prima battuta, al ripristino ambientale e, in seconda (a mezzo di una seconda ordinanza), al risarcimento del danno per equivalente con riferimento al danno ambientale accertato e residuato.

A livello giurisprudenziale si è, poi, discusso, in sede d'applicazione delle norme di cui alla L. n. 349 del 1986, se i vizi denunciabili siano solo quelli inerenti ai profili della valutazione degli interessi ambientali o se, con riferimento a provvedimenti, per assunto lesivi di interessi di matrice ambientale, tali enti siano legittimati a denunciare anche vizi di natura diversa.

Altro riferimento rilevante a livello giurisprudenziale è la sentenza delle Sezioni Unite n.5172/1979 che identifica il diritto alla salute anche come diritto all’ambiente salubre la cui protezione è assimilata a quella propria dei diritti fondamentali e inviolabili della persona umana. Si tratta del primo riconoscimento del diritto all’ambiente come diritto soggettivo, anzi assoluto, tutelabile anche nei confronti della P.A. a prescindere dalla titolarità in capo all’attore di un diritto alla proprietà o di altro diritto reale.

Le sentenze n. 210/1987 e n. 641/1987 della Corte Costituzionale hanno consacrato definitivamente il diritto all’ambiente nel novero dei diritti soggettivi. Con la Sentenza n. 210/1987 della Corte Costituzionale emerge il diritto all’ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività. Si evidenzia la necessità di creare istituti giuridici per la sua protezione e la repressione del danno ambientale, che costituisce offesa al diritto che vanta ogni cittadino individualmente e collettivamente. Con la sentenza n. 641/1987 la Corte Costituzionale valuta l’elemento determinativo della qualità della vita, come valore primario ed assoluto, sulla base degli artt. 9,32,41 e 42 Cost. Determina la competenza del Giudice Ordinario e chiarisce che il diritto all’ambiente deve sempre prevalere sui contrastanti interessi industriali.

Con riferimento al tema del danno ambientale, il Giudice ordinario, per tutelare gli interessi superindividuali sottesi, ha trasformato l'interesse diffuso alla salubrità ambientale in una somma dei diritti alla salute dei singoli legittimando, perciò, gli stessi ad agire giudizialmente per il risarcimento del danno alla salute subito come conseguenza del, più generale, danno ambientale.

Come fonte normativa del potere di azione riconosciuto ai singoli per la tutela del diritto alla salute di fronte ad un fatto costitutivo di un danno ambientale il codice civile rubrica l’art. 844 con il nome immissioni intollerabili e, successivamente, l'art. 2043 in tema di illecito aquiliano. Tuttavia, la giurisprudenza ha via via abbandonato il parametro stabilito dall’art. 844 cc che si muoveva in un'ottica proprietaria inappropriata al tema del diritto alla salute e del danno ambientale e ha ritenuto esperibile il rimedio d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c.

Con riferimento al danno ambientale, il già citato D.Lgs. n. 152 del 3 aprile 2006, all'art. 300, lo definisce come: "qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima". In tema di danno ambientale deve, poi, ricordarsi il D.Lgs. n. 4 del 16 gennaio 2008 recante importanti disposizioni di principio come quella di cui all'art. 3 quater del Codice dell'Ambiente che sancisce il principio dello sviluppo sostenibile secondo cui il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non può compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future.

Secondo la Suprema Corte di Cassazione il danno morale non può essere risarcito anche in assenza di danno biologico (o di altro evento produttivo di danno patrimoniale) (Cass. Civ. Sez.III, 4631/97; Cass. Civ. Sez.III, 5530/97), poiché sulla base di precedenti pronunzie della Corte Costituzionale (Corte Cost. nn. 184/86 e 37/94), afferma che "il danno morale soggettivo inteso quale transeunte turbamento psicologico è, al pari del danno patrimoniale in senso stretto, danno-conseguenza, risarcibile solo ove derivi dalla menomazione dell'integrità fisica dell'offeso o da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale. Pertanto nel caso di compromissione anche grave della salubrità dell'ambiente, derivante da immissioni di una sostanza altamente tossica (nella specie: diossina) a seguito di disastro colposo, il turbamento psichico subito dalla generalità delle persone costrette a sottoporsi a periodici controlli sanitari a seguito dell'esposizione a quantità imprecisate della detta sostanza, con conseguente limitazione della propria libertà di azione e di vita, non è stato reputato risarcibile in via autonoma quale danno morale sopportato in eguale misura da ciascuno dei soggetti coinvolti nel disastro, ove non costituisca conseguenza della menomazione specificamente subita da ciascuno di essi nella propria integrità psico-fisica". La motivazione, sostanzialmente identica, delle predette due sentenze della III Sezione della Suprema Corte si fonda sulle seguenti argomentazioni: 

- la risarcibilità del danno non patrimoniale incontra nel sistema il limite dell'esplicita previsione legislativa, che, per quanto concerne il danno da reato, è realizzata con il rinvio dell'art. 2059 cod. civ. all'art. 185 cod. pen. e da questo alle singole figure di reato; 

- occorre, a tal fine, che il reato incida su una posizione soggettiva che può ben essere rappresentata, nel caso di delitto di disastro colposo ex art. 449 cod. pen., dal diritto alla salute nella sua esplicazione di diritto alla salubrità dell'ambiente, suscettibile di tutela aquiliana diretta ed autonoma rispetto a quella, indiretta ed indifferenziata, apprestata dalla legge sull'inquinamento; 

- per delimitare l'area del danno risarcibile in relazione alla possibilità che il reato produca perturbamenti psichici in un numero indeterminato di persone, risulta applicabile il criterio di cui all'art. 1223 cod. civ. La norma, richiamata dall'art. 2056cod. civ., comporta, ai fini dell'eventuale risarcibilità dei perturbamenti psichici, che essi costituiscano la conseguenza diretta ed immediata del reato, nel senso, altresì che il collegamento tra danno ed interessi protetti dalla norma penale possa essere colto sia in via primaria, sia in via secondaria e collaterale. Le citate sentenze hanno pertanto concluso negando la risarcibilità autonoma del danno morale, in virtù fondamentalmente del rilievo che la Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost.184/86; Corte Cost. 37/94 nonché Corte Cost. (ord.) 294/96ha identificato il danno morale soggettivo, inteso quale transeunte turbamento psicologico, come danno-conseguenza, in quanto tale risarcibile solo ove derivi dalla menomazione dell'integrità psico-fisica dell'offeso o da altro tipo di evento produttivo di danno patrimoniale.

 

Per la Suprema Corte di Cassazione il danno ambientale costituisce vulnus al diritto che ciascun individuo vanta, sia uti singulus, sia collettivamente, al corretto ed armonico sviluppo della propria personalità in ambiente salubre, con rilievo all’offesa della persona umana nella sua dimensione individuale e sociale. In tal senso il Consiglio di Stato afferma: “il cittadino è titolare di un diritto soggettivo all’ambiente salubre, quale riflesso del suo diritto alla salute costituzionalmente tutelato ex artt. 2 e 32 Cost.”.

Anche la giurisprudenza si è interessata del tema del diritto dell’ambiente e con una nozione piuttosto moderna, quale ambiente di vita, lo definisce come: “Quale complesso sistema delle condizioni ed interrelazioni fra esseri animati ed inanimati, che assicurano il perpetuarsi della forma umana di vita e che tende a coincidere con il diritto alla vita e all’integrità fisica”. Consiste pertanto, in un diritto assoluto indisponibile, intrasmissibile, imprescrittibile ed irrinunciabile che rientra nel novero dei diritti originali e sorge dalla nascita dell’individuo.

Come già evidenziato precedentemente, la materia del danno ambientale è stata disciplinata per la prima volta in modo organico dalla L. 8/07/1986 n. 349, istitutiva del Ministero dell’ambiente, mentre nel 2004 il Legislatore europeo ne ha adottato con la Dir. 2004/35/CE, una disciplina in termini generali e di principio, in virtù del quale il profilo risarcitorio occupa una posizione accessoria rispetto alla riparazione.

Va riconosciuto all’art. 18 della L. n. 349/1986 il merito di aver definito normativamente il danno cagionato al bene «ambiente», conferendogli una rilevanza autonoma, nonché di aver inteso l’ambiente quale bene giuridico autonomo, tutelabile tramite gli istituti della responsabilità civile per danno ambientale e dell’azione giurisdizionale amministrativa per l’annullamento dei provvedimenti lesivi dell’ambiente. Con l’art.18 della Legge n. 349/1986 venne data attuazione, in Italia, al principio comunitario «chi inquina paga», secondo il quale i costi dell’inquinamento devono essere sopportati dal responsabile attraverso l’introduzione, quale forma particolare di tutela, dell’obbligo di risarcire il danno cagionato all’ambiente a seguito di qualsiasi attività compiuta in violazione di un dispositivo di legge.

La Corte di Appello di Napoli, con Sentenza 1^ Civ. 19.01.2011 n.90 (c. Ministero dell’Ambiente, ha affermato che il danno ambientale era tutelabile anche prima dell’entrata in vigore della Legge 8/7/1986 n. 349: la tutela dell’ambiente deve considerarsi espressione di un autonomo valore collettivo del complesso delle risorse ambientali e degli esseri viventi, che caratterizzano un determinato habitat e che trova la sua fonte genetica nei precetti costituzionali posti a salvaguardia dell’individuo e della collettività nel suo habitat economico, sociale ed ambientale (artt. 2,3,9,41 e 42 Cost.).

Il prevalente orientamento giurisprudenziale ha trovato accoglimento nell’ambito della riforma del Titolo V, laddove la materia «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema», è stata espressamente riconosciuta all’art. 117, comma 2, lett.s).Cost., quale competenza esclusiva dello Stato. Contestualmente è stata riconosciuta, nel successivo terzo comma, la rilevanza dei numerosi e diversificati interessi che fanno capo alle Regioni e quindi ai relativi enti territoriali.

Il quadro normativo è profondamente mutato con la Dir. 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale la quale, nel recare la disciplina del danno ambientale:

—  Affermala prevenzione e la riparazione di tale danno nella misura del possibile;

—  Conferma il principio «chi inquina paga», pure stabilito dal Trattato istitutivo della C.E. (n.1 e n.2 del considerando).

L’allegato II della Direttiva 2004/35/CE, relativo alla «riparazione del danno ambientale» sancisce che tale riparazione venga eseguita riportando l’ambiente danneggiato alle condizioni originarie tramite misure di riparazione primaria, che sono costituite da «qualsiasi misura di riparazione che riporta le risorse e/o i servizi naturali danneggiati alle o verso le condizioni originarie».

Soltanto nel caso in cui la riparazione primaria non dia luogo ad un ritorno dell’ambiente alle condizioni originarie, si intraprenderà la riparazione complementare e quella compensativa. Il D. Lgs. 3 aprile 2006, n.152 (detto T.U. Ambientale) ha recepito tale direttiva e fatta propria tale prospettiva. Successivamente, le disposizioni sul danno ambientale contenute nel c.d. «codice dell’ambiente» hanno subito delle rilevanti modifiche a seguito del D.L. n. 135/2009 e della «Legge Europea 2013» (L. n.97/2013), tutti provvedimenti volti a rimediare a procedure di infrazione della U.E.

Con la sentenza n. 1.06.2016 N. 126 la Corte Costituzionale propone un percorso normativo e giurisprudenziale, che ricostruisce la disciplina del danno ambientale, mettendo innanzitutto in evidenza la prospettiva – imposta dalle direttive comunitarie – che vede collocato il «profilo risarcitorio» in una posizione accessoria rispetto a quello «riparatorio».  La Legge n. 349/1986, oltre ad istituire il Ministero dell’Ambiente, segna la nascita del precetto del danno ambientale nel nostro ordinamento, adottando il principio del diritto comunitario chi inquina paga ed introduce la fattispecie dell’illecito civile ambientale. Art. 300 del D.Lgs. n. 152/2006:

—  “é danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”.

—  Cass. 3^ Sez. Pen. N. 9837 del 19/11/1996:

—  “il danno ambientale non consiste solo in una compromissione dell’ambiente …ma anche , contestualmente, in una offesa della persona umana nella sua dimensione individuale e sociale…”.

Il “diritto” ad un ambiente salubre è riconosciuto sulla base un’interpretazione “creativa del combinato disposto dagli art.32, 9 e 2 Cost. , in mancanza di una espressa definizione. La Corte Costituzionale con le Sent.n. 641/1987 e 399/1996 individua una connessione tra salubrità dell’ambiente, diritto alla salute e qualità della vita.

L’art. 310 Testo Unico Ambientale riconosce anche agli Enti territoriali, nonché alle persone fisiche o giuridiche colpite o minacciate da danno ambientale, il potere di agire per chiedere l’annullamento di atti e provvedimenti amministrativi e per sollecitare il Ministro dell’Ambiente in caso di ritardo nell’attuazione delle misure di prevenzione o contenimento del danno. L’art. 311 del T.U.A., in conformità con la direttiva 2004/35/CE, consente ai singoli individui, danneggiati o potenzialmente pregiudicati da un danno ambientale, di agire nei confronti del Ministro dell’Ambiente per ottenere il risarcimento delle lesioni dei diritti fondamentali conseguenti alla mancata adozione e attuazione delle misure di prevenzione.

Singoli o associati, compresi gli Enti pubblici territoriali e le Regioni possono agire, in forza dell’art. 2043 c.c., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale che abbiano dato prova di aver subito dalla condotta lesiva del “bene”ambiente, in relazione alla lesione di altri loro diritti particolari, diversi dall’interesse pubblico (Cass. Penale 633/2012).

Due sono le difficoltà per la determinazione del risarcimento del danno ambientale:

Ø   individuazione della disciplina legislativa applicabile;

Ø   terminologia e criteri sconosciuti alla precedente legislazione e privi pertanto di referenti giurisprudenziali e dottrinali che ne aiutino l'interpretazione e l'applicazione.

La presenza di numerosi interventi legislativi intervenuti al ritmo di quasi uno all'anno, ha infatti determinato seri problemi di coordinamento e di individuazione di quale fosse la normativa volta a volta applicabile. Il principale dubbio era quello di stabilire se il D. Lgs. 152/2006 prevedesse un risarcimento del danno ambientale per equivalente pecuniario, oppure prevedesse esclusivamente un risarcimento riparatorio dell'ambiente danneggiato, come inequivocabilmente stabilito dalla Direttiva 2004/35/CE. il problema si pone soprattutto a fronte di danni ambientali non riparabili o riparabili in tempi o a costi non ragionevoli. In questi casi, secondo la Direttiva 2004/35/CE e secondo il D. Lgs. 152/2006, occorre considerare una riparazione complementare e/o compensativa dell'ambiente, il cui contenuto e i cui criteri di determinazione costituiscono una novità per il nostro ordinamento.

Il Governo italiano, per adeguarsi alla richiesta alla la Direttiva 2004/35/CE, ha emanato due leggi nel 2009 (D.L. 25/09/2009 n. 135) e nel 2013 (L. 6/8/2013 n. 97) che hanno modificato l'originario testo del D. Lgs. 152/2006. L’Art. 311, comma 2 del T.U.A. (modificato nel 2009) pone obblighi risarcitori a carico di “Chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento o di provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo, deteriorandolo, distruggendolo in tutto o in parte”.

Il 3° comma dell’art. 311 T.U.A. prevedeva per il responsabile l’obbligo dell'effettivo ripristino, a sue spese, della precedente situazione e, in mancanza, all'adozione di misure di riparazione complementare e compensativa. Quando ciò non fosse stato possibile, il danneggiante era obbligato, in via sostitutiva, al risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.

Nel 2012 la Commissione europea ha nuovamente contestato alla Repubblica Italiana di aver “adottato e mantenuto in vigore norme (articoli 311, 313, comma 2, e 314, comma 3, del decreto legislativo 52/2006) le quali consentono che le misure di riparazione possano essere sostituite da risarcimenti pecuniari, in violazione degli articoli 1 e 7 e dell'allegato II della direttiva 2004/35/CE”.

La Commissione europea ha osservato che il “testo della disposizione [introdotto con l'art. 5-bis], pur migliorando la normativa italiana...conferma tuttavia che ai sensi della normativa italiana un operatore che abbia causato un danno ambientale può essere tenuto al risarcimento pecuniario in luogo della riparazione”, mentre ai sensi della Direttiva 2004/35/CE “non si possono sostituire le misure di riparazione mediante risarcimenti pecuniari”.

La Legge n. 97/2013 ha chiarito, in conformità con l’U.E. che il danneggiante è tenuto in primis a un risarcimento in forma specifica, ovvero se ciò non è possibile nell’immediato, ad un risarcimento per l’equivalente in denaro che dovrà essere impiegato dallo Stato, che ne è mero custode, per opere di bonifica e ripristino dello stato dei luoghi.

In estrema sintesi l'attuale disciplina del D. Lgs. 152/2006 è oggi la seguente: l’Art  311.1  il Ministro dell'ambiente per il risarcimento del danno ambientale, agisce “in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale, oppure procede ai sensi delle disposizioni di cui alla parte sesta del presente decreto”. Il Ministro provvede alla quantificazione del danno ambientale, all’accertamento delle responsabilità risarcitorie ed alla riscossione delle somme dovute per equivalente patrimoniale, avendo riguardo anche del valore monetario delle risorse naturali e dei servizi perduti. Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale. L’art. 311.2.: “quando si verifica un danno ambientale” gli operatori responsabili “sono obbligati all'adozione delle misure di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta”.

L’art. 311.3 - prima parte: questa disposizione della L. 97/2013, con una formulazione semplice e lineare, afferma che il Ministero dell'ambiente, “provvede in applicazione dei criteri enunciati negli allegati 3 e 4 della presente parte sesta alla determinazione delle misure di riparazione da adottare”. Poiché gli allegati 3 e 4 prevedono solo misure di riparazione primaria, complementare e compensativa, il rinvio a tali allegati è un rinvio a misure di riparazione, e non a misure di risarcimento per equivalente pecuniario. artt. 311.3 - seconda parte: questa norma dispone che “i criteri e metodi [per determinare la portata delle misure di riparazione] trovano applicazione anche ai giudizi pendenti non ancora definiti con sentenza passata in giudicato”.  Questa disposizione risolve il problema di quale sia la disciplina applicabile per determinare il risarcimento del danno ambientale, disponendo che la stessa disciplina (cioè gli stessi criteri e metodi previsti dall'art. 311.3. per determinare la portata delle misure di riparazione) “trovano applicazione anche ai giudizi pendenti”. L’art. 313, comma 7 prevede il diritto ad agire per il risarcimento del danno subito quanto alla salute o ai beni di loro proprietà in capo ai soggetti che abbiano subito un pregiudizio dal fatto produttivo di danno ambientale.

Il diritto ad intervenire in un giudizio per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, trova fondamento nell'art. 2043 c.c. purché chi intenda agire dia prova di aver subito da tale condotta, una lesione di un proprio diritto fondamentale quale ad esempio il diritto alla salute, cui fa espresso richiamo l'art. 32 della Costituzione.

L’obiettivo primario del risarcimento del danno ambientale è il ripristino ambientale. L’art. 302, comma 9, del TUA indica cosa si intende per “ripristino”, ovvero:

—  a) nel caso di danni alle acque, delle specie e degli habitat protetti “il ritorno delle risorse naturali o dei servizi danneggiati alle condizioni originarie”;

—  b) nel caso di danni al terreno “l’eliminazione di qualsiasi rischio di effetti nocivi per la salute umana e per l’integrità ambientale”. Ruolo da protagonista nell’azione di ripristino è svolto dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM), poiché ha la competenza ad emanare un’ordinanza di ingiunzione nei confronti dell’operatore. 

La legittimazione ad agire spetta, dunque, al MATTM, che può esercitare l’azione di risarcimento anche all’interno del processo penale”. La Corte Cost., con la nota sentenza n. 641/1987, rileva che il danno ambientale ha natura certamente patrimoniale, ma svincolato da una concezione aritmetico contabile. La Cassazione ha, altresì, precisato che non deve tanto aversi riguardo alla mera differenza tra saldo attivo del danneggiato ante e post l’evento lesivo, quanto all’idoneità a determinare in concreto diminuzione dei valori e delle utilità economiche di cui il danneggiato può disporre. È illegittimo il provvedimento di risarcimento in forma generica per equivalente del danno ambientale, che non motivi specificamente sull’impossibilità del ripristino in forma specifica, che è criterio prioritario di risarcimento individuato dalla legge.

Nei casi in cui sia presente il concorso di più soggetti nello stesso evento di danno ambientale, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale, pro quota in base alla causalità della propria attività nell’evento dannoso. Il relativo debito si trasmette agli eredi, nei limiti del loro effettivo arricchimento. La Cassazione n. 10118/2008 ritiene: “il risarcimento del danno ambientale deve comprendere sia il pregiudizio prettamente patrimoniale arrecato a beni pubblici o privati, sia quello (avente anche funzione sanzionatoria) non patrimoniale rappresentato dal “vulnus” all’ambiente in sé e per sé considerato, costituente bene di natura pubblicistica, unitario e immateriale. Ne consegue che la condanna del responsabile sia al ripristino dello stato dei luoghi, sia al pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, non costituisce una duplicazione risarcitoria, allorché la prima condotta sia volta ad elidere il pregiudizio patrimoniale e la seconda quello non patrimoniale”.

Gli effetti del danno ambientale possono manifestarsi anche a distanza di tempo dalla condotta lesiva, impedendo una ricostruzione completa e minuziosa dello stesso. L’inquinatore non trae, però, vantaggio dalle difficoltà di quantificazione del danno, giacché le eventuali incertezze probatorie possono essere valutate dal giudice nel suo prudente apprezzamento. La riparazione del danno secondo il secondo comma dell’art. 298 bis: “deve avvenire nel rispetto dei princìpi e dei criteri stabiliti nel titolo secondo e nell’allegato 3 alla parte sesta, ove occorra anche mediante l’esperimento dei procedimenti finalizzati a conseguire dal soggetto che ha causato il danno, o la minaccia imminente di danno, le risorse necessarie a coprire i costi relativi alle misure di riparazione da adottare e non attuate dal medesimo soggetto”.

La sola previsione di una responsabilità per dolo o per colpa grave nei confronti dell'operatore che abbia svolto ad esempio attività di gestione dei rifiuti e Ippc fu, infatti, oggetto di censura da parte della Commissione Ue (procedura d'infrazione n. 2007/4679), che aveva quindi invitato il nostro Paese ad adeguarsi alla disciplina europea. L'articolo 25 di tale legge elimina dal nostro ordinamento l'equiparazione, anch'essa censurata dalla Commissione Ue, tra risarcimento per equivalente (cioè in denaro) e riparazione del danno, che deve essere invece sempre effettuata.

In data 24 febbraio 2017 è stato presentato in Senato il disegno di legge n. 2661 recante “Disposizioni in materia di riutilizzo da parte degli Enti locali di immobili abbandonati”. In particolare il Ddl riguarda quegli edifici urbani e rurali, immobili pubblici in stato di abbandono e comunque disuso. L’obiettivo è la ricognizione di questi edifici, pubblici e privati, da parte delle Regioni e dei Comuni, anche attraverso finanziamenti. In più il Ddl si pone come obiettivo ulteriore, quello di incentivare il riutilizzo di immobili già esistenti, a discapito di nuove costruzioni che incidono sul consumo del suolo.

Ultima modifica il 06 Febbraio 2018