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Il diritto alla vita: primo tra i diritti fondamentali. La parola alla Consigliera della Cassazione Lucia Tria

by Cons. Lucia Tria della Corte di Cassazione on24 Agosto 2014

In giornate caratterizzate da un continuo flusso di notizie che raccontano l’apertura di nuovi fronti di guerra alle porte del Mediterraneo, solo da ultimo l’emergenza umanitaria che sta interessando l’Iraq con la strage di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga dalle loro case, si pone in termini drammaticamente attuali la grande questione della tutela del diritto alla vita di chi in fuga dalla fame e dalle guerre si affaccia sulle coste di paesi vicini in cerca di riparo e protezione. 

Dopo gli interventi di USA, Francia e Gran Bretagna sullo scenario iracheno anche l’Italia sembra intenzionata a fare la sua parte. Tra gli encomiabili annunci di interventi umanitari e la giusta condanna di azioni criminali deplorevoli, quello che ancora una volta occorre registrare è l’assenza di un’unica voce europea su questi importantissimi fronti.

La questione interessa il più generale tema della mancanza di una politica estera comune ma nell’immediato presenta anche risvolti pratici dai contorni drammaticamente umanitari. La cronaca delle tragedie del mare al largo delle nostre coste non sembra infatti conoscere fine e il bollettino giornaliero non è mai purtroppo avaro nel triste conteggio della perdita costante di vite umane.

Il fatto che abbiamo delle prassi nazionali da migliorare sia nella fase dell’arrivo dei migranti sia in quella del soggiorno non può essere un alibi per nascondere la carenza di una vera e proficua solidarietà dei nostri Partners europei nella gestione del considerevoli afflussi di questi ultimi mesi (di circa 60.000 persone), che non si prevede debbano diminuire nel breve periodo (tanto che si prevede possa arrivare a 100.000 persone a fine anno).

A partire da Tommaso d’Aquino tutti coloro che hanno studiato e difeso i diritti umani e fondamentali, pur nelle diverse impostazioni, tuttavia concordemente considerano il diritto alla vita come il primo tra i diritti fondamentali, salvo poi a dividersi sulla identificazione dei momenti in cui comincia e in cui finisce la vita.

Del resto, il diritto alla vita è solennemente proclamato in tutte le Carte internazionale e sovranazionali che rappresentano la base da cui nascono gli strumenti di tutela dei diritti umani di cui disponiamo nel mondo occidentale: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

E se, nella Costituzione italiana, non è espressamente prevista una disposizione ove è solennemente riconosciuto il diritto alla vita, ciò è dovuto alla scelta di base dei nostri Costituenti – analoga a quella fatta per la “dignità umana” – di non restringere in un testo dei concetti che appartengono - per usare l’espressione della sentenza della Corte costituzionale n. 1146 del 1988 - “all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione” stessa.

Ciò comporta che la tutela del diritto alla vita, come in molte occasioni ha affermato la Corte costituzionale, si deve considerare insita nella nostra Carta fondamentale e, in particolare, garantita nell’art. 2 - da cui si desume che tale diritto, inteso nella sua estensione più lata, è da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata (sentenze n. 35 del 1997, n. 223 del 1996, n. 54 del 1979) – nonché dall’art. 27, quarto comma, che prevede il divieto della pena di morte (sentenza n. 54 del 1979).

Tutti poi concordano nel fatto che il diritto alla vita comprenda quello a disporre del proprio cadavere, e tale ultimo diritto rileva con riferimento al diritto di scegliere sia il luogo di sepoltura sia quello di destinazione delle proprie spoglie (sepolcro o cremazione).

Come derivazione del riconoscimento di tali diritti nel nostro ordinamento sono previsti, da un lato, una serie di delitti contro la pietà dei defunti – volti a proteggere il comune sentimento di pietà ispirato dai cadaveri umani e il generalizzato sentimento di rispetto che essi incutono – e dall’altro lato una specifica disciplina per il prelievo di organi a scopo di trapianto, con la previsione di una previa dichiarazione dell’interessato in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte.

D’altra parte, anche la Corte costituzionale in una risalente pronuncia ha avuto modo di riconoscere il diritto alla sepoltura, come esplicazione della tutela accordata alla persona dall’art. 2 Cost. (sentenza n. 239 del 1984), mentre la Corte di Strasburgo, in diverse pronunce, ha riconosciuto il diritto alla sepoltura come meritevole di tutela autonoma, rispetto al diritto alla vita, nell’ambito del diritto alla vita privata e familiare, di cui all’art. 8 CEDU.

Ciò è, ad esempio, di recente accaduto con le due sentenze del 6 giugno 2013 – sui casi Maskhadova e altri c. Russia (ricorso no. 18071/05) e Sabanchiyeva e altri c. Russia (ricorso no. 38450/05) – nelle quali è stato sanzionato il rifiuto da parte delle autorità russe di restituire i corpi di presunti terroristi ceceni alle loro famiglie per il funerale e la sepoltura, pur avendo la Corte, da un lato, escluso che vi fosse stata una violazione del diritto alla vita (di cui all’art. 2 CEDU) e dall’altro affermato che le condizioni in cui erano stati conservati i corpi dei familiari dei ricorrenti per il riconoscimento non erano in contrasto con l’art. 3 CEDU sul divieto di trattamenti inumani e degradanti.

Ebbene, avendo ancora negli occhi le immagini dell’ennesimo recente terribile naufragio di migranti nei pressi di Lampedusa, questa volta arricchite delle immagini dei corpi inermi a volte abbracciati sul fondo del mare, come non possiamo riconoscere che, in quella realtà, il più fondamentale tra i diritti fondamentali è stato irreparabilmente leso, o peggio, non è stato neppure riconosciuto, visto che spesso è difficile anche l’identificazione delle persone che intraprendono i “viaggi della speranza” sulle carrette del mare e che non raggiungono la agognata meta.

Sicché – tranne che per i loro cari – spesso essi sono solo “numeri” o “masse corporee”, anche se tutti si commuovono o mostrano di farlo.

Ultima modifica il 08 Settembre 2014