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Pubblicato in Interviste

Intervista al Cons. della Corte di Cassazione Lucia Tria. Azione ex art. 2932 c.c. e azione di accertamento del contratto concluso. Emendatio o mutatio della domanda? Una questione “storica” rimessa alle Sezioni Unite

by Dott.ssa e giornalista Roberta Nardi on16 Maggio 2014

La Sezione Seconda della Suprema Corte, con l’ordinanza interlocutoria n. 2096 del 30/01/14, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un ricorso che ha interessato una questione oggetto di un risalente contrasto giurisprudenziale. Si tratta del dibattuto problema relativo alla possibilità di integrare successivamente all’udienza di cui all’art. 183 c.p.c. la domanda relativa all’esperimento di un’azione ex art. 2932 c.c.. Ci si chiede, in particolare, se unitamente alla domanda costitutiva principale articolata nell’atto di citazione introduttivo sia possibile formulare nel corso del giudizio una subordinata con la quale richiedere l’accertamento degli effetti reali del contratto di compravendita riqualificando il negozio in oggetto come un contratto definitivo anziché preliminare. Il punto controverso sta nella qualificazione di un intervento di tal genere, ossia nello statuire se esso integri un’emendatio libelli, come tale ammissibile, o se invece esso costituisca un’inammissibile mutatio libelli volta ad introdurre una domanda nuova.

Si tratta di una questione “storica” in relazione alla quale è emerso nella giurisprudenza un contrasto di orientamenti. Al fine di affrontare compiutamente la dibattuta tematica ci troviamo oggi in compagnia della Ill.ma Cons. Lucia Tria, magistrato referente nell’incontro di studio tenutosi nell’Aula Giallombardo della Corte di Cassazione organizzato dall’Università degli Studi Roma Tre e dall’Ufficio dei referenti per la formazione decentrata della Corte di cassazione sul tema “Azione ex art. 2932 c.c. e azione di accertamento del contratto concluso. Novità della domanda?”

L’ordinanza interlocutoria 30.01.2014 n° 2096 della Cassazione civile, sez. II, “rivitalizza” l’orientamento minoritario a dispetto di quello ormai consolidato a partire dagli anni 60’ del ‘900 nelle aule della Suprema Corte di Cassazione.

Va precisato che l’indicato indirizzo minoritario – secondo cui nei suddetti casi non si verifica un mutamento del thema decidendum, in quanto tale thema resta circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento della proprietà, rimanendo pertanto identici, nella sostanza, sia il bene effettivamente chiesto sia la causa petendi costituita dal contratto, del quale ci si limita a prospettare soltanto una diversa qualificazione giuridica, rispetto alla domanda originaria – è anch’esso risalente, tanto che le Sezioni unite, proprio per la non uniformità di interpretazioni delle Sezioni semplici, hanno già avuto modo di esaminare il problema, prima nella sentenza del 20 luglio 1971, n. 2362 e poi nella sentenza del 5 marzo 1996, n. 1731.

Detto questo, il merito di aver rivitalizzato tale orientamento è della ordinanza della Sezione sesta-Sottosezione terza 3 settembre 2013, n. 20177. L’emanazione della successiva ordinanza interlocutoria 30.01.2014 n. 2096 è stata determinata proprio dalla presenza di un provvedimento recente che si è distaccato dall’orientamento tradizionale, oltretutto con argomenti molto interessanti e nuovi (per la materia).

Secondo l’orientamento che ad oggi trova minor seguito in giurisprudenza, ove l’attore abbia chiesto con atto di citazione una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (fondata sull’esistenza di una scrittura privata da egli qualificata inizialmente come preliminare di vendita immobiliare), si potrebbe articolare anche successivamente alla fase della trattazione la richiesta in via subordinata di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento della proprietà del medesimo immobile, qualificando quindi in via alternativa il negozio come definitivo. In virtù della considerazione per cui il bene della vita richiesto attraverso le due diverse azioni sarebbe il medesimo (il trasferimento del diritto di proprietà in capo all’attore) ed alla luce del rilievo per cui la causa petendi sarebbe costituita dalla “medesima massa fattuale”, ci troveremmo in tali casi dinanzi ad una semplice specificazione della pretesa originaria, come tale qualificabile alla stregua di una emendatio libelli. La recentissima ordinanza summenzionata sembra accogliere queste deduzioni.

A cosa si deve secondo Lei questo “cambio di rotta”?

Deve essere, preliminarmente considerato che ogni provvedimento giurisdizionale va valutato, in primo luogo, tenendo conto della fattispecie specificamente esaminata e che ciò è dimostrato, in modo emblematico, nel presente caso, dalla diversità tra la fattispecie oggetto dell’ordinanza n. 20177 del 2013 e quella cui si riferisce l’ordinanza interlocutoria n. 2096 del 2014.

Fatta questa premessa, in realtà nella ordinanza n. 20177 del 2013, la suddetta tesi è stata seguita solo implicitamente, come accade nei provvedimenti giurisdizionali. La Corte, infatti, dopo aver sottolineato la indubbia diversità (per oggetto astratto e per causa petendi) della domanda di accertamento dell’avvenuto trasferimento della proprietà rispetto a quella diretta ad ottenere una sentenza costitutiva degli effetti del trasferimento, ha precisato che, nel caso in esame l’intento empirico perseguito dalla parte attrice con la domanda subordinata (di accertamento dell’avvenuto trasferimento della proprietà) non solo era sostanzialmente coincidente con quello azionato con la domanda introduttiva – essendo quello del riconoscimento di effetti giuridici stabili, definitivi e suscettibili di trascrizione nei registri immobiliari alla promessa di trasferimento della proprietà di cui ad una scrittura privata – ma soprattutto l’accoglimento della domanda asseritamente nuova non avrebbe richiesto alcuna indagine su fatti nuovi e diversi da quelli acquisiti al giudizio e discussi dalle parti fin dall’inizio del procedimento, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio.

In questa situazione alla Corte è parso che ripercorrere la strada interpretativa maggioritaria avrebbe comportato una violazione dei principi costituzionali in tema di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111 Cost., i quali impongono anche di uniformare per quanto possibile l’interpretazione delle norme processuali ad un principio di conservazione degli atti compiuti, in ogni caso in cui l’interpretazione utile sia compatibile con il testo della legge e sempre che non ne derivi pregiudizio a principi inderogabili, quali la garanzia del diritto di difesa, o del principio del contraddittorio, o ad altri di pari importanza.

Sicché la base concettuale della decisione – e la sua novità – è, a mio avviso, proprio quella di aver fatto riferimento in questa materia ai principi di cui all’art. 111 Cost. e, in particolare, al ruolo centrale che, nell’amministrazione della giustizia, va dato al principio di effettività della tutela, che si collega con la naturale finalizzazione del processo ad una pronuncia di merito, in linea con il “principio di economia del e nel processo” – cui hanno fatto esplicito riferimento anche le Sezioni unite nella recente sentenza 11 aprile 2014, n. 8510 – e, comunque, sempre nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, la cui migliore tutela è data – come ci insegna Chiovenda – da una risposta alla domanda di giustizia in tempi ragionevoli, visto che il tempo è la nostra maggiore ricchezza.

Lei ha affermato che qualsivoglia commento sulle sentenze e sulle relative motivazioni non possa essere effettuato senza tener conto del sistema spazio-temporale nel quale le statuizioni vengono emesse.

Infatti, come questa vicenda dimostra in modo evidente, anche nei sistemi di civil law, come il nostro – e questo vale, a maggior ragione per i sistemi di common law, cui, ad esempio, fanno riferimento le sentenze della Corte di Strasburgo – il commento e/o la valutazione delle sentenze – e delle relative motivazioni – ne presuppongono la “storicizzazione”, che implica che si tenga conto non solo della specifica fattispecie esaminata, ma anche del contesto spazio-temporale nel quale le sentenze sono emanate. Ciò in quanto, da quando venne introdotto, prima del Regno delle due Sicilie e poi da lì in Italia e in Europa l’obbligo di motivazione – grazie alla diffusione progressiva del contenuto della famosa Prammatica del 27 settembre 1774 del re Ferdinando di Borbone – la motivazione delle sentenze ha acquisito un ruolo centrale per individuarne il contenuto, quale apparato logico-giuridico destinato a sorreggere il momento autoritario del decisum. Peraltro, essendo, di per sé, la costruzione di tale apparato espressione di un giudizio di valore, ne risulta che le statuizioni in essa espresse debbano essere, per loro natura, contestualizzate, nei termini suddetti.

Ciò, del resto, è coerente con la finalità propria del diritto quale scienza da includere nel novero delle scienze sociali – le quali, nell’ambito della categoria delle c.d. “scienze umane”, sono caratterizzate dal fatto di studiare comportamenti collettivi – finalità che, nel momento dell’esercizio della attività giurisdizionale, emerge in modo particolarmente significativo per gli effetti incisivi che ne derivano.

È, a mio avviso, nella suddetta caratteristica, propria delle sentenze, che va ricercata la ragione dei ricorrenti contrasti interpretativi che caratterizzano ad esempio la presente vicenda, nella quale, fin dagli anni sessanta del novecento, hanno cominciato a manifestarsi contrasti interpretativi nella giurisprudenza di legittimità, tanto da provocare già ben due pronunce delle Sezioni unite (sentenza del 20 luglio 1971, n. 2362 e poi nella sentenza del 5 marzo 1996, n. 1731).

A mio avviso, questo – soprattutto dopo l’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 374 cod. proc. civ. e del correlativo nuovo assetto dei rapporti tra le Sezioni unite e le Sezioni semplici della Corte – non incide, di per sé, negativamente sul fondamentale principio della prevedibilità delle decisioni – di origine UE – e sulla funzione di nomofilachia, ma, anzi, dimostra come, a pieno titolo la giurisprudenza della Corte di cassazione possa essere qualificata con l’espressione “diritto vivente”, che presuppone che essa non possa non risentire delle modifiche del complessivo quadro costituzionale e normativo che vengono, via via introdotte.

Le S.U. nel ‘96 aderirono al precedente “consolidato” e più rigoroso in base al quale costituisce una domanda nuova quella del creditore che dopo aver invocato l’esecuzione specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c. di un contratto preliminare rimasto inadempiuto, aggiunge, sebbene in via subordinata, nelle conclusioni del giudizio di primo grado ovvero nell’atto di appello, un’ulteriore domanda con la quale chiede la pronuncia di una sentenza che accerti l’avvenuto effetto traslativo del bene oggetto di trasferimento del negozio giuridico, qualificando il rapporto in via alternativa come vendita per scrittura privata.

Lei ritiene che, in virtù dell’art. 111 cost. e dei principi sulla ragionevole durata del processo, possa ancora avallarsi detta tesi?

Non mi sembra opportuno esprimere una mia opinione quando la questione è all’esame delle Sezioni unite. Mi limito, quindi, ad osservare che la sentenza delle SU del 1996, così come quella precedente del 1971 – che hanno entrambe aderito alla c.d. tesi più rigorosa, secondo cui nelle suddette ipotesi, si configura una domanda nuova, caratterizzata da una diversa causa petendi e da un differente petitum, come tale inammissibile – vanno anch’esse “storicizzate”, come ho detto prima. E questo già si percepisce dal fatto che oggi piuttosto che qualificare la tesi ivi seguita come “più rigorosa”, penso sia più esatto qualificarla come “tradizionale”. Aggiungo, per finire, che le Sezioni unite e quelle semplici della Corte di cassazione, specialmente dopo la riforma dell’art. 111 Cost. sono pervenute, sulla base del principio di conservazione degli atti processuali compiuti, al superamento di consolidati indirizzi interpretativi, come è accaduto, per esempio, per la translatio judicii.

Ultima modifica il 01 Ottobre 2014