La tematica concerne le misure compensative e dispensative concesse nei concorsi pubblici ai candidati dislessici; spesso tali mezzi compensativi non vengono completamente concessi o vengono concessi con strumentazioni elettroniche difettose o non efficienti.
I candidati dislessici, per quanto concerne i test d’ingresso, possono sostenere le prove di accesso con un tempo ulteriore pari al 30% in più, nonché fruire di ulteriori misure quali tutor lettore, calcolatrici ecc.; ciò è concesso nel nostro ordinamento al fine di colmare il divario con gli altri concorrenti.
In un precedente articolo avevamo commentato una nostra giurisprudenza in cui si rappresentava come i tribunali avessero oramai sancito il principio secondo cui non basta concedere al candidato un tempo aggiuntivo poiché la misura aggiuntiva può essere vanificata dalla presenza di elementi di disturbo che incidono direttamente sul risultato della prova del soggetto affetto da disturbo dell’apprendimento facendo aumentare la percentuale di errore.
Ad essere violate nei casi suesposti sono gli artt. 2 e 5 della legge n. 170/2010 nonché l’art. 3, comma 2, Cost.; il comportamento della P.A. configura una disparità di trattamento, una figura sintomatica dell’eccesso di potere.
L’ordinamento difatti pone l’obiettivo della eguaglianza sostanziale delle persone con DSA in via generale in materia di istruzione, sia nella fase di accesso che in quella di formazione, per arrivare, in ultimo, ad eguali opportunità in campo sociale e professionale.
Con decise parole scolpite in una pregiata sentenza il T.A.R. del Lazio sostiene che “La legge declina, dunque, operativamente il percorso verso l’obiettivo dell’eguaglianza sostanziale e lo fa scolpendo un vero e proprio diritto, in capo alle persone con diagnosi di DSA, ad utilizzare anche negli studi universitari – e a maggior ragione nell’accesso ai percorsi universitari a numero chiuso – misure compensative e dispensative idonee ad abbattere il divario con gli altri candidati”.
Sempre secondo il T.A.R., con i detti principi risalta l’illegittimità del comportamento della P.A. che, quando non accorda buona parte delle misure richieste, nei fatti non mette i candidati in grado di concorrere alle prove concorsuali in situazione di sostanziale parità con gli altri candidati.