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Pubblicato in Istruzione

Incarichi retribuiti extra officio assunti da docenti universitari e conflitto d’interessi

by Avv. Lorenzo Canullo on09 Settembre 2015

L’art. 53, comma 7, del DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (GU n.106 del 9-5-2001 - Suppl. Ordinario n. 112 ), prevede 

quanto segue:”…I dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi  retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall'amministrazione di appartenenza.  Ai  fini  dell'autorizzazione, l'amministrazione  verifica  l'insussistenza  di  situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Con riferimento ai  professori universitari a tempo pieno, gli statuti o i regolamenti degli atenei disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione nei casi previsti dal presente decreto. In  caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte deve essere  versato, a cura dell'erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell'entrata del bilancio dell'amministrazione di appartenenza del dipendente  per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di  fondi equivalenti …”.

L’art. 53, comma 10, del D.lgs 165/2001 s.m.i. stabilisce che: “… L'autorizzazione, di cui ai commi  precedenti, deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico; può, altresì, essere richiesta dal dipendente   interessato. L'amministrazione di appartenenza deve pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta stessa. Per il personale che presta comunque  servizio presso amministrazioni pubbliche diverse da quelle di appartenenza, l'autorizzazione e'   subordinata all'intesa tra le due amministrazioni. In tal caso il termine per provvedere e' per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni e si prescinde dall'intesa se l'amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio non si pronunzia entro 10 giorni dalla  ricezione  della richiesta di intesa da parte dell'amministrazione di appartenenza. Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione, se richiesta per incarichi da conferirsi da amministrazioni pubbliche,  si  intende accordata; in ogni altro caso, si intende definitivamente negata …”.

L’art.53, comma 12, del D.lgs 165/2001 s.m.i. prevede che: “… Le amministrazioni pubbliche  che  conferiscono  o  autorizzano incarichi, anche a titolo gratuito, ai propri  dipendenti  comunicano in via telematica, nel termine di quindici  giorni, al Dipartimento della funzione pubblica gli incarichi  conferiti o autorizzati ai dipendenti stessi, con l'indicazione dell'oggetto dell'incarico e del compenso lordo, ove previsto. La comunicazione e' accompagnata da una relazione nella quale sono indicate le norme in applicazione delle quali gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati, le  ragioni del conferimento o  dell'autorizzazione, i criteri di scelta dei dipendenti cui gli incarichi sono stati conferiti o autorizzati e la rispondenza dei medesimi ai principi di buon andamento dell'amministrazione, nonché le misure che si intendono adottare per il contenimento della spesa. Entro il 30 giugno di ciascun anno e con le stesse modalità le amministrazioni che, nell'anno precedente, non hanno conferito o autorizzato incarichi ai propri dipendenti, anche se comandati o fuori  ruolo, dichiarano di non aver conferito o autorizzato incarichi”.

Quindi la normativa generale, antecedente all’entrata in vigore della c.d. Legge Gelmini (LEGGE 30 dicembre 2010, n. 240 s.m.i.), rispetto all’universo del pubblico impiego, riservava ai docenti universitari un particolare regime, rinviando nel dettaglio agli statuti e ai regolamenti di Ateneo.

Nel dettaglio l’art. 6, comma 9, della legge 240/2010 s.m.i. stabilisce che: “ La posizione di professore e ricercatore e' incompatibile con l'esercizio del commercio e dell'industria, fatta   salva la possibilità di costituire società con caratteristiche di spin off o di start up universitari, ai sensi degli articoli 2 e 3 del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297, anche assumendo in tale  ambito responsabilità formali, nei limiti temporali e secondo la disciplina in materia dell'ateneo di  appartenenza, nel rispetto dei criteri definiti con regolamento adottato con decreto del Ministro  ai  sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto  1988, n. 400. L'esercizio di attività libero-professionale e' incompatibile con il regime di tempo pieno. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 13, 14 e 15 del decreto del Presidente della Repubblica 11  luglio 1980, n. 382, fatto salvo quanto stabilito dalle convenzioni adottate ai sensi del comma 13 del presente articolo …”.

In particolare l’art. 6, comma 10, della legge 240/2010 s.m.i. prevede che: “…I professori e i ricercatori a  tempo  pieno,  fatto  salvo  il rispetto  dei   loro   obblighi   istituzionali, possono svolgere liberamente, anche con retribuzione, attività di valutazione e di referaggio, lezioni e seminari di carattere occasionale, attività di collaborazione scientifica e di consulenza, attività di comunicazione  e  divulgazione scientifica e culturale, nonché attività pubblicistiche ed editoriali. I professori e i  ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, previa autorizzazione del rettore,  funzioni didattiche e di ricerca, nonché compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di  subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purché non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l'università di appartenenza, a condizione comunque che l'attivita' non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall'università' di appartenenza …”.

Di conseguenza, anche l’attività di consulenza con retribuzione può essere svolta liberamente (fermo restando il vincolo proprio del regime di lavoro a tempo pieno) e gli Atenei hanno regolamentato ciò ascrivendola nei vari regolamenti fra le attività esercitabili senza previa autorizzazione.

Va, però, rilevato che la suddetta norma debba essere letta in combinato disposto con quanto stabilito dall’art. 2, comma 4 della legge c.d. Gelmini, in base al quale: “ … Le università che ne fossero prive adottano entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge un codice etico della comunità universitaria formata dal personale docente e ricercatore, dal personale tecnico-amministrativo e dagli studenti dell'ateneo. Il codice etico determina i valori  fondamentali  della comunità universitaria, promuove il riconoscimento e il rispetto dei diritti individuali, nonché l'accettazione di doveri e responsabilità nei confronti dell'istituzione di appartenenza, detta le regole di condotta nell'ambito della comunità. Le norme sono volte ad evitare ogni forma di discriminazione e di abuso, nonché  a regolare i casi di conflitto di  interessi o di proprietà intellettuale. Sulle violazioni del codice etico, qualora non ricadano sotto la competenza del collegio di disciplina, decide, su proposta del rettore, il senato accademico …”.

In via esemplificativa, l’Università degli Studi di Bologna ha adottato un codice etico, che all’art. 31 prevede quanto segue: “ … 1. Il dipendente si astiene dal prendere decisioni e dallo svolgimento di attività inerenti alle sue mansioni in situazioni di conflitto con interessi personali, del coniuge, del convivente, di parenti e affini entro il secondo grado o che possano coinvolgere interessi di persone con le quali abbia frequentazione abituale, causa pendente, grave inimicizia, rapporti finanziari o societari significativi. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. 2. Il dipendente comunica al Responsabile della Struttura di appartenenza l’esistenza di una situazione di conflitto d’interessi. Tale conflitto può riguardare interessi di qualsiasi natura, anche non patrimoniali. 3. Ferma restando la disciplina d’Ateneo in materia di incompatibilità ed incarichi extraistituzionali, il dipendente che ricopra cariche gestionali o di rappresentanza in enti pubblici e privati, anche non partecipati, si astiene dal prendere o partecipare a decisioni nell’ambito di tali organismi in conflitto d’interessi o in contrasto con l’Ateneo, comunicando all’Amministrazione tale situazione di conflitto. 4. Le comunicazioni di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo sono rese in forma scritta e, ove possibile, in via preventiva rispetto al compimento delle attività. L’ufficio o l’organo competente, assunte le informazioni necessarie, decide sull’astensione e adotta gli atti conseguenti, dandone comunicazione scritta al dipendente. Qualora il conflitto di interessi riguardi un dirigente, la decisione è assunta dal Direttore Generale; nel caso in cui riguardi il Direttore Generale, un Direttore di Dipartimento, un Presidente o Vicepresidente di Scuola la decisione è assunta dal Rettore …”.

In estrema sintesi, il fatto che un’attività di consulenza non debba costituire oggetto di previa autorizzazione, non esclude che incomba sul previo esercizio della stessa l’obbligo del docente di comunicare all’Ateneo la natura, dell’oggetto e della durata dell’incarico, nonché dell’articolazione temporale dell’impegno richiesto. E ciò si basa sulla considerazione che il docente, quale dipendente e nel rispetto del codice etico, debba non solo comportarsi nei confronti del datore di lavoro secondo criteri improntati al rispetto della correttezza e della buona fede, ma deve mettere l’Ateneo nelle condizioni di poter valutare la configurabilità o meno di un conflitto d’interessi. Quindi è il docente che a ragion veduta deve farsi parte diligente nel comunicare al proprio datore di lavoro le attività retribuite erogate a terzi e la mancata comunicazione costituisce violazione del codice etico e, quindi, illecito disciplinare, al concretizzarsi del quale incombe sul Rettore (che nel sistema disciplinare svolge la funzione di accusa davanti al Collegio di disciplina[1]) l’obbligo di procedere. Il parallelo tra illecito etico e illecito disciplinare trova il proprio fondamento, non nella legge 190/2012 e nel suo DPR 16 aprile 2013, n. 62 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 4 giugno 2013, n. 129) contenente il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, che, sebbene normativa successiva alla c.d. legge Gelmini, è in rapporto di generalità rispetto a quest’ultima[2], ma nell’art. 2, comma 4, della legge c.d. Gelmini che espressamente stabilisce che: “…Sulle  violazioni  del  codice  etico,  qualora  non ricadano sotto la competenza del collegio di disciplina, decide, su proposta del rettore, il senato accademico …”.

Volendo trarre una prima conclusione, dunque, la mancata comunicazione di una consulenza retribuita, ancorché non soggetta ad autorizzazione, costituisce illecito disciplinare.

Posto ciò si rilevano particolari profili di criticità, laddove i regolamenti interni degli Atenei sugli incarichi retribuiti ex officio, dopo aver sgomberato il campo dal regime autorizzatorio rispetto alle “consulenze non riconducibili per continuità ed intensità ad attività libero-professionale[3]”, non si siano soffermati sulla necessità di ricordare che, comunque, resta salvo l’assolvimento degli obblighi di comunicazione al datore di lavoro al fine di scongiurare eventuali casi di conflitto d’interesse. In maniera oculata, il regolamento (art. 4, commi 3 e 4) dell’Università degli studi di Milano ha previsto che : “… Le attività sopra elencate (ndr: non soggette a previa autorizzazione) possono essere svolte a condizione che non comportino costi per le strutture universitarie, né l’utilizzo di risorse umane logistiche e strumentali dell’Ateneo, non determinino situazioni di conflitto di interesse con l’Università e non rappresentino detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali. (…) Le attività di cui al comma 1 (ndr: non soggette a previa autorizzazione), limitatamente a quelle retribuite e con carattere di continuità, devono essere comunicate in via preventiva, e comunque almeno quindici giorni prima del loro avvio, al Rettore e al Direttore del Dipartimento di appartenenza dell’interessato con l’indicazione della natura, dell’oggetto e della durata dell’incarico, nonché dell’articolazione temporale dell’impegno richiesto”.

In conclusione e a parere di chi scrive, l’attuale quadro regolamentare degli incarichi retribuiti extra officio assunti da docenti universitari è sì sottratto, per le fattispecie di cui l’art. 6, comma 10, della legge 240/2010 s.m.i., ad un regime autorizzatorio, ma non ad un obbligo di preventiva comunicazione dell’interessato, onde consentire al datore di lavoro di valutare la rilevanza di eventuali conflitti d’interesse o di non inibire lo svolgimento dell’attività secondo i principi generali del silenzio-assenso.


[1] Si veda VIOLA Luigi, Il procedimento disciplinare dei docenti universitari dopo la riforma Gelmini, in Federalismi.it, n.3/2011.

[2] MATTARELLA Giorgio Bernardo, La responsabilità disciplinare dei docenti universitari dopo la legge Gelmini, in Giornale di diritto amministrativo, 1/2013, pp. 99-100.

[3] Presumibilmente non riferita ad attività erogata a regime IVA o forfettario.

Ultima modifica il 09 Settembre 2015