“Mi amo da morire”: la violenza economica e la Costituzione, gli strumenti legali per restituire i diritti.
Parlare oggi di violenza di genere, e in particolare di violenza economica, significa confrontarsi con un fenomeno che attraversa il diritto penale, civile, del lavoro, dell’amministrazione pubblica e persino il Governo della professione forense.
È una violenza che non lascia lividi sulla pelle, ma li lascia nelle opportunità negate. Una violenza che non si vede, ma che produce effetti devastanti e che per decenni è rimasta non studiata, non nominata, non riconosciuta. Solo da poco la letteratura, anche internazionale, ha iniziato a considerarla come forma autonoma di abuso. Oggi, la nozione di "violenza economica" ha trovato pieno riconoscimento normativo, ad esempio nella disciplina dell'ammonimento del questore per violenza domestica, che la definisce come uno o più atti di violenza che si verificano all'interno della famiglia (ex multiisTribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo - Sezione staccata di Pescara sente. num. 503 del 2022).
I dati ISTAT 2024 ci dicono che nel 64% dei casi la dipendenza economica, l’assenza di autonomia è uno dei principali motivi per cui non viene sporta denuncia.
- La cornice costituzionale: il primo argine alla violenza. La nostra Costituzione ha costruito un sistema di garanzie formalmente incompatibile con qualunque forma di sopraffazione economica.
- L’Art. 2:tutela i diritti inviolabili della persona, e l’autonomia economica ne è una componente essenziale (l’art. 2 riporta che la Repubblica richiede “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
- L’Art. 3: pone il principio della c.d.eguaglianza sostanziale, che impone allo Stato di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che possano divenire fonte di discriminazione dell’uguaglianza tra i cittadini.
- L’Art. 29 e 30: sullaparità morale e giuridica dei coniugi.
- L’Art. 35–37:sulla protezione del lavoro femminile e sulla parità di retribuzione: “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di Lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di Lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
- L’Art. 41:l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con la dignità umana.
La stessa Corte costituzionale, ha più volte affermato che la libertà economica è componente essenziale per l’esplicazione dell’identità personale (ex multiis C.Cost. sent. nn. 141/2019 e 122/2024). La Suprema Corte ha censurato una presunzione assoluta che negava benefici statali alle vittime di reati in base ai loro legami familiari con soggetti legati alla criminalità, affermando che tale presunzione si configura come uno "stigma per l’appartenenza a un determinato nucleo familiare" (Corte Cost., sentenza n. 122 del 10 luglio 2024). Questo principio è fondamentale: la vittima di violenza economica non può essere giudicata o penalizzata per il contesto familiare da cui cerca di affrancarsi, ma deve essere valutata per la sua condizione individuale, garantendole il diritto di agire e difendersi in giudizio (art. 24 Cost.). La Corte afferma così che la libertà personale non può essere ricondotta alla mera libertà fisica, ma va intesa come la capacità di autodeterminarsi, di compiere scelte non condizionate anche da pressioni economiche. La privazione di mezzi come strumento di controllo. Per la Corte la dignità non è un concetto astratto, ma una condizione concreta; la violenza economica costringe la persona a rimanere in una situazione di abuso, per questo per la sentenza n. 122 la violenza economica è una lesione alla dignità personale.
- Il quadro normativo nazionale e internazionale.
La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domesticaanche nota come Convenzione di Istanbul(approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l'11 maggio 2011 a Istanbul), ratificata con Legge n. 77/2013, è il primo strumento internazionale a definire la violenza economica come forma di violenza domestica, imponendo agli Stati obblighi di prevenzione, protezione, perseguimento e politiche integrate.
La Convenzione impone così quattro pilastri: prevenzione, protezione, perseguimento e politiche integrate. Tuttavia, l'attuazione in Italia resta incompleta, specialmente per quanto riguarda le politiche economiche preventive. L'articolo8 della Convenzione, in particolare, impegna gli Stati a stanziare "risorse finanziarie appropriate per un’adeguata attuazione di politiche integrate", un obbligo la cui effettività è stata oggetto di analisi anche da parte della Corte dei Conti [Deliberazione n. 9/2016/G e Relazione]. La Corte ha rilevato carenze, ritardi e inefficienze nella gestione e nell’erogazione dei fondi destinati ai centri antiviolenza e alle case rifugio; ha poi criticato l’assenza di un monitoraggio sull’uso delle risorse da parte delle Regioni, chiedendo che i fondi giungessero efficacemente ai Servizi a sostegno delle vittime di violenze.
b.1. Il Diritto Penale e il "Codice Rosso" (L. 69/2019)Sebbene il "Codice Rosso" abbia accelerato la trattazione delle denunce, la violenza economica è spesso assorbita in reati più ampi come i maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.). La Cassazione Penale, sez. III, 19 gennaio 2016, n. 18937, ha chiarito che privare il partner dei mezzi economici necessari integra il delitto di maltrattamenti, qualificando tale condotta come una "grave forma di sopraffazione nella relazione". Inoltre, la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 9 del 2025, ha evidenziato come la vulnerabilità della vittima possa persistere anche dopo la cessazione della convivenza e che quindi il campo di indagine si allarga anche dopo l’allontanamento del soggetto e oltre le mura domestiche.
b.2. Le misure economiche della Legge di Bilancio 2024 (L. 213/2023).La Legge di Bilancio 2024 ha introdotto un esonero contributivo totale per i datori di lavoro privati che assumono donne disoccupate vittime di violenza nel triennio 2024-2026. L'esonero è del 100%, fino a un massimo di 8.000 euro annui, per 24 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato e per 12 mesi (estesi a 18 in caso di trasformazione) per i contratti a termine (LEGGE 30 dicembre 2023, n. 213).
c. Violenza economica e Diritto del Lavoro. L'autonomia economica è una delle vie di uscite dalla violenza. Il mondo del lavoro è quindi un ambito cruciale per la prevenzione e il contrasto.
La Convenzione OIL (ovvero il trattato internazionale adottato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro)n. 190 ha avuto nell’ambito giuridico una portata innovativa, con la finalità dimirare all’eliminazione della violenza nel mondo del lavoro. Ratificata con Legge n. 4/2021, la Convenzione OIL n. 190 ha introdotto la prima definizione internazionale di "violenza e molestie" nel mondo del lavoro, includendo esplicitamente il danno economico. L'art. 1 definisce tale violenza come: “... un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un'unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, e include la violenza e le molestie di genere”.
Il Tribunale di Roma (sentenza n. 791/2024) ha sottolineato come la detta convenzione abbia arricchito l'ordinamento nazionale, promuovendo un rafforzamento delle tutele per un lavoro dignitoso. L’interessante sentenza concerne un caso in materia di molestie sessuali e licenziamento e stabilisce importanti principi sulla fattispecie di molestia sessuale nell’ambiente di Lavoro, stabilendo che non è necessario che l’atto raggiunga l’intento, ma è sufficiente che la condotta determini un ambiente ostile. Il caso concerneva un collega di lavoro introdotto nel bagno delle donne che avrebbe chiesto se andava bene aspettando la collega prendendola per un braccio. La collega si divincolava e se ne andava. Per il Tribunale la molestia si configura con la mera violazione della dignità del lavoratore, creando un clima offensivo e nel caso di specie venivano ritenuti irrilevanti elementi quali l’assenza di intenzione di offendere e di un pregresso rapporto di confidenzialità.
Cruciale nella Convenzione Oil è l'art. 10, che impegna gli Stati membri a riconoscere gli effetti della violenza domestica e, nella misura in cui ciò sia ragionevolmente fattibile, attenuarne l'impatto nel mondo del lavoro. Tale obbligo sposta la violenza domestica da fatto puramente privato a questione che interpella direttamente il datore di lavoro, chiamato ad adottare misure di supporto. L’art. 10 riconosce il legame tra la sfera privata e lavorativa.
c.1. La "Violenza Economica di Sistema" e la Discriminazione Indiretta. La violenza economica di sistema e la discriminazione indiretta sono concetti collegati. La violenza economica di sistema si manifesta a livello macro come il divario di genere. La discriminazione indiretta è un meccanismo legale che puo’ applicare politiche apparentemente neutre che però svantaggiano le donne.Il concetto di "violenza economica di sistema", citato nella sentenza della Cassazione, sez. lavoro, n. 29914/2021, trova concreta applicazione nella giurisprudenza sulla discriminazione indiretta di genere. La Corte di Cassazione (con la recente sentenza n. 4313 del 19 febbraio 2024) ha stabilito che svalutare il lavoro part-time ai fini delle progressioni economiche costituisce una discriminazione indiretta. La Corte ha motivato la sua decisione facendo leva su un "notorio dato sociale" ossia che “la preponderante presenza di donne nella scelta per il lavoro a tempo parziale è da collegare al notorio dato sociale del tuttora prevalente loro impegno in ambito familiare e assistenziale, sicché la discriminazione nella progressione economica dei lavoratori part-time andrebbe a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell’accesso al mondo del lavoro”.
Questa pronuncia è fondamentale perché riconosce come prassi aziendali apparentemente neutre possano perpetuare una disuguaglianza economica strutturale a danno delle donne. Sulla stessa linea, la giurisprudenza ha censurato l'equiparazione tra indennità di maternità e indennità di malattia, affermando la netta distinzione tra i due istituti e la necessità di un'interpretazione estensiva delle norme antidiscriminatorie per dare attuazione ai principi costituzionali (art. 37 Cost.) e della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE.
Proprio in tale otticadiversi Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) hanno iniziato a recepire queste tutele, andando oltre gli obblighi di legge e i meri impegni del tutto generici.
- Il CCNL Autostrade e Trafori prevede per le lavoratrici inserite in percorsi di protezione un congedo retribuito e il diritto alla trasformazione del rapporto da tempo pieno a part-time, con il diritto inverso a richiederne la riconversione a tempo pieno [CCNL 18 luglio 2023 per i dipendenti da imprese esercenti attività di gestione delle infrastrutture viarie a pedaggio, delle attività e dei servizi connessi a supporto dei sistemi di viabilità integrata]
- Il CCNL Pubblici esercizi rinnovato ne 2024: introduce l’articolo denominato “Congedi per le donne vittime di violenza di genere” con l’introduzione di una serie di misure, in capo al datore di lavoro al fine di rendere lo stesso parte attiva nella tutela delle donne vittime di violenza: “le lavoratrici inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, ai sensi e per gli effetti dell'art. 24 D.lgs. 80/2015 e successive modificazioni ed integrazioni, debitamente certificati dai servizi sociali del Comune di residenza o dai centri antiviolenza o dalle case rifugio, hanno diritto di astenersi dal lavoro per motivi connessi al percorso di protezione per un periodo massimo di 90 giorni lavorativi, così come previsto dalla citata norma di legge.
Ai fini dell'esercizio del diritto di cui al presente articolo, la lavoratrice, salvo casi di oggettiva impossibilità, è tenuta a preavvisare il datore di lavoro con un termine di preavviso non inferiore a sette giorni, con l'indicazione dell'inizio e della fine del periodo di congedo e a produrre la certificazione attestante l'inserimento nei percorsi di cui al precedente comma.
Il periodo di congedo di cui al comma 1 è computato ai fini dell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, nonché ai fini della maturazione delle ferie, della tredicesima mensilità, della quattordicesima mensilità e del trattamento di fine rapporto.
Durante il periodo di congedo, la lavoratrice, posto quanto previsto dal comma 3, ha diritto a percepire un'indennità corrispondente all'ultima retribuzione e il periodo medesimo è coperto da contribuzione figurativa.
L'indennità viene anticipata dal datore di lavoro e posta a conguaglio con i contributi dovuti all'Inps, secondo le modalità previste per la corresponsione dei trattamenti economici di maternità. Il congedo può essere usufruito su base oraria o giornaliera nell'arco temporale di tre anni dalla data di inizio del percorso, la lavoratrice può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria, fermo restando che la fruizione su base oraria è consentita in misura pari alla metà dell'orario medio giornaliero del mese immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo.
La lavoratrice ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale.
La lavoratrice inserita nei percorsi di protezione di cui al comma 1, può presentare domanda di trasferimento presso altri appalti e/o sede di lavoro, anche ubicati in altro comune e/o regione. Entro sette giorni dalla suddetta comunicazione, l'azienda, verificata la disponibilità di posizioni lavorative in altri appalti e/o sedi di lavoro, si impegna a trasferire la lavoratrice, ove possibile. Ove possibile, le Associazioni datoriali di categoria, firmatarie del presente CCNL, anche tramite gli enti bilaterali, si rendono, altresì, disponibili a valutare la ricollocazione della lavoratrice in altre aziende associate, nel caso in cui l'azienda oggetto della richiesta di trasferimento della lavoratrice abbia un'unica sede di lavoro.
Al termine del percorso di protezione e per il periodo di un anno, l'azienda su richiesta della lavoratrice valuterà positivamente l'assegnazione ad un orario di lavoro che tenga conto delle esigenze della lavoratrice, salvo comprovate esigenze organizzative”.
c.2. Il Diritto Amministrativo: Prevenzione e Azioni Positive. L'azione della Pubblica Amministrazione è decisiva nella prevenzione e nel supporto alle vittime, in attuazione del principio di buon andamento sancito dall'art. 97 della Costituzione.
L'Ammonimento del Questore: Natura e LimitiL'ammonimento del Questore è una misura di prevenzione applicabile anche alla violenza economica. La giurisprudenza amministrativa ha delineato con precisione i contorni di questo strumento.
- Il TAR Pescara (sent. n. 503/2022) ha annullato un ammonimento emesso senza aver sentito il presunto autore, per violazione del principio del contraddittorio.
- Il TAR Emilia-Romagna (sent. n. 781/2019) ha chiarito un principio fondamentale: le misure di prevenzione amministrative non sono soggette al principio penalistico della presunzione di non colpevolezza. Esse si basano su una valutazione prognostica della pericolosità sociale fondata su elementi di fatto, che non richiedono il grado di certezza probatoria necessario per una condanna penale [SENTENZA del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna - Bologna num. 781 del 2019].
Le "Azioni Positive" come Strumento di Uguaglianza SostanzialeUn ruolo centrale è svolto dalle "azioni positive" previste dal Codice delle Pari Opportunità (D.Lgs. 198/2006). Il Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 4294 del 2021, ha ribadito che tali misure sono finalizzate a rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunità, in un'ottica di uguaglianza sostanziale. Nella ordinanza il Consiglio di Stato ha sollevato una questione di legittimità costituzionale (poi accolta nel 2022 dalla Corte con sentenza n. 65) sulla rappresentatività di entrambi i sessi nelle liste elettorali per comuni con popolazione inferiore ai 5000 abitanti, ma senza specificare una sanzione in caso di elusione o mancato rispetto. La Corte Costituzionale intervenne così nel 2022 prevedendo de facto che le liste elettorali che non assicurano la parità di genere devono essere secluse. L'obiettivo è quello di superare la visione della donna come mero "strumento di protezione dell’identità nazionale quale moglie e madre" per garantirne l'accesso a tutti gli ambiti della vita pubblica in condizioni di parità.
Tali azioni mirano in particolare a: a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità; b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione (ordinanza del Consiglio di Stato num. 4294 del 2021).
Da sempre la giurisprudenza prova a riaffermare un principio che dovrebbe essere elementare: una donna in gravidanza non può essere esclusa da un concorso pubblico a causa del proprio stato. Eppure quel principio, limpido sul piano giuridico, fatica ancora ad affermarsi nelle prassi amministrative in quanto tali episodi continuano a verificarsi in diversi concorsi dei più disparati enti, come ASL, polizia locale, esercito, guardia di finanza ecc.
Sul punto si veda la sentenza n. 8578/2021 del Consiglio di Stato sull’esclusione di una candidata dal concorso per finanzieri. Il CDS ha annullato l’esclusione affermando che lo stato di gravidanza può costituire, semmai, un impedimento temporaneoall’esecuzione degli accertamenti sanitari, ma non può mai giustificare un sacrificio definitivo del diritto della donna a partecipare al concorso. L’esclusione automatica equivale, infatti, a trattare la gravidanza come una patologia o, peggio ancora, come un ostacolo “colpevole” al buon andamento amministrativo.
Questa visione è completamente incompatibile sia con l’art. 3 della Costituzione, sia con gli artt. 31 e 37, che qualificano la maternità come valore sociale da proteggere e non da penalizzare. Ma il Consiglio di Stato compie un passo ulteriore e collega la vicenda alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europeache, da decenni, afferma che qualunque trattamento sfavorevole legato alla gravidanza costituisce discriminazione diretta. I giudici spiegano che il “bilanciamento” degli interessi non consiste nel sacrificare la candidata in gravidanza, ma nel trovare soluzioni organizzative compatibili con il principio di uguaglianza sostanziale: ad esempio, prevedere una visita medica posticipata, o una riserva in graduatoria.
Al di là di questi episodi più eclatanti, non sono rari i casi in cui anche aspiranti docenti, medici e funzionari, non riescono a svolgere concorsi pubblici perché in avanzato stato di gravidanza e dunque, senza tutele, semplicemente rinunciano. È la riproposizione, sotto altre forme, della stessa discriminazione che la giurisprudenza da anni dichiara illegittima, segno che la distanza tra la tutela formale e la realtà è ancora enorme.
Non da ultimo va ricordata l’ordinanza de 30 aprile 2025 n. 8482 con cui il TAR Lazio, sede di Roma, ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea la questione attinente alla discriminazione di cui soffrono le donne nell’accesso alle forze di Polizie. Nel caso concreto una giovane donna, candidata a un concorso nella Polizia di Stato, viene esclusa perché porta un piccolo tatuaggio sulla gamba. Un tatuaggio semplice, non offensivo. Un tatuaggio che non avrebbe creato alcun problema se avesse indossato la divisa maschile, quella con i pantaloni lunghi, ma che nel caso della candidata diventa fonte di esclusione in quanto la divisa ordinaria per le donne prevede la gonna ed i pantaloni possono essere indossati esclusivamente eccezionalmente e su espressa autorizzazione.
Anche noi avvocati non siamo immuni. Il rapporto CENSIS dell’Avvocatura di giugno 2025 vede nel 2024 un numero di iscritti pari a 233.260 di cui il 49% sono costituite da donne che fino ai 34 ani di età rappresentano il 57,2% del campione, mentre nella fascia di età superiore il 59.6% è costituito da uomini.
Osservando i dati incrociati tra classe di età e genere, emerge un quadro articolato con differenze sostanziali tra avvocate e avvocati e tra le diverse classi di età. Il dato sul reddito medio annuo di donne e uom ini restituisce una fotografia di una professione attraversata da differenze di genere non trascurabili: nel 2023 le avvocate hanno avuto un reddito medio pari a meno della metà di quello degli uomini avvocati, con una differenza di circa 30 mila euro; nonostante ciò risulta maggiore la crescita del reddito delle avvocate rispetto a quello dei colleghi uomini (5.5%).
Inoltre il la differenza di reddito cresce con il crescere dell’età: se gli avvocati sotto i trent’anni hanno un reddito rispetto alle colleghe della stessa classe di età mediamente di poco più di 2mila euro superiore, nella classe di età 60-64 anni la differenza supera i 44 mila euro.
Tali dati assumono particolare rilevanza se ci si sofferma a pensare che parliamo di una categoria di professionisti, gli avvocati, che svolgono una professione costituzionalmente tutelata. E’ il chiaro segno che nessuna categoria è esclusa dalle discriminazioni ed è immune da situazioni che possono essere abusanti.
Ad oggi quindi, occorre iniziare dal dare sostanza alle numerose parole che ricorrono in queste circostanze e ai numerosi propositi di rafforzamento degli strumenti a sostegno non solo del reddito, ma della genitorialità femminile e a sostegno del welfare. Credo che rimangano solo ottimi propositi perché alla base a mancare in primis è una cultura condivisa, quantomeno dei principi cardini e delle finalità essenziali da raggiungere.
I diritti che le donne hanno conquistato duramente negli anni sono sempre messi in discussione come se quelle lunghe e ripetute battaglie, concretizzatisi nel 46, nel 70 e nel 78, non siano mai avvenute.
Andrebbero previsti meccanismi che scoraggino le pratiche di overworking e valorizzino una gestione equilibrata del tempo, riconoscendo la conciliazione tra vita e lavoro come fattore strategico di qualità, efficienza e uguaglianza.
Parallelamente, è necessario rafforzare il sistema di welfare, ampliando durata e indennità dei congedi parentali e di paternità, rendendoli realmente accessibili anche ai lavoratori autonomi e precari, e accompagnando tali misure con un cambiamento della cultura aziendale. A ciò deve affiancarsi un investimento strutturale nei servizi di cura: potenziare la rete degli asili nido e della long-term care, superando la logica dei bonus occasionali a favore di un’offerta universale e di qualità, capace di alleggerire il carico sulle famiglie. Infine, va rafforzata l’autonomia economica delle donne attraverso politiche di educazione finanziaria strutturali e continuative, da introdurre nelle scuole e nei luoghi di lavoro e da estendere anche alle generazioni adulte. Occorre inoltre promuovere misure di inclusione che riducano i divari di accesso e utilizzo dei servizi bancari e di investimento, garantendo alle donne strumenti concreti di indipendenza economica.
Michele Bonetti
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