Nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 4, comma 1, della legge n. 40/2004 è consentito il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita solo con riferimento a ben specifiche ipotesi che vengono circoscritte a casi di sterilità o di infertilità che non sia possibile rimuovere altrimenti.
Questa norma, espressione di un principio cardine dell’intera normativa sulla procreazione medicalmente assistita, trovava evidenti punti di collisione con l’espressa previsione che sanciva il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (art. 4, comma 3).
Una disposizione in controtendenza rispetto a tante omologhe previsioni legislative europee e che tra i suoi risultati aveva prodotto il fenomeno di un “turismo procreativo” di massa verso paesi esteri da parte di coppie desiderose di coronare il sogno di diventare genitori.
Da più parti era stato infatti sollevato il dubbio che un siffatto divieto fosse in contrasto con una serie di norme costituzionali fondamentali. Tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e tutela della famiglia venivano in rilievo tra gli altri. Era infatti evidente che un divieto di tal genere non potesse garantire alle coppie a cui veniva diagnosticato un quadro di sterilità o infertilità irreversibile il diritto fondamentale alla piena realizzazione della vita privata familiare nonché il diritto di autodeterminazione in ordine ad essa. Per realizzarlo queste coppie dovevano varcare i confini nazionali ed investire tempo e risorse in autentici viaggi della speranza che a volte si sono rivelate costosissime truffe.
La Corte costituzionale ha fatto suoi questi rilievi sancendo la contrarietà del divieto alla procreazione assistita eterologa rispetto agli artt. 2, 3, 13, 31 e 32 della Costituzione.
E’ caduto dunque così il divieto di fecondazione assistita eterologa di cui all’art. 4, comma 3, della legge 40 del 2004 e con esso le previsioni normative correlate a partire dal sistema sanzionatorio previsto dall’art. 12, comma 1, nei confronti di coloro che a qualsiasi titolo utilizzino“a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente”.
L’intervento della Corte si poi è esteso agli incisi previsti dai commi 1 e 3 dell’art. 9 della Legge 40 che facevano riferimento al divieto di eterologa. Il testo dell’art. 9 rimane quindi immutato nelle altre sue parti con i punti fermi relativi al divieto di disconoscimento di paternità e alla prescrizione dell’assenza per il donatore di gameti di qualsiasi relazione giuridica parentale con il nato.
E’ calato dunque il sipario su una legge da molti definita sin dalla sua nascita come non al passo con i tempi. Sotto i riflettori oggi c’è una svolta rivoluzionaria che apre scenari fino a ieri impensabili nel dibattito bioetico.
Nell’attesa che la Corte pubblichi le motivazioni della sentenza sono già molti i problemi che si presentano sul tavolo del Ministro della Salute: dalla regolamentazione del diritto all’anonimato di chi cede i gameti alla questione delle banche del seme e degli ovociti con la relativa necessità di ribadire la gratuità della donazione, già prevista per sangue ed organi.
Si tratta di problematiche che molto probabilmente necessiteranno di un intervento organico del legislatore che dovrà essere finalizzato ad ammodernare una normativa che oggi è chiamata a fare i conti non solo con l’evoluzione della scienza ma anche dei diritti.