Pubblicato in Altri diritti

Migranti: la cartina di tornasole dell’Unione europea

by Cons. Lucia Tria della Corte di Cassazione on22 Settembre 2014

In occasione dell’imminente apertura del Convegno organizzato dalla Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia e i Minorenni pubblichiamo su gentile concessione della Consigliera Lucia Tria un estratto del suo intervento previsto a Todi per il prossimo 26 settembre sull’attualissimo tema della tutela delle persone migranti.

I migranti possono essere considerati come i “bambini” del mondo, non solo perché molto spesso sono minorenni – di frequente non accompagnati – ma anche perché si trovano a “subire” le conseguenze di scelte operate da altri, scelte di cui spesso non comprendono il significato o che considerano sbagliate.

Continuando in questa similitudine, non dobbiamo dimenticare che se − così come mirabilmente ci ha raccontato Vittorio De Sica nel suo bellissimo film del 1944, tuttora di grande attualità – “I bambini ci guardano”, anche i migranti, facendo le dovute differenze, “ci guardano” e spesso, proprio come il piccolo Pricò protagonista del film, percepiscono, meglio e prima di noi, quanto siano contraddittori, in sé e nei loro confronti, i nostri comportamenti, sia quelli dell’Unione europea, sia quelli dei singoli Stati che la compongono sia quelli dei cittadini europei.

Forse se riuscissimo ad intercettare i loro sguardi e ad adottare linee di condotta più coerenti con i principi nei quali diciamo di credere potremmo porre le basi per un modo diverso di gestire l’immigrazione, nel quale le misure poliziesche e sanzionatorie siano riservate soltanto a chi effettivamente le merita − a partire dai trafficanti di esseri umani – mentre nei casi ordinari – per l’ingresso così come per il soggiorno – sia sempre garantito il rispetto dei diritti fondamentali dei migranti, con l’obiettivo, al livello UE, di una “integrazione sostenibile” e con la consapevolezza che il raggiungimento di tale obiettivo presuppone che ci si riesca a guadagnare la stima degli interessati.

In altri termini, si dovrebbe puntare su linee di politica “autorevoli” e non “ciecamente autoritarie”.

Questo tipo di scelta – che certamente non significa, né può significare, accogliere tutti i migranti forzati – oltre ad essere il più coerente con i principi che sono alla base dei nostri ordinamenti e degli impegni assunti in sede europea, è anche il più conveniente dal punto di vista economico, in quanto potrebbe consentire di gestire l’immigrazione come una “opportunità”, cosa che del resto rappresenta uno degli obiettivi indicati nelle conclusioni del Consiglio europeo tenutosi il 26 e il 27 giugno.

Nel medesimo Consiglio UE, data l’opposizione dei Paesi del Nord Europa, non è stato toccato il principio-base che informa il Sistema di asilo UE, riguardante l’individuazione dello Stato competente per l’asilo, come invece era stato proposto dal nostro Paese.

In compenso sono state gettate le basi per poter finalmente dare vita a FRONTEX PLUS (oggi chiamato TRITON), allargandone l’operatività e così ponendo fine all’isolamento dell’Italia nel Mediterraneo.

Inoltre, il 2 luglio successivo, il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in apertura del semestre italiano di presidenza del Consiglio europeo, ha affermato che l’Europa non deve essere solo una frontiera, ma deve ritrovare lo slancio per riaffermare i propri valori fondanti e rappresentare così un “faro di civiltà, la civilizzazione della globalizzazione”.

Questo potrà accadere solo se la situazione dei migranti verrà trattata con un approccio diverso, più responsabile e coraggioso perché è l’immigrazione oggi il “banco di prova” della UE, in quanto – trasversalmente, in tutti i suoi poliedrici aspetti – viene a toccare le fondamenta stesse dell’Unione e, quindi, ne condiziona lo sviluppo economico e culturale.

Vi è da sperare che alla nuova missione vengano date risorse sufficienti perché essa possa occuparsi anche delle questioni umanitarie, come ha fatto MARE NOSTRUM. Però, se pare che MARE NOSTRUM sia costato al nostro Paese circa 9 milioni di euro al mese, invece in ambito UE, tra molti tentennamenti, per TRITON si parla di un budget pari a circa34 milioni all’anno. La differenza è abissale e lascia sgomenti, tanto più che, secondo fonti attendibili, a Tripoli, «non è esagerato parlare di circa un milione di persone in attesa di un passaggio per l’Europa». Ci si chiede allora cosa potrà accadere senza un efficace dispositivo di soccorso in mare, che comprenda una adeguata unità medico-sanitaria, idonea anche a fronteggiare l’emergenza-ebola.

Non va, al riguardo, sottovalutato che – dopo le minacce del califfato ISIS di attacchi all’Occidente con il virus dell’ebola, minacce considerate preoccupanti, in sedi autorevoli − il direttore dell’OMS, Margaret Chan, al Consiglio di Sicurezza ONU del 18 settembre scorso, ha dichiarato che: “Ebola non è solo un’epidemia e un’emergenza sanitaria, ma è una crisi umanitaria, sociale, economica, e una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale” e che, in tal senso, i 15 Paesi del Consiglio di sicurezza hanno adottato una risoluzione, mentre, quasi contemporaneamente, a Strasburgo il Parlamento europeo ha approvato, a stragrande maggioranza, una propria risoluzione diretta ad esortare il Consiglio UE ad attivarsi «per stabilire un piano d’emergenza».

Ne consegue che vi è da sperare che venga dato ascolto al direttore di FRONTEX, Gill Arias Fernandez, il quale, di recente, parlando alla Commissione Libe del Parlamento Europeo, ha spiegato che la portata della nuova operazione dipenderà non solo dai contributi degli Stati membri, ma anche in gran parte dalla decisione, da parte della Commissione UE, di sbloccare fondi che ci sono ma che non si sa se rendere disponibili.

Al riguardo tuttavia non è esercizio di pura retorica ricordare gli sprechi che, nonostante la crisi, si riscontrano anche nel bilancio della UE, nel quale, ad esempio, solo il mantenimento di tre diverse sedi geografiche per il Parlamento europeo (Bruxelles e Strasburgo per le sedute e Lussemburgo per il Segretariato generale) viene a costare tra i 156 e i 204 milioni di euro annui (rapporto Fox Hafner).

Per quanto riguarda poi la situazione degli Stati più scettici in materia di immigrazione – che sono quelli del Nord Europa, nessuno dei quali ha ancora aderito a TRITON – deve far riflettere come, nella recente riunione della NATO del 5 settembre scorso, tutti e 28 gli Stati membri della NATO – 22 dei quali fanno anche parte della UE[1] − abbiano manifestato la loro disponibilità ad aumentare i propri investimenti nella difesa fino a raggiungere il 2% del PIL in conseguenza della adesione alla proposta USA di creare un contingente militare da impegnare in tempi rapidi nell’Est dell’Europa, per fare da deterrente alle azioni militari organizzate dal governo russo e per rispondere ad eventuali attacchi.

Tale iniziativa – apparsa piuttosto pericolosa e preoccupante, come ha sottolineato anche l’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati, António Guterres, ricordando il rovinoso coinvolgimento della NATO nella guerra dei Balcani – per fortuna sembra divenuta inutile dopo il successivo accordo raggiunto tra Mosca e Kiev. E anche il previsto inasprimento delle sanzioni economiche nei confronti della Russia ha ormai perso significato.

Ma quello che comunque fa molto riflettere è come tanti Paesi del Nord Europa che, in sede NATO, si sono dimostrati pronti ad aumentare significativamente la spesa per la difesa e anche a subire notevoli perdite nei loro rapporti import/export siano poi in prima fila a “chiudersi a riccio” sulla eventuale modifica del Sistema di asilo UE, paventandone anche le ricadute economiche, senza neppure interrogarsi sulle cause dell’aumento degli esodi forzati e sulla ricerca di soluzioni per cercare di trasformarlo in una opportunità.

E, anche se si deve riconoscere che il nostro Presidente del Consiglio nella suddetta riunione NATO ha dimostrato un atteggiamento piuttosto cauto, l’impressione complessiva è quella di un comportamento palesemente contraddittorio della maggior parte dei Paesi europei.

Sono queste le contraddizioni che non sfuggono agli sguardi attenti dei migranti.

Cerchiamo di intercettare questi sguardi e impegniamoci per evitare che una problematica come quella della immigrazione – che, se ben gestita, potrebbe essere un’opportunità – finisca invece, per rappresentare un pretesto per alimentare il germe della dissoluzione in Europa. Ritornano vivide alla mente le immagini di quel film di De Sica nel quale il piccolo Pricò di sette anni vive emotivamente, attraverso i suoi occhi innocenti, i fatti che portano alla dolorosa dissoluzione della sua famiglia, con un senso di frustrazione e di impotenza, data dalla consapevolezza di non potere incidere sul contraddittorio mondo degli adulti.

In questo – per dirla con Dante – “si parrà … la nobilitate” dell’Unione europea e di noi tutti cittadini europei.

CamMINO

Camera Nazionale Avvocati per la Famiglia e i Minorenni

CONGRESSO NAZIONALE

Todi, 25-27 settembre 2014

Soggetti vulnerabili, diritti fondamentali.

La tutela delle persone migranti.


[1] La NATO, infatti, istituita con il trattato di Washington firmato il 4 aprile 1949, è attualmente composta da: Belgio, Canada, Danimarca, Stati Uniti, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito 1949 (che sono i 12 Stati fondatori) cui si sono, via via aggiunti: Grecia e Turchia (nel febbraio 1952); la Repubblica federale di Germania (nel maggio 1955); la Spagna (nel maggio 1982); Ungheria, Polonia e Repubblica ceca (marzo 1999); Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia (nel marzo 2004); Albania e Croazia (il 1° aprile 2009).

Ultima modifica il 22 Settembre 2014