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Pubblicato in Altri diritti

La negoziazione assistita volontaria in materia di diritti disponibili

by Avv. Francesco Mambrini on04 Ottobre 2014

Tra le forme di negoziazione assistita introdotte dal Governo col D.L. 12 settembre 2014, n°132, pubblicato in G.U. in pari data, un’importanza particolare acquisisce quella prevista in forma volontaria in materia di diritti disponibili. 

Le norme disciplinanti la stessa, infatti, dettano evidentemente quello che è il modello base dell’istituto, valido anche per le varianti relative agli altri modelli di negoziazione assistita che il medesimo decreto legge introduce (salve minime peculiarità specifiche di ciascuna esplicitamente previste per ciascun modello).

Può quindi procedersi valutando ed analizzando le caratteristiche e il funzionamento dell’istituto.

- Definizione ed elementi della convenzione:

La convenzione di negoziazione assistita da un avvocato è un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti all’albo anche ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96” (art. 2, comma 1). Può quindi ritenersi che la convenzione sia un contratto, avente ad oggetto la cooperazione in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole una controversia tra di loro. Più difficile l'individuazione della causa del negozio. Può ritenersi che la stessa sia mutuabile in parte dalla causa del contratto di transazione, in parte da quella del negozio di accertamento e in parte sia caratterizzata da elementi suoi propri ed esclusivi. Certo la funzione economica dell'accordo non può essere, nella figura in analisi, l'eliminazione della lite, come nella transazione. Ciò in quanto la negoziazione assistita può concludersi tanto con un accordo quanto con una dichiarazione di mancato accordo.

La causa dell'accordo di negoziazione assistita potrebbe dunque ipotizzarsi essere la perimetrazione e analisi critica della lite al fine di valutare i margini di una sua possibile definizione pattizia. Tale definizione porrebbe quindi in risalto il fatto che, nella convenzione di negoziazione, le parti non concordano ancora né sul definire certamente la lite in via pattizia né di farlo secondo determinati termini (né sul deferire ad altri la sua definizione secondo altri modelli di ADR) essendo a ciò necessario un ulteriore negozio, che si presenta come eventuale e comunque solo successivo. Le parti piuttosto si impegnano ad avviare una procedura che immagina solo come suo sbocco ideale, pur non necessario, la definizione della res litigiosa.

L’accordo inoltre prevede a pena di nullità la forma scritta (art. 2, comma 4).

Altri ulteriori e specifici elementi necessari propri di tale accordo, dettati dalla legge, sono:

1. la definizione di un termine determinato dalle parti per l’espletamento della procedura  (la presente parte evidenziata è stata oggetto di modifica in sede di conversione. Consulta il seguente link http://www.lavocedeldiritto.it/index.php/altri-diritti/item/750-la-negoziazione-assistita-da-un-avvocato-dopo-la-conversione-del-d-l-12-settembre-2014-n-132 per le novità) comunque non inferiore ad un mese (art. 2, comma 2, lett. a; art. 2, comma 3);

2. la disponibilità dei diritti oggetto di convenzione (art. 2, comma 2, lett. b);

3. la conclusione della convenzione con l’assistenza di avvocati, i quali certificano sotto la propria responsabilità professionale l’autografia delle firme (art. 2, comma 5 e 6).

Non sono specificate dalle legge le conseguenze della mancanza di uno di questi tre ulteriori requisiti. Può immaginarsi che in mancanza della clausola sub 1 o in caso di statuizione di un termine più breve del minimo dettato si verifichi nullità parziale dell’accordo, con conseguente integrazione o sostituzione della clausola con il termine minimo di un mese dettato dalla legge.

In mancanza dei requisiti sub 2 deve immaginarsi che l’accordo sia nullo per contrarietà a norme imperative.

Con riferimento invece al caso di mancanza del requisito sub 3 può ritenersi che l’accordo sia valido quale contratto atipico di negoziazione stipulato tra le parti, senza che tuttavia lo stesso possa produrre gli effetti caratteristici del modello disciplinato dal decreto in analisi.

- L'invito a stipulare la convenzione e le sue caratteristiche:

L’articolo 4 disciplina invece gli effetti particolari in caso una parte eserciti la facoltà di invitare l’altra alla stipulazione della convenzione. Gli elementi speciali e caratteristici che tale invito a stipulare deve contenere sono:

1. l’indicazione dell’oggetto della controversia;

2. l’avvertimentoche la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto può essere valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del codice di procedura civile” (art. 4, comma 1).

- Il rifiuto o il silenzio a seguito dell'invito e le sue conseguenze:

Dunque, oltre a poter costituire elemento valutabile ai fini della responsabilità aggravata per le spese, dovrebbe ritenersi che il rifiuto o il silenzio in risposta all’invito potrebbero impedire la concessione della provvisoria esecuzione ex lege del decreto ingiuntivo. Il richiamo appare forse improprio, perché, trattandosi di procedimento monitorio inaudita altera parte, è difficile che il giudice possa essere a conoscenza della mancata adesione all’invito di controparte da parte del ricorrente, disponendo lo stesso solo dei documenti da quest’ultimo forniti. Ciò a meno che il ricorrente stesso non informi il giudice del proprio silenzio o rifiuto in tal senso. Forse sarebbe stato più corretto prevedere, a scopo “sanzionatorio” a fronte della mancata volontà a definire bonariamente la lite da parte del ricorrente, l’obbligo di sospensione dell’esecuzione ex articolo 649 c.p.c., qualora l’opponente il decreto porti a conoscenza della mancata adesione o del silenzio il giudice.

Non può escludersi tuttavia una interpretazione in tal senso “correttiva” della disposizione, compiuta da parte dei giudici, alla luce della ratio posta alla base della norma.

- Invito e stipula della convenzione ed effetti sulla prescrizione:

L’articolo 8 del decreto legge prevede che tanto la comunicazione dell’invito a stipulare, tanto la conclusione della convenzione di negoziazione assistita producono “sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale” (grassetto aggiunto).

- Invito e stipula della convenzione ed effetti sulla decadenza:

Con riferimento ad eventuali decadenze il medesimo articolo prevede, dalla stessa data (ovvero dalla comunicazione dell’invito a stipulare oppure dalla conclusione della convenzione di negoziazione assistita), l’impedimento dell’avverarsi delle stesse per una sola volta.

Tuttavia, in caso di rifiuto o decorsi trenta giorni senza risposta, la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza. Lo stesso avviene in caso di esperimento della procedura che porti a dichiarazione di mancato accordo.

- Gli esiti della procedure di negoziazione assistita:

Vengono previste dalla normativa in analisi due possibilità di esito della procedura aperta. In caso di esito negativo la dichiarazione di mancato accordo viene certificata dagli avvocati designati dalle parti (art. 4, comma 3).

Il caso invece in cui, a seguito dell'esperimento della procedura, si giunga ad un accordo è disciplinato dall'articolo 5.

- L'accordo di composizione della lite all'esito della negoziazione assistita, le sue caratteristiche ed i suoi effetti:

Può ritenersi che l'accordo sia un contratto di transazione, in quanto volto a comporre una controversia tra le parti, con procedura di stipula rafforzata, quale onere per la produzione dei particolari effetti disciplinati dalla legge.

I relativi e particolari effetti della sottoscrizione dello stesso, infatti, per come disciplinati dalle disposizioni in esame, rappresentano l'aspetto che maggiormente differenzia le norme introdotte dal D.L. n°132/14 rispetto ai progetti che lo hanno preceduto. In questi, infatti, generalmente, in maniera simile a quanto disposto riguardo ai lodi arbitrali, al fine di rendere esecutivo l'accordo occorreva un omologa giudiziale. Nel testo approvato è invece previsto che, in linea con il trend dettato a riguardo in istituti che disciplinano altri istituti di ADR nel nostro ordinamento, "l'accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale" (art. 5, comma 1 – grassetto aggiunto).

Per l'ottenimento di tale risultato infatti, nell'apporre la loro sottoscrizione, gli avvocati certificano tanto l'autografia delle firme delle parti, quanto la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico (art. 5, comma 2).

Si tratta di un potere molto particolare, in quanto si caratterizza per elementi normalmente propri della funzione del pubblico ufficiale, nonché anche di quelli di un organo giudicante, il quale esercita tuttavia in una posizione di indipendenza e terzietà, a tutela anche degli interessi dell'ordinamento.

Il rischio, peraltro già in parte avvertito nella conciliazione di cui al D.lgs. n°28/2010, che dispone in maniera analoga riguardo all'efficacia esecutiva dell'accordo di mediazione (art.12), è di veder introdotti nell'ordinamento obblighi a carico delle parti, aventi efficacia esecutiva, non conformi a ordine pubblico, norme imperative e diritti fondamentali.

Un eventuale vizio in tal senso sarebbe dunque da immaginare come censurabile o in sede di opposizione all'esecuzione o attraverso impugnazione dell'accordo riguardo al quale nulla il decreto in analisi dice, ma che pare ammettere con un riferimento all'articolo 5, comma 4. Quest'ultima perciò, dovrà essere ragionevolmente presentata con le modalità e gli strumenti con i quali si contestano i vizi propri di un atto negoziale.

Chiara perciò la responsabilità ancor più rafforzata del dovere deontologico che pende in capo agli avvocati in ordine tanto alla fedeltà al cliente che all'ordinamento, per le più gravi conseguenze che possano derivare dall'esercizio errato di simile potere.

Soltanto nel caso in cui con l'accordo le parti concludano uno dei contratto o compiano uno degli atti previsti dall'articolo 2643 c.c., per procedere alla trascrizione (la presente parte evidenziata è stata oggetto di modifica in sede di conversione. Consulta il seguente link http://www.lavocedeldiritto.it/index.php/altri-diritti/item/750-la-negoziazione-assistita-da-un-avvocato-dopo-la-conversione-del-d-l-12-settembre-2014-n-132 per le novità) dell'accordo raggiunto le sottoscrizioni dovranno essere autenticate da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.

- Il caso problematico del decorso del tempo massimo concordato dalle parti senza formalizzazione della dichiarazione di mancato accordo:

Un interrogativo sorge invece su quali siano gli effetti del decorso del tempo pattuito dalle parti senza che si giunga alla formalizzazione di un accordo o alla dichiarazione di mancato accordo. La norma infatti disciplina esplicitamente, oltre al caso di raggiungimento di un accordo, solo l'ipotesi di chiusura della procedura a seguito di dichiarazione di mancato accordo. Nulla viene invece disposto riguardo al caso in cui sia scaduto il termine pattuito dalle parti e, negligentemente, gli avvocati delle stesse non abbiano provveduto a regolarizzare il mancato raggiungimento dell'accordo con l'apposita sottoscrizione.

La questione non è di poco conto, in particolare per quanto riguarda le conseguenze sul decorso di eventuali decadenze e prescrizioni.

L'articolo 8, infatti, con riferimento alla prescrizione dispone che, dal momento della comunicazione di invito a concludere una convenzione di negoziazione assistita ovvero dalla sottoscrizione della stessa, si  producono i medesimi effetti della domanda giudiziale. Se la procedura deve ritenersi conclusa solo con la sottoscrizione dell'accordo o con la dichiarazione di mancato accordo, in caso la procedura rimanga "sospesa" a tempo indefinito anche la prescrizione dovrebbe rimanere interrotta a tempo indefinito.

Con riferimento ad eventuali decadenze l'articolo 8 dispone esplicitamente che le stesse riprendono a decorrere, tra gli altri casi, dalla dichiarazione di mancato accordo. Dunque anche in questa ipotesi, interpretando letteralmente, si dovrebbe ritenere che, in caso la procedura rimanga pendente a tempo indefinito, senza che si formalizzi la dichiarazione di mancato accordo, anche la decadenza è destinata a rimanere interrotta a tempo indefinito insieme alla prescrizione.

E' evidente perciò un "difetto" nelle disposizioni del decreto in tema.

Potrebbe ritenersi che l'interpretazione più utile al fine di evitare simili inammissibili effetti distorsivi sarebbe equiparare, di fatto, il decorso del termine pattuito per l'espletamento della procedura alla dichiarazione di mancato accordo ai fini degli effetti su prescrizione e decadenza. La procedura dunque dovrebbe ritenersi conclusa con esito negativo anche una volta che sia trascorso il termine per il suo espletamento, pattuito dalle parti, pur in mancanza di formalizzazione con la dichiarazione a ciò prevista. Per quanto si tratti di una interpretazione manipolativa del dettato normativo, che certamente creerà contrasti in giurisprudenza, in tal maniera verrebbe evitato quell'effetto distorsivo esplicitato sopra.

Si augura ad ogni modo una presa di posizione chiara in tema da parte del legislatore in sede di conversione.

Ultima modifica il 08 Gennaio 2015