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Pubblicato in Altri diritti

La surrogazione di maternità: la natura ha smesso di essere la sola custode dei limiti biologici?

by Avv. Valeria Cianciolo on27 Novembre 2014

Note a margine della Corte di cassazione - Sezione I civile - Sentenza 11 novembre 2014 n. 24001

a. Il fatto. La vicenda parte dalle indagini di un Pm insospettitosi di fronte alla dichiarazione di nascita fatta dalla coppia che aveva presentato un certificato ucraino che li riconosceva entrambi come genitori biologici. 

Dagli accertamenti era emerso che la donna aveva precedentemente subito una isterectomia mentre il padre era affetto da oligospermia. A questo punto la coppia - indagata per alterazione di stato civile - aveva ammesso di aver fatto ricorso alla surrogazione di maternità, pratica legale in Ucraina. A seguito di Ctu però era stato accertato che nessuno dei due dichiaranti era effettivamente genitore del minore. Per cui anche secondo la legge Ucraina che prevede che almeno il 50% del patrimonio genetico provenga dalla coppia committente, il contratto di surrogazione era da ritenersi nullo. Infine, il certificato anche se debitamente postillato non poteva essere riconosciuto in quanto contrario all'ordine pubblico, visto il divieto posto dalla legge 40.

Il Trib. per i minorenni dunque, constatata l’effettuazione in Ucraina della maternità surrogata in violazione della legge locale, data la nascita di un bambino non legato geneticamente né al padre né alla madre, cui la stessa lex loci impedisce che possa conseguire la formazione dell’atto di nascita con indicazione degli “intending parents”, dichiara l’apertura dell’adozione del minore.

Da qui l'allontanamento del minore dalla coppia ricorrente, «giustificato» anche dal comportamento illegale dei dichiaranti che avevano scientemente eluso la norma italiana.

b. La motivazione - La Suprema corte ha confermato l'intero impianto della sentenza della Corte di appello di Brescia respingendo uno per uno tutti i motivi sollevati dalla coppia. In primis i giudici di legittimità chiariscono che l'apostille attesta soltanto la «veridicità» del certificato, ma non certo la sua efficacia nel nostro ordinamento. Dove, invece, il «limite generale dell'ordine pubblico» vale anche con riferimento alla «disciplina estera sulla filiazione». Inoltre, chiarisce la sentenza, nel concetto di ordine pubblico non rientrano soltanto i «valori condivisi della comunità internazionale» ma esso comprende anche «principi e valori esclusivamente propri» purché «fondamentali e perciò irrinunciabili». E tale non può non ritenersi il divieto della surrogazione della maternità, tanto più che esso è rafforzato anche da una sanzione penale, posta proprio a presidio del principio per cui «madre è colei che partorisce» (269 cc). E tali divieto, ribadisce, la Corte non è stato travolto dalla sentenza 162/2014 della Consulta che ha dichiarato incostituzionale la proibizione della eterologa.

Dunque, scrivono gli ermellini, «il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico» venendo in rilievo «la dignità umana - costituzionalmente tutelata - della gestante e l'istituto dell'adozione», con il quale la surrogazione di maternità «si pone oggettivamente in conflitto» perché soltanto a tale istituto «l'ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato». 

Ed anche a guardare le «aperture» registrate in dottrina, esse non riguardano la «surrogazione eterologa», quella cioè realizzata mediante ovociti non appartenenti alla donna committente, «che è priva perciò anche di legame genetico con il nato». Né tantomeno riguardano le ipotesi in cui neppure il gamete maschile appartiene alla coppia committente, come nella specie.

Mentre l'«interesse del minore» si realizza o affidando il nato a chi l'ha partorito oppure ricorrendo all'adozione, secondo una valutazione operata dalla legge che non attribuisce «alcuna discrezionalità» al giudice.

Inutile il richiamo a due recenti sentenze della Cedu (65192/11 e 65941/11) su due casi francesi che, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non hanno affermato in generale il diritto del nato con surrogazione ad essere riconosciuto dalla coppia committente - lasciando al contrario su questo ampia autonomia agli Stati - ma prevedendolo soltanto nei casi in cui il padre sia anche padre-biologico, in omaggio al diritto all'«identità personale» del nato.

In definitiva, per la Cassazione sia il certificato di nascita ucraino che la locale legge sulla maternità surrogata sono contrarie all'ordine pubblico. Il primo, dunque, non può avere «efficacia» nel nostro paese e la seconda «non può trovare applicazione».

 Per cui non si pone neppure una questione di perdita della «potestà genitoriale» in quanto essa non è mai stata assunta dalla coppia. Da qui, in assenza di altri parenti, l'accertamento dello stato di abbandono e la dichiarazione di adottabilità da parte del tribunale dei minori.

La surrogazione di maternità

La surrogazione di maternità viene comunemente definita surrogazione gestazionale che identifica quella procedura in cui vengono impiantati nell'utero della madre surrogata uno o due embrioni, fecondati con lo spermatozoo del padre committente (o di un donatore, se il padre è sterile) e con gli ovociti della madre committente (o di una donatrice). In questo caso, quindi, la madre surrogata presta solo il proprio utero (ed è perciò detta madre gestazionale) ma non mette a disposizione i propri ovociti.

La maternità surrogata può esplicarsi in tre forme:

1) surrogazione di utero, detta anche "utero in affitto" (si tratta di fecondazione artificiale omologa), in cui gli embrioni, fecondati con gli spermatozoi del padre committente e gli ovociti della madre committente (che è quindi anche madre genetica/biologica), vengono impiantati nell'utero della madre surrogata, che porterà avanti la gestazione.

2) surrogazione di ovocita e di utero (si tratta di fecondazione artificiale eterologa) in cui gli embrioni, fecondati con gli spermatozoi del padre committente e gli ovociti della madre surrogata, vengono impiantati nell'utero della madre surrogata stessa, la quale è nel contempo sia madre genetica/biologica che madre gestante. È di tutta evidenza che, se non esistesse un contratto a monte, il figlio sarebbe a tutti gli effetti figlio della madre surrogata con tutti i conseguenti problemi emotivi che potrebbero sorgere.

3) surrogazione gestazionale (si tratta di fecondazione artificiale eterologa) in cui l'ovocita viene donato da una donatrice, diversa dalla madre surrogata. Si rinvengono pertanto tre madri: la madre genetica/biologica (la donatrice di ovulo), la madre gestante e la madre committente. 

In alcuni Stati (ad esempio Grecia, Irlanda, Regno Unito, Ucraina, Repubblica Ceca, India e Canada) è legale il rapporto giuridico sinallagmatico che si instaura tra, da un lato, la madre e il padre committenti (ovvero i genitori che commissionano la generazione di un figlio sul quale eserciteranno tutte le prerogative genitoriali) e, dall'altro, la madre surrogata che, per ragioni di solidarietà (come avviene in Inghilterra) o in cambio di denaro, è disposta a farsi impiantare gli embrioni, a portare avanti la gestazione e a partorire quel bambino sul quale ha già rinunciato ad ogni diritto.

In Italia questa pratica non è legale.

Il problema nasce quando la coppia italiana deve rientrare in Italia con il figlio. I genitori si recano presso la Rappresentanza diplomatica o consolare competente del luogo in cui è avvenuta la nascita (l'Ufficio di Stato Civile dell'Ambasciata registra le variazioni anagrafiche concernenti i cittadini italiani all'estero, anche se non residenti) per presentare l'atto di nascita (in originale o in copia conforme all'originale) del bambino ufficialmente rilasciato dall'Ufficio dello Stato civile del Paese estero, debitamente legalizzato e tradotto, nonché una dichiarazione sostitutiva comprovante la cittadinanza italiana di almeno uno dei genitori (se non iscritto nello schedario consolare).

La nostra autorità diplomatica trasmette la richiesta di trascrizione del certificato di nascita all'Ufficio di Stato Civile del Comune di residenza dei genitori e rilascia un documento temporaneo al minore per permettere il viaggio di rientro in Italia. È facoltà dell'autorità diplomatica di indirizzare al Comune di residenza e alla Procura della Repubblica competente eventuali note in merito all'adempimento richiesto, ivi compresi i dubbi e le eventuali considerazioni in merito al ricorso alla maternità surrogata da parte della coppia o del singolo soggetto.

Le questioni etiche e le nuove maternità

Nietzsche diceva che tutto nella donna è un enigma e tutto nella donna ha una soluzione. Che si chiama gravidanza.

La recente decisione di alcune note società americane (Apple e Facebook) di sostenere economicamente la decisione di congelare gli ovociti da parte delle proprie dipendenti ha suscitato un ampio dibattito. Si tratta di un elemento di sostegno o di “costrizione”, di un’intrusione nelle scelte procreative delle proprie dipendenti o di un avanzamento nei rapporti di lavoro?

Difficile dare una risposta univoca, poiché la scelta si presta a diverse possibili letture. Tuttavia, il dibattito che ne è seguito ha consentito l’emergere di un fattore molto influenzato dagli avanzamenti tecnologici nell’ambito della procreazione, ma spesso trascurato: il tempo. 

 La dimensione temporale delle nostre scelte, però, è spesso trascurata; eppure su di essa la scienza incide moltissimo. Se pensiamo ai diritti riproduttivi, l’elemento temporale è condizionato e modificato dagli avanzamenti della medicina e le tecniche di procreazione medicalmente assistita, in particolare, dilatano il tempo in cui si può scegliere di diventare madri (o padri).

Il «fattore tempo» comincia a penetrare nelle considerazioni dei giudici: ad esempio la corte di Strasburgo in una nota sentenza in materia di fecondazione eterologa, metteva in luce come, tra la presentazione del ricorso (2000) e la sentenza (2010), fossero trascorsi 10 anni. Il tempo, per la scienza, può significare molto, cambiando i fatti in modo radicale: come si può non considerare quest’elemento? Ancora: la scienza estende la dimensione temporale rendendo possibile la genitorialità dopo la morte, che è un’ipotesi oggi percorribile ad esempio con la crioconservazione dei gameti ed è qui evidente come la Pma si allontani dalla dimensione corporale, ma non dalla volontà della persona, dalla quale non si prescinde. Sono già numerose e diffuse le richieste di poter utilizzare i gameti crioconservati del compagno (o della compagna) deceduti e talvolta è stato necessario l’intervento di un giudice. Tempo e consenso si confrontano in modo problematico anche in un noto caso (Evans), in cui la corte di Strasburgo si è trovata di fronte alla richiesta di una donna che chiedeva l’impianto degli embrioni creati con i gameti del compagno, dal quale nel frattempo si era separata.

Il fattore temporale muta poi fisionomia anche nella genitorialità rimandata, che può essere letta da diverse prospettive. C’è la dimensione etica, che guarda ai profili morali della possibilità di procreare in età non più fertile, o di rimandare una maternità al futuro, a fronte di una fertilità che va scemando, per malattia o semplicemente per l’età che avanza. C’è la dimensione sociologica che guarda all’impatto di queste possibilità sulla popolazione, sul concetto di famiglia o, come nell’esempio proposto, sulle scelte lavorative delle donne.

C’è poi la dimensione economica, relativa all’impatto di queste decisioni: su chi graveranno realmente i costi di queste nuove politiche aziendali? Per quanto il trattamento (di per sé molto costoso) venga offerto dall’azienda della quale la donna è dipendente, bisogna rammentare che, al momento in cui la donna deciderà che è giunto il momento di dedicarsi alla maternità, la sua situazione (anche lavorativa) potrebbe essere cambiata.

Le tecniche di Pma sono inoltre piuttosto impegnative, soprattutto per la “componente femminile” e possono comportare più sedute, maggiori controlli medici e – qualora vada tutto a buon fine – una gravidanza che, per l’età della madre, potrebbe dover essere sorvegliata più delle altre. D’altro canto, congelare gli ovociti prima del naturale declino della curva di fertilità femminile può aumentare le possibilità di buona riuscita del trattamento.

Il giurista ha un ruolo defilato, guardando a ciò che si può o non si può fare e cercando di regolare (talvolta invano, talvolta inadeguatamente) le tante possibilità che l’universo procreativo oggi offre. Si tratta, però, di chiedersi se l’iniziativa di Apple e Facebook stia lanciando una nuova stagione di politiche aziendali per la famiglia, in un momento nel quale il cambiamento del mercato del lavoro pare mettere in discussione anche i diritti civili ormai acquisiti (ad esempio, la tutela della maternità). In termini strettamente giuridici, una valutazione (positiva o negativa che sia) non è ancora possibile: si tratta di una possibilità offerta a lavoratrici (o potenziali dipendenti) di due grandissime aziende, opportunità che, secondo quanto riportato dalla stampa, andrà ad affiancarsi alle già esistenti politiche aziendali di supporto alla maternità e di conciliazione famiglia-lavoro.

Ciò che però può suscitare, in via preliminare, l’interesse del giurista concerne il contesto (lavorativo, economico e sociologico).

Ancora oggi, maternità e carriera sembrano – nonostante tutto – rimanere separate, difficilmente conciliabili e incapaci di comporre un binomio effettivo. L’annuncio di questa nuova “politica aziendale” ci dice – in altre parole – che la scelta di avere (prima o dopo) un figlio rallenta in qualche modo l’ascesa professionale di una donna; viceversa, gli impegni lavorativi delle giovani che vogliano puntare a realizzarsi sul posto di lavoro sono ancora intesi come unostacolo alla genitorialità. Ma, più di tutto, sarà proprio il tempo a parlare, dimostrandoci se il modello funziona e se c’è stato un concreto impatto sulle scelte procreative delle lavoratrici e sul rapporto di genere tra i dipendenti.

La crioconservazione degli ovociti rappresenta una delle maggiori sfide della ricerca scientifica nell’ambito della fecondazione assistita, sia perché può risolvere una serie di problemi morali, legali e religiosi legati al congelamento degli embrioni, ma soprattutto perché può portare ad alcune interessanti e vantaggiose applicazioni cliniche; infatti è l’unica metodologia che permette di conservare la fertilità in donne che vanno incontro ad una menopausa precoce, o che soffrono di patologie pelviche che distruggono le ovaie, come l’endometriosi cisti ovariche ed infezioni ricorrenti. Per curare tali patologie potrebbe essere necessaria l’asportazione delle ovaie, e l’utilizzazione degli ovociti congelati durante un programma di fecondazione assistita, garantirebbe il mantenimento della fertilità. Possono giovarsi dello stoccaggio degli ovociti anche pazienti che si devono sottoporre a trattamenti chemio-radioterapici, in analogia a quanto già da tempo si attua con la conservazione degli spermatozoi in azoto liquido.

Conclusioni. Restano sullo sfondo, e non possono orientare la valutazione tecnico giuridica in merito alla sussistenza della fattispecie contestata, le valutazioni ed i confronti, anche accesi, in merito ai delicati problemi bioetici sollecitati dall’evoluzione delle tecniche mediche di procreazione assistita.

Nel merito, l’ampio dibattito culturale e dottrinale si accompagna alla  decisione della Consulta che nel giugno 2014 ha fatto cadere il divieto della fecondazione eterologa e al richiamo della CEDU al legislatore nazionale perché conosca ed utilizzi i progressi della scienza medica ed il consenso della società, prevedendo norme che rispettino e rispecchino il divenire dei valori in gioco, secondo una prospettiva dinamica.

Le sfide e gli orizzonti aperti dalle tecniche di procreazione assistita quali nuove forme di riproduzione umana sono numerosissimi.

La necessità di fornire risposte giuridiche adeguate allo sviluppo scientifico, che mediante l’unione di gameti rende ormai virtualmente possibile qualsiasi forma di fecondazione artificiale, si rapporta alla difficoltà di elaborare soluzioni conformi ai valori che l’ordinamento si è dato; e tutto ciò in un mondo interconnesso, in cui i limiti di qualsiasi legge nazionale sono sempre più evidenti.

Una fragilità di cui, a ben vedere, ha cognizione il nostro legislatore -  anche se con vari ripensamenti non riesce a venirne a capo - con la conseguente probabilità che la disomogeneità delle soluzioni fornite dai diversi ordinamenti solleciti l’espansione di una sorta di turismo riproduttivo e che, attraverso il rinvio mobile alla lex loci disposto dall’art. 15 del d.P.R. n. 396/2000, si aprano prospettive che rendono il divieto ancora più debole, legittimando i cittadini italiani a generare figli all’estero.

 Purché nel rispetto delle leggi del luogo, cosa che nel caso in esame non è avvenuta.

Lo scenario, già complesso, è reso ancor più intricato dall’entità dei valori in gioco e dalla molteplicità degli approcci possibili.

Ciascuna visuale rinvia ad un insieme di problematiche.

La declinazione sempre più estesa del diritto alla salute, inteso anche come diritto delle coppie infertili di ricorrere alla migliore tecnica medico scientifica per superare la propria patologia, si collega così alla denuncia del possibile carattere discriminatorio dei divieti previsti dalla l. n. 40/2004, sotto il profilo del diverso trattamento riservato alle coppie infertili in condizione di produrre gameti fecondati artificialmente rispetto a quelle che non ne sono in grado; accompagna le spinte alla piena realizzazione della vita privata e familiare, confluenti nel diritto di autodeterminarsi in ordine al loro sviluppo; prospetta il problema delle antinomie, in merito a questi profili, tra il diritto interno e la Convenzione CEDU e condiziona il confronto tra regole italiane ed internazionali, che nei divieti posti dalla l. n. 40/2004 trova un punto di tensione evidente.

Le nuove forme di procreazione comportano, se possibile, contrapposizioni ancor più radicali nel raffronto tra il concetto di famiglia fondato e regolato dal diritto naturale e quello che ne accentua il carattere di istituto fondato sul libero accordo dei contraenti, per cui lo stato di figlio deriva dal consenso espresso dai genitori alla venuta al mondo di un nuovo nato e l’atto di volontà sottostante alla nascita di un figlio biologico è assimilabile a quello richiesto per avere un figlio eterologo.     

Questa dinamica è incalzata dal progresso delle tecniche che consentono di dissociare la filiazione dalla sua dimensione biologica e mettono in discussione la concezione della famiglia come “società naturale”, ampliando la forbice tra genitorialità legale e maternità o paternità naturali: divengono infatti possibili nuovi equilibri tra il concetto naturale e quello legale di genitorialità, e l’espansione del principio di responsabilità procreativa imprime nuovo slancio alla giuridicizzazione in senso contrattualistico della famiglia e del rapporto di filiazione.

Si compone così uno scenario irto di rischi e ricco di opportunità, in cui convergono tra l’altro la fissazione dei confini della libertà di coscienza come diritto all’autodeterminazione; la valutazione del rapporto tra i divieti della l. n. 40/2004 ed i postulati della laicità dello Stato; le possibilità aperte in favore delle coppie omosessuali; l’esigenza di definire i rapporti della procreazione assistita con l’istituto dell’adozione; l’inquadramento e la tutela dei diritti del figlio eterologo, a partire da quello di conoscere le proprie origini biologiche; la necessità di fronteggiare il pericolo di sfruttamento delle donne, specie quelle economicamente svantaggiate; l’eventualità che si pervenga ad atti di disposizione dei gameti umani alla stregua di una merce o che attraverso le tecniche di fecondazione eterologa si possa giungere a forme di selezione eugenetica.

Nel libro "Storia naturale del concepimento" la genetista inglese Aarathi Prasad prefigura uno stadio postumano della riproduzione in cui le donne potranno riprodursi senza portare l'embrione in grembo per nove mesi e soprattutto senza dover ricorrere agli spermatozoi maschili per la fecondazione.

L’utero artificiale esterno, a cui unaricercatrice del Centro di medicina riproduttiva della Cornell University di New York, sta lavorando da oltre 10 anni e la creazione di ovuli e spermatozoi artificiali, che potrebbero anche liberarci dalle pesanti eredità genetiche causa di diverse malattie, sono solo alcuni dei molti esempi citati da Prasad.

Si tratta ovviamente di soluzioni riservate soltanto a chi sarà interessato (e a chi potrà permetterselo), sottolinea la Prasad, che confessa di non capire lo scetticismo dimostrato da gran parte dell’opinione pubblica di fronte ai progressi scientifici a cui stiamo assistendo: “E’ divertente quando sento le persone che definiscono ‘naturali’ certe cose e altre no. Ma naturali in che senso e rispetto a cosa? Noi esseri umani pensiamo di essere al culmine della nostra evoluzione.

Ma la verità è un’altra: siamo ancora in fase di adattamento”.

Ultima modifica il 27 Novembre 2014