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Pubblicato in Altri diritti

Uranio impoverito e vaccini: il T.A.R. Trieste ripercorre le tappe di una triste storia per i nostri militari

by Avv. Santi Delia on11 Febbraio 2015

Il T.A.R. Trieste ha definitivamente accolto il ricorso di un militare con il quale si era impugnato il diniego del Ministero della Difesa secondo cui la leucemia contratta non sarebbe stata causata da fatti di servizio. 

Ora avrà diritto all’equo indennizzo, alla pensione privilegiata ed a ogni ulteriore beneficio di legge.

I fatti: l’uranio impoverito e i vaccini

Alcuni fatti, crediamo, li raccontino meglio i protagonisti rispetto agli avvocati. Ecco uno stralcio di un dossier di Repubblica[1]sulle vaccinazioni somministrate ai militari.

“II caporal maggiore E. S. ha 31 anni, ha un cancro in fase avanzata, ma il 3 ottobre scorso si è alzato dal letto e non ha fatto la chemioterapia. Occhiaie profonde e fasciatura al braccio. E’ seduto davanti al computer, emozionato e teso, collegato in videoconferenza col Senato della Repubblica. Col suo accento campano racconta alla Commissione parlamentare d’inchiesta per l’uranio impoverito di aver lavorato per 13 anni come maggiore dell’esercito. Spiega che adesso lotta contro un tumore maligno e afferma di averlo sviluppato a causa di un mix di vaccini fatti in poco tempo seguiti dall’esposizione all’uranio impoverito in Kosovo.

Parla lentamente per non sbagliare nessun dettaglio, accompagnato da un foglio scritto. Poi, davanti alle domande dei senatori, si lascia andare a una testimonianza più personale e drammatica: “Forse sono arrivato alla fine della mia vita… Certo sono un soldato, continuo a combattere, ma sono stato abbandonato dallo Stato”. L’aula è ammutolita alcuni senatori sono visibilmente commossi. L’avvocato (..) descrive le motivazioni scientifiche che portano a ritenere che ci sia collegamento tra i vaccini cui è stato sottoposto il giovane e il cancro che l’ha colpito. Non è il solo, molti sono già scomparsi, altri giacciono in un letto. Tutti giovani. Centinaia almeno, ma non è possibile avere dati certi… (…).

Attorno al tavolo della commissione volti tirati e occhi lucidi. Il Senatore Giacinto Russo afferra il cellulare, scrive un sms al figlio militare che si trova in Afghanistan chiedendogli se anche lui ha fatto tutti quei vaccini in poco tempo. Arriva la risposta, il Senatore si porta le mani al viso. La risposta è un “sì”. La seduta continua in apnea, si parla di un Paese in cui si è costretti a scegliere tra salute e lavoro, qualcuno dice “come a Taranto”. Questi ragazzi sono precari, negare il consenso ai vaccini significa smettere di lavorare. Il senatore Gian Piero Scanu non riesce a finire il suo intervento, gli manca la voce, si piega su se stesso commosso.

Insomma, la commissione sull’uranio, dopo anni di stasi, ora ha trovato una nuova importante traccia da battere e gli studi scientifici in merito sembrano parlare chiaro.

Sarebbero i vaccini numerosi, ripetuti, spesso fatti senza rispettare i protocolli, a indebolire ragazzi sanissimi, a tal punto da aprire la porta a malattie molto gravi, specialmente nel momento in cui vengono esposti a materiali tossici o sostanze inquinanti che possono essere l’uranio impoverito ma anche la diossina, le esalazioni di una discarica o agenti chimici fuoriusciti da una fabbrica.

L’85 per cento dei militari ammalati non è mai stato all’estero. Il problema è che non serve arrivare in Kosovo: la stessa Italia con tutti i suoi veleni rappresenta un pericolo mortale per chi ha un sistema immunitario impazzito a causa dei vaccini. Come accadde a Francesco Rinaldelli, alpino di 26 anni mandato a Porto Marghera e poi morto di tumore. Qualche numero negli anni però è venuto fuori.

“Il protocollo è scientificamente inattaccabile – sostiene il Prof di oncologia Franco Nobile considerato fra i massimi luminari della materia – il problema è che non viene rispettato. Per praticità e velocità si fanno vaccinazioni a tappeto uguali per tutti, senza controllare se qualcuno l’ha già fatta, se qualcun’altro non è in perfette condizioni di salute o ha ricevuto altre vaccinazioni pochi giorni prima. C’è superficialità, poca cura, non vengono considerate le conseguenze, spesso sono gli infermieri e non i medici a fare i vaccini“.

“Il professor Antonio Giordano, presidente dello Sbarro Institute di Philadelphia, sul cui livello scientifico e sulla cui imparzialità, nessuno ha dubbi: “C’è un nesso riconosciuto – dice il presidente dello Sbarro Institute – tra vaccini ravvicinati e abbassamento delle difese immunitarie. E in Italia c’è pieno di posti ad alto tasso d’inquinamento altamente pericolosi per chi ha un sistema immunitario compromesso”. A una domanda precisa (“Se venisse da lei un militare italiano che gli chiedesse un consiglio sul fatto di doversi sottoporre a una decina di vaccinazioni in un mese, cosa gli risponderebbe?”), Giordano ci ha detto. “Gli spiegherei che tanto vale suicidarsi“.

La decisione.

Come accennato, il Ministero della Difesa e prima di esso il Comitato di verifica, dopo aver ricordato la natura delle leucemie, le possibili cause, che la relativa eziopatogenesi è ancora ignota, ha escluso che nel caso di specie l’infermità contratta dal ricorrente fosse da ricondurre a causa di servizio, perché «le caratteristiche inerenti al tipo di attività e di ambiente di lavoro non sono tali, per natura ed entità, da costituire elementi di rischio causali o concausali efficienti e determinati», con la conseguenza che «il processo neoplastico è da attribuire a fattori estranei al servizio stesso».

Il T.A.R., tuttavia, “conviene con la difesa del ricorrente che si tratti di motivazione apodittica e comunque totalmente insufficiente e inidonea a giustificare, per relationem, il provvedimento finale di diniego“.

“Come risulta dalla relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta”, voluta dall’allora Ministro della Difesa Mattarella, “richiamata da parte ricorrente, è ben nota la tossicità dell’uranio impoverito e dei residuati della combustione e gassificazione dello stesso“.

“Ancorché, la comunità scientifica non sia giunta a conclusioni definitive e condivise, è impossibile disconoscersi i rischi per la salute umana derivanti dall’esposizione a uranio impoverito, precipuamente nei casi di inalazione, ingestione e assorbimento da parte del sistema circolatorio tramite ferite aperte. Si tratta all’evidenza di rischi cui va incontro in misura particolare il personale militare impiegato in specifici contesti e in specifiche mansioni, così come è accaduto al ricorrente.

Del pari, la precitata Commissione di inchiesta parlamentare ha ritenuto necessario focalizzare l’attenzione sull’influenza che il carico vaccinale, specie se eseguito in violazione delle buone pratiche di somministrazione, ovvero associato ad attività operative caratterizzate da un elevato livello di stress fisico, potrebbe avere nella riduzione delle capacità di difesa immunitaria del vaccinato.

Inoltre, la Commissione ha ricordato come la letteratura scientifica si stia orientando verso la tesi della multifattorialità nella genesi delle malattie tumorali, ivi comprese le leucemie. Ne consegue che tanto l’esposizione a uranio impoverito, quanto la multi vaccinazione potrebbero essere concause, nel senso richiesto dalla normativa ai fini del riconoscimento della dipendenza da causa di servizio e del conseguente equo indennizzo, della malattia leucemia acuta linfoblastica linfocitaria sviluppata dal signor -OMISSIS-”.

“Sotto altro profilo, il parere tecnico, cui il decreto del Ministero della difesa si è totalmente adeguato, non indica nemmeno una ipotesi alternativa in grado di spiegare l’insorgere della patologia, così da escludere la portata, anche solo parzialmente eziologica, dei fattori sopra esaminati.

In definitiva, il parere del Comitato di verifica e il pedissequo decreto ministeriale di rigetto della domanda formulata dal deducente sono illegittimi per difetto di motivazione e vengono conseguentemente annullati“.

Ultima modifica il 11 Febbraio 2015