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Pubblicato in Altri diritti

Il volto oscuro dell’autoriciclaggio: la fine di privilegi o la violazione di princìpi?

by Prof. Avv. Daniele Piva on17 Marzo 2015

Incalzanti le richieste[1], spasmodica l’attesa, numerose le proposte sul tappeto[2] ed ormai davvero troppi i rinvii. Inevitabile l’epilogo, imperdibile l’occasione: nel momento in cui con la voluntary disclosure si offre al contribuente la possibilità di sanare ogni violazione risalente nel tempo il legislatore non può che affidarsi all’introduzione dell’autoriciclaggio per lanciare l’ennesimo messaggio “del bastone e della carota” in chiave puramente generalpreventiva.

Senonché, all’indomani dell’entrata in vigore della L. 186/2014 onestamente troppi appaiono gli interrogativi aperti dal nuovo reato di cui i primi commentatori hanno già messo in luce taluni effetti perversi, sorprendenti e perfino paradossali[3].

Lungi dal poterne vagliare le rilevanti implicazioni sistematiche, ci si prefigge in questa sede di riassumere i profili che più rendono incerti i confini della fattispecie, azzardando possibili opzioni interpretative anche in termini di sospetta illegittimità costituzionale: premesso che le stesse convenzioni internazionali in materia lasciano agli Stati la possibilità di escludere l’applicabilità del riciclaggio nei confronti delle persone che abbiano commesso il reato presupposto, specie se richiesto dai principi fondamentali del diritto interno. Tanto che, anche oggi, il panorama europeo non appare affatto univocamente orientato in un senso o in un altro[4].

Anzitutto, una precisazione di carattere intertemporale connessa al suo possibile atteggiarsi come “reato di durata”. Pur essendo scontato che non potranno essere sanzionate condotte commesse prima dell’entrata in vigore della L. n. 186/2014, potrebbe tuttavia assumere rilievo anche la prosecuzione di attività economiche già intraprese[5], purché non si versi in operazioni “trasparenti” nelle quali difetti la “concreta” idoneità ad ostacolare la provenienza delittuosa del denaro, quale autentico “fulcro” della nuova fattispecie (si pensi, ad esempio, a somme non versate a titolo di IVA o di ritenute utilizzate per eseguire pagamenti nei confronti di dipendenti o fornitori regolarmente annotati nelle scritture contabili).

Del pari irrilevante risulterà il momento in cui sia stato commesso il reato presupposto, potendosi contestare oggi il reimpiego economico di denaro proveniente da un delitto non colposo, eventualmente già prescritto o altrimenti estinto (art. 170 c.p.), ad un soggetto che lo abbia commesso, da solo o in concorso con altri, anche molto tempo addietro, sia pur con possibili ricadute in termini di accertamento processuale. Vero è che, facendo leva sulla relativa connessione strutturale e funzionale, si è affacciata l’idea che il “reato-presupposto” non sia soltanto “presupposto del reato” ma costituisca anzi un segmento della stessa condotta di autoriciclaggio da situarsi anch’essa in un momento successivo all’entrata in vigore della nuova fattispecie[6], ma deve realisticamente ammettersi che, sotto questo profilo, sembrano destinate a prevalere le opposte finalità di politica-criminale perseguite dal legislatore che impropriamente vi traspone persino quanto previsto in tema di ricettazione, riciclaggio e reimpiego in cui si opera “fuori dai casi di concorso” (art. 648, ultimo comma, c.p. come richiamato dall’ultimo comma dell’art. 648-ter1, c.p.)[7].

Altre questioni riguardano la definizione delle condotte punibili.

In primo luogo non si comprende se, nella nuova elencazione delle condotte, il riferimento ad attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative debba valere anche per la condotta di impiego o anche per quelle di sostituzione e trasferimento: da un lato, infatti, l’interpretazione letterale farebbe propendere per la soluzione affermativa che però finisce per svilire di ogni significato i termini utilizzati dal legislatore dal momento che, nel nuovo elenco dell’art. 648ter1 c.p., tali condotte risultano effettivamente frapposte tra l’impiego e le attività economiche; dall’altro, così facendo, esse risulterebbero prive di significato autonomo risolvendosi in null’altro che in forme qualificate di impiego[8]. Fermo restando che deve pur sempre trattarsi di condotte concretamente idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della res e che siano comunque commesse a tal fine, in ciò ravvisandosi l’essenza di questa come delle analoghe fattispecie già note all’ordinamento (art. 2, d.lgs. 231/2007 o art. 12-quinquies, D.L. 306/1992).

Di particolare rilievo la differenza tra la contestazione al terzo del delitto di riciclaggio o reimpiego oppure di concorso nell’autoriciclaggio altrui, distinzione intorno alla quale ruota il vero punto di equilibrio che il legislatore ha voluto raggiungere con la nuova tipizzazione. Ove, ad esempio, si ritenga che, nei casi di concorso, tutti debbano rispondere del nuovo reato ai sensi dell’art. 117 c.p., indipendentemente dal fatto che l’intraneus ponga in essere la condotta tipica o si presti semplicemente ad offrire un mero contributo causale, l’ambito di applicazione delle fattispecie comuni risulterebbe paradossalmente ridotto alle ipotesi meno gravi di condotte concretamente inidonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della res ovvero riconducibili esclusivamente alle “altre operazioni” di cui all’art. 648-bis c.p.[9]. Il rischio, tuttavia, è più apparente che reale giacché, nel caso di specie, non può farsi applicazione dell’art. 117 c.p. per mancanza dei suoi stessi requisiti: a ben vedere, infatti, per l’intraneus non vi è alcun “mutamento” del titolo di reato, non potendo questi rispondere, ora come allora, dei reati di riciclaggio o reimpiego destinati comunque ad operare fuori dai casi di concorso, mentre con la nuova fattispecie si intende unicamente sanzionare ciò che prima costituiva post-factum non punibile. Ne deriva che, in analogia con quanto già affermato dalla giurisprudenza in tema di autocalunnia[10], soggetto attivo essenziale dell’autoriciclaggio è soltanto l’autore o il concorrente nel reato presupposto il quale, a tal fine, mai potrebbe limitarsi ad apportare un semplice contributo concorsuale (come comunemente avviene nei casi di richiesta di aiuto o anche solo di messa a disposizione del denaro da ripulire). Risultato: l’intraneus risponde di autoriciclaggio solo se ad agire è lui direttamente, non potendo altrimenti rispondere, attualmente come in passato, di concorso in riciclaggio o reimpiego in virtù della predetta clausola di riserva. D’altro canto il terzo, il quale pure si limiti ad apportare un contributo concorsuale, continua a rispondere di riciclaggio o reimpiego non potendo operare alcun mutamento del titolo di reato.

Altro tema concerne la precisa individuazione dei casi di “mera utilizzazione” o “godimento personale” quale “causa oggettiva di esclusione del fatto”[11], stante la ridondanza dell’intera disposizione nonché i suoi evidenti margini di indeterminatezza[12] a partire dalla clausola di riserva (fuori dai casi di cui ai commi precedenti) la quale non può che essere interpretata nel senso che l’utilizzazione o il godimento personale saranno idonei ad escludere la punibilità soltanto ove integrino una destinazione diretta ed esclusiva ovvero non mediata da condotte concretamente idonee ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa[13]: d’altronde, una finalità soggettiva più o meno mediata di uso personale è presente in una qualsiasi forma di impiego di denaro o beni in attività economiche. Ne deriva, al di là delle etichette, un’evidente restrizione dell’esenzione in cui potranno rientrare le classiche ipotesi dell’acquisto di un immobile da destinare ad abitazione o del versamento di somme su un conto corrente intestato a proprio nomema non quelle, assai più frequenti, dell’uso “promiscuo” o “condiviso” del bene o del denaro di provenienza delittuosa (come, ad esempio, nel caso di colui che utilizzi una vettura a noleggio di cui si sia indebitamente appropriato per esigenze sia lavorative che familiari)[14].

Con riferimento invece all’unicità o pluralità dell’illecito, nessun dubbio cheil reato possa considerarsi unitario anche se, mediante unica condotta, si impieghino disponibilità provenienti da diversi reati-presupposto, mentre si avrebbero più reati, eventualmente uniti dal vincolo della continuazione ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., ove, con plurime e distinte condotte, si frazioni nel tempo il provento dello stesso reato-presupposto[15]. Senonché, in mancanza di una predeterminata selezione normativa dei possibili reati a monte potrà egualmente punirsi, alla luce del principio del ne bis in idem, l’ipotesi, tutt’altro che infrequente e potenzialmente senza fine, dell’“autoriciclaggio da autoriciclaggio”, ogniqualvolta dal primo impiego di denaro di provenienza illecita (ad esempio un investimento in titoli quotati sul mercato borsistico o un acquisto di partecipazioni societarie) derivino ulteriori profitti (a titolo di incremento di valore o di utili) successivamente reimpiegati.

Quanto all’idoneità ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dellares sarà interessante verificare se e come la giurisprudenza saprà valorizzare l’avverbio “concretamente”quale unico vero criterio normativo di distinzione con le condotte di riciclaggio le quali, per come sin qui definite dalla giurisprudenza, risultano caratterizzate dall’astratta idoneità a produrre il medesimo effetto di ostacolo ancorché prive di connotazioni dissimulatorie[16]: al riguardo, peraltro, si intravede il rischio di una vera e propria “eterogenesi dei fini” giacché ad ogni passo percorso in questo senso sarà inevitabilmente destinato a corrispondere, nella prassi, un residuo “privilegio” di autoriciclaggio con riguardo alle condotte di cui agli artt. 648-bis e 648-ter c.p.

Dirimente, inoltre, il significato del verbo “ostacolare” da intendersi – così come in altre fattispecie dove pure compare quale requisito della condotta (art. 3, d.lgs. n. 74/2000) ovvero in chiave finalistica  (artt. 2628 c.c.) - in senso rigorosamente oggettivo, nei termini di un effettivo intralcio, disturbo o rallentamento di un’attività (a seconda dei casi di controllo, verifica, accertamento, rilevamento o tracciamento)[17].

Sul nesso di provenienza delittuosa (che può indifferentemente assumere la forma del profitto, del prodotto o del prezzo), la nuova fattispecie appare invece l’occasione giusta per sciogliere definitivamente il dubbio circa la possibilità che il mero risparmio d’imposta derivante da illecito tributario (ove si superino le relative soglie di punibilità eventualmente previste) costituisca oggetto materiale della condotta di (auto)riciclaggio o reimpiego, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale[18], e come sembra aver ormai ammesso lo stesso legislatore in tema di voluntary disclosure ritenendo di dover escludere la punibilità stabilita dal nuovo art. 5-quinquies, comma 1, lett. b) e 3, d.l. 167/1990 (inserito dall’art. 1, comma 1, della stessa L. 186/2014) limitatamente alle attività oggetto di collaborazione volontaria commesse sino alla data del 30 settembre 2015[19]. Fermo restando che, quantomeno ai sensi del nuovo art. 648-ter1, c.p., la semplice confusione del risparmio fiscale nel patrimonio del contribuente, ancorché a seguito di movimentazioni interne rientranti nell’ordinaria attività aziendale e non nel mero godimento o utilizzo personale (come l’acquisto di fondi o l’effettuazione di investimenti a nome del medesimo soggetto), che tuttavia non implichino il trasferimento a terzi (come, ad esempio, fiduciari operanti in Paesi off-shore), non sembra concretamente idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro[20].

Ai fini dell’applicazione dei corrispondenti provvedimenti di confisca, non sempre potrebbe tuttavia distinguersi il profitto del reato presupposto da quello di autoriciclaggio, col rischio che ogni difficoltà di calcolo si traduca in indebite duplicazioni; senza considerare la nota esigenza di coordinamento con l’eventuale confisca di prevenzione e con quella di cui all’art. 12-sexies, D.L. n. 306/1992.

Ulteriori problemi derivano, infine, dall’inserimento della nuova fattispecie nell’ambito del d.lgs. n. 231/2001, per effetto del quale sembra imporsi all’ente di estendere, in sede di modello organizzativo, il proprio risk assessment a tutti i delitti non colposi produttivi di flussi finanziari, sebbene non previsti nel d.lgs. n. 231/2001: anche in questo caso, infatti, ogni diversa interpretazione fondata sulla necessità di una diretta riferibilità all’ente di entrambi gli illeciti, si scontra con la mancata predeterminazione dei reati a monte nell’ambito dell’art. 648-ter1 c.p. o dell’art. 25-octies, d.lgs. n. 231/2001[21]. Da questo punto di vista, l’autoriciclaggio costituisce anzi un vulnus al principio di legalità di cui all’art. 2, d.lgs. n. 231/2001, al cospetto del quale davvero risibili appaiono gli espedienti sinora sperimentati per aggirarlo, come la scomposizione del reato complesso ovvero la contestazione del reato transnazionale (artt. 3 e 10, L. n. 146/2006) o di quello associativo (art. 416 c.p.), specie dopo gli interventi correttivi nel tempo operati dalla Cassazione[22].

A tacere delle difficoltà di delimitare le attività nel cui ambito il reato può realizzarsi ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231/2001, anche rispetto alla destinazione a godimento o a mera utilizzazione personale, potendovi astrattamente rientrare tutte le forme di re-immissione nel circuito economico legale di cui alle stesse definizioni civilistiche degli artt. 2082, 2135 e 2195 c.c.: col rischio che, dovendosi trattare di reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio, si ricada inevitabilmente nell’impiego, sostituzione, trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.

Quanto ai protocolli di comportamento - se può valere il richiamo ai sistemi di controllo già predisposti ex dd.lgs. 231/2001 e 231/2007 in tema di riciclaggio o reimpiego (con riferimento alla provenienza di beni o servizi o del denaro riversato sui conti dell’ente, alle verifiche sulla regolarità dei pagamenti verso terzi, degli investimenti e delle operazioni infragruppo o con parti correlate, alla formazione del personale, alla tracciabilità delle attività)[23], in quanto volti a prevenire condotte che, sia pur sotto forma di utilizzo o godimento personale, siano anche solo “astrattamente” idonee ad ostacolare l’identificazione delittuosa - per il resto il modello organizzativo è destinato a muoversi su basi di tendenziale incertezza in mancanza di oggettivi criteri di riferimento, quantomeno rispetto ai delitti non colposi produttivi di flussi finanziari non previsti nel d.lgs. n. 231/2001 (si pensi ai delitti tributari, fallimentari o finanziari o anche a quelli contro il patrimonio);  ma anche con riguardo a quelli già previsti (come, ad esempio quelli di corruzione, di truffa a danno pubblico o nelle sovvenzioni o di criminalità organizzata) si delimitano nuove aree di rischio ogniqualvolta, per qualsiasi motivo, il reato-presupposto risulti estraneo alla sfera di esigibile prevedibilità da parte dell’ente che si sia comunque dotato di un modello idoneo a prevenire reati della stessa specie.

Senza considerare che, in ogni caso, l’ente potrebbe essere chiamato a rispondere ex art. 26, d.lgs. n. 231/2001 anche in conseguenza di un mero tentativo, la cui configurabilità neppure sembra potersi escludere alla luce di quanto affermato dalla più recente giurisprudenza in tema di riciclaggio[24].

Con riguardo alla prevenzione delle singole condotte, si impone dunque un nuovo risk assessment ai fini dell’implementazione, ove non già esistenti, di procedure (come, ad esempio, quelle fiscali, gestionali o di contabilità) volte a garantire quella tracciabilità completa e veritiera  dei flussi finanziari (in entrata o anche solo in uscita, ove il denaro costituisca mero risparmio) che, di per sé, escluda la concreta idoneità ad ostacolare l’identificazione delle provenienza delittuosa[25].

Dal punto di vista operativo, sarà poi interessante verificare come potrà conciliarsi l’esigenza di accertare l’identità del soggetto che, da solo o in concorso con altri, abbia commesso il reato-presupposto rispetto a quello che successivamente ne reimpieghi i proventi (nonché la sua riconducibilità alle categorie di cui all’art. 5, d.lgs. n. 231/2001) col principio di autonomia di cui all’art. 8, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 231/2001 in base al quale, come noto, l’ente risponde anche quando l’autore del reato non è identificato.

Per quanto concerne il trattamento sanzionatorio, si intravede invece il rischio di indebite sperequazioni tra la posizione dell’ente e quella della persona fisica dal momento che - diversamente da quanto avviene per l’ipotesi di cui all’art. 648-ter1 cpv. c.p. o per l’attenuante speciale prevista al comma 6 dell’art. 648-ter1 c.p. cui corrispondono, rispettivamente, la distinzione per quote, sia pur a percorso inverso, di cui al primo comma dello stesso art. 25-octies d.lgs. n. 231/2001 e le disposizioni di cui agli artt. 12, comma 1, lett. a) e 17, d.lgs. n. 231/2001 - non vi è alcuna incidenza sulla sanzione dell’ente nei casi, previsti invece ai commi 3 e 5 del medesimo art. 648-ter1 c.p., in cui il delitto-presupposto dell’autoriciclaggio sia commesso, rispettivamente, con le condizioni e le finalità dell’associazione di stampo mafioso ovvero nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale (tra cui, in particolare, quelle desumibili dagli artt. 11-14 d.lgs. n. 231/2007).

Sul versante operativo, non possono escludersi abusive duplicazioni rispetto a provvedimenti di (sequestro e) confisca emessi nei confronti della persona fisica e dell’ente collettivo, in rapporto al profitto dell’autoriciclaggio, specie nelle paventate ipotesi di “moltiplicazione all’infinito” in cui vengano ulteriormente reinvestiti  profitti derivanti da un primo impiego di denaro di provenienza delittuosa.

In conclusione, solo il futuro sembra possa rivelarci “cosa” sia davvero autoriciclaggio e “cosa” invece non lo sia: sta di fatto che, in attesa di futuribili contrasti giurisprudenziali e conseguenti pronunciamenti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, esso si annuncia come un’arma “formidabile” nelle mani delle procure, con buona pace del principio di legalità e della certezza del diritto. Si potrebbe paventare, in questa direzione, l’introduzione nel sistema di un tipico esempio di strumento repressivo puramente pretorio che, in assenza di precise coordinate circa la sua riferibilità a situazioni tipizzate, rinviene ampi margini di aggiustamento “sul campo” nella prassi applicativa. Insomma, una fattispecie “camaleontica” idonea a fungere da passpartout per imputazioni che si muovano tra gli illeciti tributari, contro il patrimonio o di regolazione dei flussi finanziari, in cui saranno verosimilmente implicate sia le persone fisiche (tra logiche di attività societarie singole o di gruppo), sia gli enti collettivi (alla ricerca di adeguati modelli preventivi di riferimento); non senza dimenticare l’impatto che la nuova incriminazione potrebbe avere nella connessione tra “reati-mezzo” e “reati-fine” nella criminalità organizzata.


[1]  Dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 25.10.2011 alle Raccomandazioni del 23.10.2013  della Commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro ivi insediata; sino alle sollecitazioni da parte di Banca d’Italia, del Fondo Monetario Internazionale o della Procura Nazionale Antimafia.

[2]Cfr. i diversi disegni di legge presentati in Parlamento, nonché i lavori delle Commissioni Greco, Fiandaca e Garofoli, da ultimo analiticamente evidenziati in Pansarella-Petrillo, L’impatto del nuovo reato di auto riciclaggio sul modello organizzativo 231, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 1/2015, 24-32.

[3]In realtà, per un approccio critico alla riforma v., già in precedenza, Seminara, I soggetti attivi del reato di riciclaggio tra diritto vigente e proposte di riforma, in Dir. Pen. Proc., 2005, 236; Naddeo-Montemurro, Autoriciclaggio e teoria degli insiemi: un “privilegio” matematicamente sostenibile, in Riv. trim. dir. pec. econ., 2011, 237 ss.; Castaldo-Naddeo, Il denaro sporco, Padova, 2010, 92 ss.; Troyer-Cavallini, “Privilegio di autoriciclaggio ed autore ‘mediato’: in non (fremente) attesa di futuribili modifiche legislative, dalla suprema corte un accorato richiamo al rispetto del principio di legalità”, in Riv. dott. comm. n. 1/2014; Mezzetti, Reati contro il patrimonio, in Trattato di diritto penale, dir. Grosso-Padovani-Pagliaro, Miulano, 2013, 640 ss..

[4]Accanto a legislazioni che prevedono la punibilità dell’autoriciclaggio (cfr., ad esempio, gli artt. 301, 368-A e 505 del codice penale, rispettivamente spagnolo, portoghese e belga o anche l’art. 421-bis, comma 3, del codice penale dello Stato della Città del Vaticano)  ne esistono altre che la escludono espressamente (§ 165.1 del codice penale austriaco e § 261, comma 9, del codice penale tedesco): per un’analisi comparatistica dettagliata v. Troyer-Cavallini,  La clessidra del riciclaggio ed il privilegio del self-laundering: note sparse a margine di ricorrenti, astratti furori del legislatore, in Dir. pen. cont. - Riv. trim. n. 2/2014, 49 ss.; Pansarella-Petrillo, L’impatto del nuovo reato di auto riciclaggio sul modello organizzativo 231, cit., 14 ss.

[5]Brunelli, Autoriciclaggio e divieto di irretroattività: brevi note a margine dei dibattito sulla nuova incriminazione, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10.01.2015, 12.

[6]Brunelli, Autoriciclaggio e divieto di irretroattività: brevi note a margine dei dibattito sulla nuova incriminazione,cit., 11.

[7]Sul punto Rossi, Note in prima lettura su responsabilità diretta degli enti ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 ed autoriciclaggio: criticità, incertezze, illazioni ed azzardi esegetici,  ivi, 20.02.2015,  9; Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di auto riciclaggio, in www.dirittopenalecontemporaneo.it,  24.12.2014, 14.

[8]In tema Troyer-Cavallini, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di auto riciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 23.01.2015, 9 s.

[9]In tal senso Troyer-Cavallini, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di auto riciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, cit., 15 s.

[10]Cfr., ad esempio, Cass., Sez. VI, 12.11.1980, in dejure.giuffré.it; Sez. I, 28.10.1980, ivi.

[11]Si concorda con la qualificazione proposta da Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di auto riciclaggio, cit.,12.

[12]Cfr., altresì, Corso, ll declino di un ‘privilegio’: l’autoriciclaggio (anche da reato tributario) ha rilievo penale autonomo, in Corriere Tributario, n. 3/2015, 159 ss.

[13]In tema Troyer-Cavallini, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di auto riciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, cit., 12 s.

[14]Sul punto Sgubbi, Il nuovo delitto di autoriciclaggio: una fonte inesaubribile di ‘effetti perversi’ dell’azione legislativa, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10.12.2014, 5.

[15]Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di auto riciclaggio, cit., 11.

[16]Cfr., ad esempio, Cass., Sez. II, 25.02.2014, n. 9026; Sez. II, 22.09.2010, n. 35763, secondo cui assume rilevanza anche il semplice deposito di denaro su conto corrente ancorché trasparente e tracciabile o il trasferimento a conto corrente diversamente intestato ed aperto presso altro istituto bancario.

[17]Mucciarelli, Qualche nota sul delitto di auto riciclaggio, cit., 10.

[18]Cfr. Cass., Sez. II, 6.12.2013, n. 11777; Sez. II, 9.10.2012, n. 42120; Sez. II, 17.01.2012, n. 6061; Sez. III, 24.02.2011, n. 11970;  Sez. II, 17.11.2009, n. 49427; contra, in precedenza, Cass., Sez. II, 20.09.2007, n. 38600; GIP Trib. Milano, 19.02.2009, in Foro Ambr., 1999, 441 ss.

[19]In tal senso v., altresì, la Circolare 10/E dell’Agenzia delle Entrate del 13.03.2015 (pag. 56) e in dottrina, volendo, Piva, Gli effetti penali della voluntary disclosure, in Corriere Tributario, 4/2015, 259 ss.  Ancor più chiara, al riguardo, la recente modifica dei commi 1 e 1-bis dell’art. 305bis del codice penale svizzero, presumibilmente in vigore dal prossimo 1° gennaio 2016, in base ai quali è punito di riciclaggio chiunque compia un atto suscettibile di vanificare l’accertamento dell’origine, il ritrovamento o la confisca di valori patrimoniali sapendo o dovendo presumere che provengano da un crimine o da un delitto fiscale qualificato (essenzialmente frode fiscale).

[20]Troyer-Cavallini, Apocalittici o integrati? Il nuovo reato di auto riciclaggio: ragionevoli sentieri ermeneutici all’ombra del “vicino ingombrante”, cit., 18; Rossi, Note in prima lettura su responsabilità diretta degli enti ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 ed autoriciclaggio: criticità, incertezze, illazioni ed azzardi esegetici,  cit., 8; Maugeri, La lotta all’evasione fiscale tra confisca di prevenzione e autoriciclaggio, in www.penalecontemporaneo.it, 2.03.2015, 28; Pansarella-Petrillo, L’impatto del nuovo reato di auto riciclaggio sul modello organizzativo 231, cit., 43.

[21]Rossi, Note in prima lettura su responsabilità diretta degli enti ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 ed autoriciclaggio: criticità, incertezze, illazioni ed azzardi esegetici,  cit., 15.

[22]Cfr., rispettivamente: Cass., Sez. II, 28.10.2009, n. 41488, a proposito della impossibilità di qualificare il reato di frode fiscale (art. 2, d.lgs. 74/2000) in truffa aggravata a danno dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1, c.p.) in funzione della contestazione all’ente dell’illecito amministrativo di cui all’art. 24, d.lgs. 231/2001;  Cass., Sez. VI, 20.12.2013, n. 3635, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 11.02.2014) con scheda illustrativa di Trinchera, Caso ILVA: la Cassazione esclude la confisca per equivalente del profitto dei reati ambientali) sul divieto di valorizzare, sia pur ai fini della individuazione del profitto sequestrabile e confiscabile ex artt. 53 e 19, d.lgs. 231/2001, reati non previsti nel decreto, quali delitti-scopo del reato associativo da cui dipende l’illecito amministrativo dell’art. 24-ter, d.lgs. 231/2001.

[23]Si pensi ad esempio, quanto alla mappatura dei rischi, alla Comunicazione dell’UIF del 23.04.2012  avente ad oggetto "Schemi rappresentativi di comportamenti anomali ai sensi dell'articolo 6, comma 7, lettera b) del d.lgs. 231/2007.”

[24]Cfr., per tutti, Cass., Sez. V, 14.01.2010, n. 17694; contra Cass., Sez. II, 19.11.2004, n. 4234.

[25]Per un dettaglio dei relativi sistemi di controllo v., relativamente alla distinzione tra reati-presupposto che generino profitti “endogeni” o “esogeni” all’ente, Pansarella-Petrillo, L’impatto del nuovo reato di auto riciclaggio sul modello organizzativo 231, cit., 41 ss., i quali, con specifico riguardo ai delitti-presupposto di natura tributaria, propongono un richiamo al cd. Tax Control Framework (nei termini indicati dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito del recente progetto pilota denominato “Regime di adempimento collaborativo per i grandi contribuenti”, volto a sviluppare forme premiali di cooperative compliance).

Ultima modifica il 15 Maggio 2015