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RIFLESSIONI A MARGINE DELLE SENTENZE NN. 26242 E 26243 DELLA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE. POTERI DEL GIUDICE, NULLITA’ DEL CONTRATTO E GIUDICATO IMPLICITO

by Dott.ssa Dalila dell’Italia on18 Giugno 2015

Con le sentenze gemelle nn. 26242 e 26243 del 12 dicembre 2014, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato la contorta questione dei poteri del giudice in riferimento a casi di rilevata nullità del contratto,

nelle ipotesi in cui la domanda attorea sia diversa da quella di nullità ed in particolare sia di impugnativa negoziale o di esecuzione, oppure di nullità ma per un vizio diverso da quello riscontrato dal giudice o ancora quali-quantitativamente differente, non collimando l’orientamento del giudice e della parte istante in merito alla nullità parziale o totale del negozio.

Soprattutto, il Collegio ha chiarito se debba ritenersi idonea al passaggio in giudicato o avente valore meramente incidentale la pronuncia che, rispondendo ad istanze di parte volte ad impugnare il contratto o a darvi esecuzione, tratti solo implicitamente il tema della validità dello stesso.

Nel ragionamento delle Sezioni Unite si intersecano, dunque, vari temi, essendo plurimi i principi e valori che necessitano di tutela. Ex pluribus, dal diritto di difesa delle parti tramite la stimolazione del contraddittorio successiva al rilievo officioso di una causa di nullità, alla posizione del contraente debole nelle nullità c.d. di protezione.

1.      Il caso.

La fattispecie concreta che ha dato origine al contrasto giurisprudenziale sottoposto all’attenzione delle Sezioni Unite è la seguente.

Il giudice di prime cure rigettava la domanda risolutoria di un contratto di rendita vitalizia.

Venivano proposte, in un successivo giudizio, in via principale domanda di nullità, ed in subordine di annullamento del medesimo contratto. Il Tribunale, ritenendo mancante l’alea del contratto, accoglieva la domanda di nullità.

I soccombenti nel giudizio di primo grado proponevano appello lamentando l’erroneità della sentenza; ma l’omissione dei giudici del gravame nel pronunciarsi su tale motivo di impugnazione spingeva gli appellanti a ricorrere in cassazione.

La Cassazione viene investita della questione se, rigettata la domanda di risoluzione, potesse ritenersi implicitamente acclarata dal giudice la non nullità del contratto con una pronuncia avente forza di giudicato, tale da impedire, pena la violazione del né bis in idem, la riproposizione di una domanda di nullità nei confronti dello stesso negozio. In altri termini, se tra la domanda risolutoria conclusasi con il rigetto e quella di nullità formulata successivamente vi fosse identità.

È la questione del c.d. giudicato implicito esterno.

2.     Il commento ed i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite.

È opportuno ribadire che le Sezioni Unite, pur partendo dalla disamina della problematica principale di cui sono state investite, colgono l’occasione per trattare una serie di aspetti connessi, afferenti al rilievo della nullità ope judicis.

2.1.Impugnative negoziali, rilevabilità della nullità ex officio e giudicato implicito esterno.

Il giudizio arriva alla Suprema Corte per una evidente discrepanza di posizioni sul rilievo da ascrivere alla pronuncia del giudice di primo grado di rigetto della domanda risolutoria. Motivo che genera, poi, la rimessione della questione alle Sezioni Unite.

Le tesi emerse erano due.

Parte di giurisprudenza riteneva che poiché il giudice, risolvendo il contratto, ne acclarava solo implicitamente la non nullità, la pronuncia non era suscettibile di diventare cosa giudicata sul punto. Conclusione avvalorata dalla mancanza di un’istanza di parte. Ne conseguiva la pacifica riproponibilità in giudizio di questioni di nullità afferenti il medesimo contratto.

Nel 2012 hanno aderito a tale teoria le stesse Sezioni Unite. Dalla  sentenza n. 14828 si evince che in un contenzioso scaturente da richiesta risolutoria, il giudice, riscontrata una causa di nullità del contratto, poteva rilevarla ex officio qualora fosse emersa ex actis o comunque dai fatti allegati e provati dalle parti; ma ove non fosse stata formulata apposita istanza di parte, il rilievo officioso avrebbe determinato il rigetto della domanda di risoluzione con accertamento incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, della nullità.

Sul versante opposto, la tesi di quella giurisprudenza secondo la quale se non fosse stata sollevata domanda di nullità ma solo di risoluzione, ed implicando questa la validità del contratto, si sarebbe dovuto logicamente concludere per l’idoneità al giudicato della pronuncia sulla non nullità del contratto.

Nel rispondere al quesito, le Sezioni Unite, con le sentenze gemelle dello scorso dicembre, ma in particolare con la n. 26242, allargano il raggio di azione. Invece che occuparsi della sola ipotesi di riscontro di una causa di nullità del negozio nell’ambito di un giudizio introdotto con domanda risolutoria, affrontano il tema della compatibilità tra rilievo della nullità ed impugnative negoziali, in una al tema del c.d. giudicato implicito esterno. Mentre, infatti, nella citata sentenza del 2012 le Sezioni Unite si erano occupate del solo caso della risoluzione – lasciando le porte aperte a dubbi ed argomentazioni di vario respiro -  a distanza di due anni il Supremo Consesso affronta la medesima tematica in riferimento alle ipotesi della rescissione e dell’annullamento.

La premessa di fondo è che la nullità, come è noto, è una patologia dell’atto negoziale tanto grave da essere comminata nei casi di deficit di elementi costitutivi o quando si profilano ipotesi di illiceità e contrarietà ai canoni più significativi dell’ordinamento, ragion per cui il rilievo officioso ope judicis ex art. 1421 c.c. appare più obbligatorio che discrezionale.

Si afferma che introdotta domanda risolutoria o rescissoria o demolitoria, se il giudice si è pronunciato nel merito senza indagare su profili afferenti la validità del contratto, in applicazione del divieto di bis in idem, i punti il cui esame va ritenuto pregiudiziale nonostante la loro mancata specifica soluzione, non possono più essere messi in discussione.

Non si possono negare, invero, le diversità strutturali esistenti tra le azioni di adempimento e risoluzione, da un lato, e annullamento e rescissione, dall’altro. Le prime presuppongono un atto morfologicamente valido di cui vengono posti in discussione solo gli effetti; le seconde presuppongono l’invalidità strutturale dell’atto, benché temporaneamente efficace.

Tali azioni hanno, tuttavia, un dato comune, che le rende compatibili con la rilevazione della nullità del contratto da parte del giudice: l’efficacia del contratto, seppur con la temporaneità che connota annullamento e rescissione. Condizione unitaria di accoglimento è la non nullità del contratto, quindi la sua esistenza ed efficacia.

Pertanto, rigettata la domanda di annullamento o rescissione o risoluzione poiché il contratto è nullo, la declaratoria di nullità è idonea al passaggio in giudicato e la medesima questione non può essere riproposta.

Le Sezioni Unite spiegano tale conclusione con la circostanza che il bene della vita controverso non è il diritto potestativo, di natura sostanziale o processuale, che esaurisce la sua funzione con l’instaurazione del giudizio e l’emanazione della sentenza, ma il rapporto giuridico scaturente dall’atto negoziale, ovvero il coacervo delle situazioni soggettive generate dal contratto.

Se così è, rigettata una richiesta demolitoria o di esecuzione del contratto o ancora di rescissione a fronte della riconosciuta nullità contrattuale, sulla quaestio nullitatis non potrà nuovamente intervenire un successivo giudizio, se non avallando unevidente abuso del processo.

2.2.Rilevazione e dichiarazione della nullità. Il principio della ragione più liquida.

Tracciato il quadro, le Sezioni Unite chiariscono la differenza tra rilevazione e dichiarazione della nullità.

Rilevata la causa di nullità, infatti, il giudice non sempre la dichiara, con effetto di giudicato, poiché la causa potrebbe essere definita con una pronuncia fondata su una questione di merito “più pronta”, come la prescrizione del diritto fatto valere, la non gravità dell’inadempimento etc, senza che vengano scrutinati i profili concernenti la validità del titolo costitutivo. Sono questi i casi dell’operare del c.d. principio della ragione più liquida.

Il nostro ordinamento non postula, infatti, un ordine necessitato di tipo logico-giuridico nella risoluzione delle questioni di rito e di merito ma è il giudice, caso per caso, a trattare e risolvere quelle che, essendo maggiormente liquide, consentono la più celere definizione del processo. La conseguenza è che la controversia potrebbe essere risolta tramite l’esame esclusivo di una questione che è più liquida delle altre, con assorbimento delle difese ed eccezioni ulteriori, siano esse di parte o rilevate d’ufficio.

Allora, se è vero che il rigetto della domanda attorea di impugnazione negoziale significa riconoscimento della non nullità del contratto con una sentenza suscettibile di passare in giudicato, ciò non costituisce regola quando la decisione è fondata su una ragione più liquida, poiché il giudice, scrutinata quest’ultima, potrebbe non esaminare specificamente alcun profilo afferente la validità del contratto.

2.3.Nullità parziale e nullità totale.

Può accadere che istanza di parte sia stata sollevata ma il giudice abbia una convinzione diversa in merito alla rilevanza della patologia negoziale. Nel dettaglio, che le parti richiedano una declaratoria di nullità parziale rispetto alla quale il giudice reputi nullo l’intero contratto o, viceversa, che il giudice reputi nulla la singola clausola benché una parte abbia agito per ottenere l’accertamento della nullità totale.

Si è discusso, in passato, se si trattasse di una differenza quantitativa o qualitativa, e se il “più”, quindi una pronuncia di nullità totale potesse contenere il “meno”, la declaratoria di nullità della singola clausola viziata, o se la concessione da parte del giudice di un provvedimento diverso da quello richiesto fosse in ciascuno dei due casi un’operazione non consentita, perché ricadente nella violazione dell’art. 112 c.p.c.

Le Sezioni Unite confermano la costante attenzione della giurisprudenza di legittimità al diritto di difesa, argomentando che il giudice, una volta rilevata la questione, deve stimolare il contraddittorio (artt. 111 Cost. e 101, comma 2, c.p.c.). Ciò vale, ovviamente non solo allorquando il giudice abbia rilevato d’ufficio la questione e manchi qualsiasi istanza di parte, ma altresì quando, come nell’ipotesi che si commenta, richieste di parte e convincimento del giudice non collimino.

Le Sezioni Unite hanno argomentato sul punto che se l’istanza di parte è nel senso della nullità parziale, al giudice è comunque consentita, giusta il disposto dell’art. 1421 c.c., la rilevazione officiosa di una ragione di nullità totale del contratto; tuttavia, nel caso in cui nessuna delle parti formuli domanda di accertamento della nullità totale, il giudice, ritenuto esistente il vizio che è causa di nullità totale, è vincolato al rigetto della domanda di nullità parziale,  poiché, diversamente, garantirebbe efficacia, anche se in parte qua, ad un negozio radicalmente nullo.

Specularmente, se la parte ha richiesto la nullità totale del contratto, mentre il giudice ravvisi la sussistenza di una nullità parziale, sulla base della accennata distinzione tra rilevazione e dichiarazione, il giudice può rilevare d’ufficio la nullità parziale; qualora, tuttavia, le parti lascino inalterate le domande originarie, sembrerebbe precluso al giudice emanare una sentenza non richiesta, poiché significativa di una sovrapposizione del suo decisum alle determinazioni dell’autonomia privata esplicatasi nel processo.

2.4.Rilevabilità da parte del giudice di una causa di nullità diversa da quella sollevata dalle parti.

Le Sezioni Unite discutono, altresì, il tema della rilevabilità ex officio di una causa di nullità diversa da quella fatta valere dalla parte con la propria istanza.

La giurisprudenza tradizionale era contraria ad una tale rilevazione, sostenendo che il giudice, così facendo, avrebbe concesso alla parte una tutela differente da quella richiesta.

Le Sezioni Unite, premettendo la necessità che la causa di nullità rilevata d’ufficio risulti ex actis, superano la citata giurisprudenza argomentando in base al fatto che il contratto dichiarato nullo è il medesimo ed in definitiva anche il risultato ottenuto, e che quindi sono rispettati sia il petitum che la causa petendi. La domanda di nullità attiene ad un diritto autodeterminato ed è quindi individuata a prescindere dallo specifico vizio dedotto in giudizio.

2.5 Compatibilità tra rilevabilità d’ufficio e legittimazione riservata nelle nullità di protezione.

Le Sezioni Unite affrontano anche la delicata questione della rilevabilità d’ufficio delle nullità c.d. di protezione, poste a presidio dei soggetti deboli della negoziazione.

La dottrina che se ne è occupata si è divisa in due correnti di pensiero.

Per una prima tesi, considerata la ratio della introduzione nell’ordinamento di fattispecie di nullità protettive, ossia riservare alla parte vulnerabile del rapporto la scelta se conservare o invalidare il vincolo negoziale, la rilevazione ope judicis andrebbe a frustrare l’intento legislativo. Si tratta di fattispecie al confine tra nullità ed annullabilità, per le quali è prevista, infatti, legittimazione relativa all’azione di nullità; ammettere che il giudice possa, prescindendo dall’istanza della parte debole, rilevare una causa di nullità, significherebbe vanificare la ratio protettiva.

Altra parte della dottrina, pur confermando che le fattispecie di nullità di protezioni tutelano interessi particolari, spiega che accanto a questi si situa la salvaguardia di interessi superindividuali, pertinenti all’intera collettività. Si pensi alla normativa a tutela del consumatore, che non presidia esclusivamente la persona del consumatore contro eventuali abusi del professionista in quanto parte forte del rapporto, ma valori costituzionalmente rilevanti, quali, per esempio, l’uguaglianza almeno formale tra contraenti deboli e forti (art. 3 Cost.) ed il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.). In conclusione, nessuna inconciliabilità è dato trarre tra potere di rilevazione ex officio della nullità e legittimazione riservata nel settore in analisi, a condizione che il giudice eserciti siffatto potere indirizzandolo alla tutela del contraente debole.

Le Sezioni Unite accolgono questa seconda tesi motivando, ancora una volta, sulla base della differenza tra rilevazione e dichiarazione. Rilevata la causa di nullità e considerata la ratio della normativa de quo, il giudice deve verificare che la dichiarazione della nullità sia vantaggiosa per il contraente debole, arrestandosi alla sola rilevazione qualora dovesse appurare, al contrario, un interesse della parte alla conservazione del negozio.

Ultima modifica il 18 Giugno 2015