Pubblicato in Altri diritti

Le Province: un importante passato, un difficile presente, un incerto futuro

by Ricercatore Daniele Coduti on28 Settembre 2015

1. La Provincia è l’ente locale previsto dalla Costituzione che negli ultimi anni sta subendo una forte pressione riformatrice, tanto da apparire destinato a scomparire 

ove fosse approvato il disegno di legge costituzionale che, al momento in cui si scrive, è in discussione in Parlamento.

2. Storicamente, la Provincia non era un’entità preesistente allo Stato come il Comune, bensì un ente di creazione statale configurato come livello intermedio tra i Comuni ed il centro per operare innanzitutto come organo di decentramento amministrativo. In Italia, l’organizzazione provinciale deriva dall’estensione al Regno d’Italia – con la legge n. 2248 del 1865 – del modello amministrativo prefettizio di matrice francese già adottato dal Regno di Sardegna nel 1847[1]. Invero, anche dopo l’Unità d’Italia non mancarono le istanze per un’articolazione territoriale del Regno in Regioni, con al loro interno ulteriori livelli di decentramento (i Comuni, ovviamente, ma anche le Province, i Circondari o i Mandamenti), ma l’influenza delle istituzioni transalpine e i rischi che l’istituzione delle Regioni avrebbe potuto comportare per l’integrità territoriale appena raggiunta fecero propendere per l’adozione del modello prefettizio su base provinciale, già noto e, per così dire, rodato.

Il modello iniziale subì gradualmente alcune modificazioni che rafforzarono l’autonomia dell’ente, ad esempio sostituendo alla guida dell’Esecutivo provinciale il prefetto di nomina governativa con un presidente eletto. L’avvento del fascismo, però, ridimensionò profondamente l’autonomia degli enti locali, trasformati in enti ausiliari dello Stato e con organi non eletti, bensì nominati dal Governo.

3. Con l’approvazione della Costituzione nel 1947, la nascita della Repubblica italiana e la previsione delle Regioni, le Province non sono scomparse ma hanno trovato un esplicito riconoscimento nella Carta fondamentale. In particolare, nell’art. 5 della Costituzione convivono i principî di unità, autonomia e decentramento, che sono collocati tra i principî fondamentali. Tale disposizione costituzionale, affermando che la Repubblica «riconosce e promuove le autonomie locali», da un lato, ha preso atto della preesistenza degli enti locali, dall’altro, ha inteso attribuire all’ordinamento repubblicano un ruolo attivo di promozione di tali enti. In questo modo, il pluralismo delle autonomie territoriali è divenuto un principio che caratterizza la democrazia italiana, costituendo un antidoto alle derive autoritarie favorite dalla concentrazione del potere.

L’art. 114 della Costituzione, poi, nel suo testo anteriore alla riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ha fornito un copertura costituzionale agli enti locali in cui si “ripartiva” la Repubblica: Regioni, Province e Comuni[2], configurandoli come enti autonomi, rappresentativi delle relative comunità[3], oltre che come circoscrizioni di decentramento statale e regionale[4].

La riforma costituzionale del 2001 non solo ha confermato il rilievo costituzionale degli enti locali ma ne ha addirittura rafforzato il ruolo: riconoscendo (apparentemente) pari dignità a tutti gli enti territoriali che “costituiscono” la Repubblica (come si evince dall’art. 114 Cost. novellato[5]); manifestando una preferenza per gli enti territoriali più vicini al cittadino, coerentemente con l’espresso recepimento in Costituzione del principio di sussidiarietà (sia nella sua declinazione verticale sia in quella orizzontale)[6]; costituzionalizzando alcuni aspetti dell’autonomia degli enti locali (quali la potestà statutaria[7] e l’autonomia finanziaria[8]). Inoltre, con la novella costituzionale ha fatto il suo ingresso nella Carta fondamentale anche un altro ente locale, la Città metropolitana[9], che è parso per certi versi sovrapporsi alla Provincia.

La riforma del Titolo V rappresenta il punto di arrivo di una serie di modifiche della disciplina legislativa degli enti locali con le quali se ne è valorizzato il ruolo di enti autonomi, espressione di una comunità residente in un dato territorio, anziché quello di strumenti di decentramento burocratico. Si pensi, ad esempio, all’affermazione del principio di sussidiarietà operata dalle c.d. riforme Bassanini[10], oppure all’introduzione dell’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province con la legge n. 81 del 1993.

4. La crisi economica del primo decennio degli anni Duemila, però, è parsa mutare il clima di favore nei confronti degli enti locali e, in particolare, delle Province, che sono state considerate come inutili centri di spesa, quasi un livello territoriale ridondante rispetto agli altri enti territoriali elencati in Costituzione. Si è dunque gradualmente rafforzata la convinzione di doverle sopprimere al fine di ridurre la spesa pubblica[11], tanto che negli ultimi anni si sono ipotizzate diverse soluzioni normative con lo scopo di ridimensionare, accorpare o sopprimere le Province[12]; questi tentativi, però, sono falliti, anche perché si sono scontrati con la copertura garantita all’ente dalla Costituzione.

In “attesa” di una revisione costituzionale, l’ordinamento delle Province è stato riformato dalla legge n. 56 del 2014 (c.d. legge Delrio), la quale disciplina le unioni e le fusioni di Comuni, nonché gli enti di area vasta: Province e Città metropolitane.

Quanto alle Province, la citata legge ne modifica gli organi di governo e ne ridimensiona le funzioni[13]. Per quanto riguarda gli organi, essi attualmente sono: il Presidente della Provincia, il Consiglio provinciale e l’Assemblea dei Sindaci, i cui membri esercitano le loro funzioni a titolo gratuito. Tali organi non sono eletti dagli elettori residenti nei Comuni della Provincia, bensì da Sindaci e consiglieri dei Comuni della Provincia, e sono scelti tra i medesimi Sindaci e consiglieri; gli organi di governo della Provincia, dunque, non sono più eletti a suffragio universale e diretto e le cariche provinciali e comunali sono connesse, poiché la cessazione dalla carica comunale comporta anche la cessazione dalla carica provinciale.

Nello specifico, il Presidente della Provincia è eletto dai Sindaci e dai consiglieri dei Comuni della Provincia ed è scelto tra i Sindaci degli stessi Comuni. Egli rappresenta l’ente, convoca e presiede il Consiglio provinciale e l’Assemblea dei Sindaci, sovraintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti, esercita le altre funzioni attribuitegli dallo statuto provinciale. Inoltre, il Presidente può nominare un vicepresidente, scegliendolo tra i consiglieri provinciali, e assegnare deleghe ai consiglieri provinciali, secondo modalità e limiti stabiliti nello statuto della Provincia.

Il Consiglio provinciale svolge prevalentemente funzioni di indirizzo e controllo, è composto dal Presidente e da un numero di consiglieri che varia in base alla popolazione della Provincia; per la formazione di tale organo, l’elettorato attivo e passivo spetta ai Sindaci e ai consiglieri dei Comuni della Provincia.

Infine, l’Assemblea dei Sindaci è composta dai Sindaci dei Comuni appartenenti alla Provincia e ha poteri propositivi, consultivi e di controllo; essa, inoltre, approva o respinge lo statuto della Provincia proposto dal Consiglio.

Relativamente alle funzioni dell’ente, esse sono state ridimensionate rispetto al passato, ma in capo alla Provincia rimangono comunque funzioni fondamentali di significativo rilievo in materia di territorio e valorizzazione dell’ambiente; servizi di trasporto, gestione e costruzione delle strade e regolazione della circolazione stradale; programmazione della rete scolastica ed edilizia scolastica; raccolta ed elaborazione dati e assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità. Inoltre, d’intesa con i Comuni, la Provincia può svolgere altre funzioni: predisposizione dei documenti di gara; stazione appaltante; monitoraggio dei contratti di servizio e organizzazione di concorsi e procedure selettive. Funzioni ulteriori sono previste per le Province con territorio interamente montano e confinanti con Paesi stranieri[14].

Le funzioni diverse da quelle elencate devono essere trasferite ad altri enti dallo Stato e dalle Regioni, secondo le rispettive competenze; oltre alle funzioni, vanno trasferite le risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse, seguendo un articolato procedimento che coinvolge il Governo, la Conferenza unificata e le Regioni. Di conseguenza, le Province non assistono solo ad un ridimensionamento delle loro funzioni ma anche delle risorse a loro disposizione, ad esempio, a causa del trasferimento di parte del loro personale ad altri enti.

La c.d. legge Delrio, dunque, non sopprime le Province ma le riorganizza in maniera tanto incisiva da mutarne la natura, perché la modificazione degli organi e delle funzioni le trasforma da enti territoriali espressione di un’autonomia locale in enti di secondo livello, il cui ruolo è strumentale a quello dei Comuni che ne fanno parte.

Come si è anticipato, la legge n. 56 del 2014 disciplina anche le Città metropolitane come enti di area vasta, con un territorio che «coincide con quello della Provincia omonima»[15] e con organi e funzioni simili a quelli delle Province ma non identici[16].

Quanto all’organizzazione, una differenza di rilievo con le Province è rappresentata dalla circostanza che lo statuto di tale ente può prevedere l’elezione a suffragio universale e diretto del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano; relativamente alle funzioni, invece, la Città metropolitana sembrerebbe deputata anche a favorire lo sviluppo strategico del territorio e non solo ad occuparsi delle funzioni di area vasta. Le Città metropolitane previste dalla l. n. 56 del 2014 sono Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria[17], ma enti analoghi potrebbero essere istituiti anche nelle Regioni speciali sulla scorta dei rispettivi statuti speciali (nel momento in cui si scrive, ad esempio, in Friuli-Venezia Giulia si discute della possibile configurazione di Trieste come Città metropolitana).

La profonda trasformazione del sistema degli enti locali territoriali operata dalla legge n. 56 del 2014 ha indotto le Regioni Campania, Lombardia, Puglia e Veneto ad impugnarne numerose disposizioni dinanzi alla Corte costituzionale; quest’ultima, tuttavia, ha respinto i ricorsi con la sentenza n. 50 del 2015.

5. Come si è visto, la c.d. legge Delrio non sopprime le Province, ma le “riordina”, «in attesa della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione»[18]; si tratta di un intervento normativo che pare coordinato con il disegno di revisione costituzionale del Governo Renzi, al fine di giungere alla soppressione di questo livello territoriale di governo. Difatti, tale Governo ha presentato in Parlamento un ampio progetto di riforma della Parte seconda della Costituzione[19] che, nel momento in cui si scrivono queste pagine, è già stato approvato in prima lettura.

Con specifico riferimento alle Province, il progetto di riforma costituzionale prevede la cancellazione dei termini “Provincia” e “Province” da ogni articolo della Costituzione che attualmente li contempla (tranne i riferimenti alle Province autonome di Trento e Bolzano). Come si anticipava, il progetto di riforma costituzionale è comunemente inteso come volto a consentire la soppressione dell’ente locale, ma a tal proposito è opportuna qualche precisazione.

Innanzitutto, l’eventuale approvazione della riforma costituzionale non cancellerebbe automaticamente le Province; essa, infatti, priverebbe la Provincia di una espressa copertura costituzionale, consentendo allo Stato di intervenire sull’ente con un atto legislativo ordinario, eventualmente disponendone la soppressione. Sino a tale intervento legislativo, però, le Province continuerebbero ad esistere secondo la disciplina dettata dalla c.d. legge Delrio.

Ove le Province fossero soppresse, si avrebbe una riorganizzazione del sistema delle autonomie locali, che vedrebbe l’articolazione del governo locale su due soli livelli rappresentativi delle comunità locali: le Regioni e i Comuni (entrambi rappresentati nel nuovo Senato configurato dalla riforma costituzionale). Lasciando da parte le Città metropolitane, le funzioni di area vasta dovrebbero essere esercitate da enti locali non previsti dalla Costituzione, quali le unioni di Comuni e le Comunità montane. Ma queste ultime non sarebbero espressione di una democrazia locale, poiché, anziché rappresentare le popolazioni residenti in un dato territorio, rappresenterebbero gli enti locali situati su un determinato territorio, garantendo una razionalizzazione dell’esercizio delle loro funzioni amministrative. Ciò comporterebbe, ovviamente, l’adozione di una disciplina che chiarisca come distribuire le funzioni delle odierne Province tra tali enti e come provvedere al trasferimento delle residue risorse (umane, finanziarie, patrimoniali, ecc.) delle Province medesime.

La possibilità che le funzioni di area vasta siano esercitate anche da enti locali disciplinati solo da fonti normative ordinarie consente di ipotizzare che un ente locale competente per le aree vaste potrebbe anche non scomparire dopo la (eventuale) approvazione della riforma costituzionale. Infatti, l’art. 117, co. 2, lett. p, della Costituzione, nel testo ipotizzato dal progetto di riforma, attribuisce allo Stato il compito di dettare le «disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni»[20]; inoltre, tra le norme transitorie, il disegno di legge costituzionale prevede che: «Per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adottate con legge regionale»[21]. Dunque, potrebbe accadere che in alcune Regioni (quelle con la maggiore estensione territoriale, ad esempio) si decida di conservare un ente territoriale intermedio tra la Regione e i Comuni per esercitare le funzioni di area vasta, purché le Regioni interessate abbiano le risorse finanziarie per farlo. Tale ente dovrebbe essere disciplinato dalla legge regionale nel rispetto delle disposizioni generali dettate dalla normativa statale e, probabilmente, servirebbe a coordinare l’esercizio delle funzioni degli altri enti locali presenti sul territorio ma non ad esprimere l’autonomia di un territorio e delle comunità che vi risiedono; si tratterebbe, dunque, di un ente dai connotati ben diversi da quelli che la Provincia ha avuto durante l’esperienza repubblicana e con una presenza disomogenea sul territorio nazionale.

6. Se si allarga la visuale e – oltre alle innovazioni relative alle Province (sia quelle approvate sia quelle in itinere) – si considerano il ridimensionamento delle competenze delle Regioni e i vincoli derivanti dalla legge statale per i Comuni e le Città metropolitane previsti dal citato progetto di riforma costituzionale, nonché alcuni interventi normativi che riguardano la riduzione delle prefetture oppure il destino della figura di segretario comunale e provinciale ne risulta una propensione centralista che non solo è in controtendenza con la riforma del Titolo V del 1999-2001 e con le riforme legislative che l’hanno preceduta ma appare meno attenta alle ragioni della democrazia locale e del decentramento anche nel confronto con il testo della Costituzione entrato in vigore nel 1948. Invero, anziché un organico disegno teso a tratteggiare una nuova mappa delle autonomie territoriali (ad esempio, superando la distinzione tra Regioni ordinarie e Regioni speciali), la tendenza in atto sembra piuttosto il frutto dell’esigenza di contenere la spesa pubblica, rendendo evidente come – nell’attuale momento storico – i principî economico-finanziari (l’equilibrio di bilancio e il coordinamento della finanza pubblica, in particolare) prevalgano su quelli dell’autonomia e del decentramento.

Limitandosi a considerare le sole Province, per conoscere il destino di tale ente locale occorrerà attendere non solo l’approvazione della riforma costituzionale ma anche l’adozione della successiva normativa di attuazione, secondo un iter complesso e dai tempi prevedibilmente lunghi; tuttavia, la diffusa convinzione che il risparmio di spesa pubblica passi attraverso la soppressione delle Province sembra aver già segnato il destino di questo ente territoriale.


[1]La nascita delle Province viene comunemente fatta risalire all’Editto albertino 659/1947; alle istituzioni e circoscrizioni provinciali faceva riferimento anche l’art. 74 dello Statuto albertino.

[2]«La Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni».

[3]L’art. 128 Cost. previgente, infatti, affermava: « Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principî fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni».

[4]Come chiarito dal previgente art. 129 Cost.: «Le Provincie e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento».

[5]«La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con proprî statuti, poteri e funzioni secondo i principî fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento».

[6]In particolare, nell’art. 118 Cost.: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

[7]Come si evince dal vigente art. 114, co. 2, Cost.

[8]Di cui all’art. 119 Cost. novellato.

[9]Già prevista nell’ordinamento italiano dalla l. 142/1990.

[10]Il riferimento è, in particolare, alla l. 59/1997 e al d.lg. 112/1998.

[11]Un esempio è rappresentato dalla nota lettera di Mario Draghi e Jean-Claude Trichet del 5 agosto 2011, inviata all’allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, nella quale si chiede al Governo italiano un forte impegno per abolire o fondere alcuni livelli amministrativi intermedi, come le Province.

[12]Si v., ad es., il d.l. 138/2011 (adottato dal Governo Berlusconi IV), oppure il d.l. 201/2011 (adottato dal Governo Monti), o, ancora, il d.d.l. cost. A.C. 1543, XVII Legislatura (di iniziativa del Governo Letta).

[13]Cfr. art. 1, co. 54 ss., l. 56/2014.

[14]Così art. 1, co. 3, l. 56/2014.

[15]Così art. 1, co. 6, l. 56/2014.

[16]Cfr. art. 1, co. 5 ss., l. 56/2014.

[17]Come previsto dall’art. 1, co. 5, l. 56/2014.

[18]Così afferma l’art. 1, co. 51, l. 56/2014.

[19]Si tratta del d.d.l. cost. A.S. 1429-B, XVII Legislatura, “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione”.

[20]Così l’art. 31 del d.d.l. cost. A.S. 1429-B, XVII Legislatura.

[21]Così l’art. 40 del d.d.l. cost. A.S. 1429-B, XVII Legislatura.

Ultima modifica il 28 Settembre 2015