Stampa questa pagina
Pubblicato in Altri diritti

Il delitto di disastro ambientale tra normativa e giurisprudenza

by Avv. Anna Maria Marinelli on14 Dicembre 2017

La Legge n. 68/2015 con il titolo “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” introduce

 nell’ordinamento italiano un’importantissima riforma e colmando una lacuna di circa vent’anni.

Non solo introduce nel codice penale un intero titolo (VI bis) dedicato ai “Delitti contro l’ambiente”, ma riporta modifiche allo stesso Testo Unico Ambientale (introducendo persino una Parte VI bis sulla “Disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale”) ed al D.L.vo n. 231/2001 (in particolare all’art. 25-undecies, recante i reati presupposto ambientali).

Fino all’introduzione dell’art.452 quater c.p., la giurisprudenza riconduceva gli eventi di disastro ambientale allo schema normativo di “altro disastro” (c.d. disastro “innominato”) di cui all’art. 434 c.p. In tal modo il delitto di disastro colposo innominato, rientrando nell’alveo dell’art. 434 c.p., in assenza di un autonomo titolo di reato, si configurava come un “macroevento” che comprendeva non soltanto gli eventi disastrosi di evidente manifestazione (crollo, naufragio, deragliamento ecc.) che si verificavano in un ristretto arco temporale ma anche quelli non immediatamente percepibili e le cui conseguenze, con una lesione dei diritti della sicurezza della tutela della salute, della persona e della collettività, possono verificarsi anche molto tempo dopo (cfr. Cass. 4675/2006).

Diverse le critiche mosse ad un siffatto orientamento poiché nei fatti di inquinamento ambientale, anche quando fossero molto gravi, in assenza di una norma specifica non era possibile inquadrare con assoluta certezza e chiarezza gli elementi tipici per integrare il reato come richiesto dai principi del diritto penale ed in particolare il principio di tassatività.

La Cassazione n. 40330/2006 ha precisato che, affinché si possa configurare il reato di disastro colposo, è necessario che l’evento di danno o di pericolo per la pubblica incolumità sia straordinariamente grave e complesso, ma nel senso di eccezionalmente immane, essendo sufficiente e necessario che:

1)         Il nocumento abbia il carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo collettivamente un numero indeterminato di persone;

2)         La grande dimensione dell’evento generi un esteso e vasto allarme sociale, tanto da non essere necessario che il fatto abbia direttamente cagionato collettivamente la morte o lesioni delle persone, potendo colpire anche le cose e dal cui danno insorga un grave pericolo per la salute collettiva;

3)         L’attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana integri gli aspetti di durata, ampiezza ed intensità tali da risultare nel concreto realmente gravi e complessi, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull’uomo (Cass. 7941/2014).

Nel 2008 la Corte Costituzionale investita della questione, con una sentenza interpretativa di rigetto, ravvisò che l’indubbia genericità nel delitto di disastro innominato andasse superato con l’applicazione di due criteri interpretativi ovvero la finalità dell’incriminazione e della collocazione sistematica della norma. In applicazione di questi due principi, il giudice individuava gli aspetti fondanti del delitto di disastro ambientale innominato, circoscrivendo lo stesso dal punto di vista della dimensione, al verificarsi di un “evento distruttivo di proporzioni straordinarie anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi e gravi, complessi ed estesi”, dal versante dell’offensività, lo stesso deve cagionare “un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone”.

La giurisprudenza di merito e di legittimità successiva all’intervento del 2008 della Corte Costituzionale si è discostata abbastanza spesso, nonostante avesse sempre sostenuto di attenersi alle indicazioni dettate dalla Consulta. Pertanto, continuava ad applicare sistematicamente il delitto di disastro innominato a qualunque fatto di grave inquinamento ambientale.

Importante la decisione della Cassazione sul caso “Eternit” in cui i Supremi Giudici hanno ritenuto di poter qualificare come disastro innominato la dispersione nell’aria di massicce quantità di fibre di amianto, un fatto, cioè che per quanto grave e senza dubbio pericoloso per la salute pubblica, sicuramente non può essere inquadrato come “evento distruttivo”.

Pertanto, l’assenza di una norma incriminatrice di parte speciale che nel rispetto del principio di tassatività prevedesse espressamente il delitto di disastro ambientale, rappresentava una lacuna nell’ordinamento italiano.

Il riferimento al delitto di disastro ambientale derivante da condotte reiterate nel tempo, per effetto di una ingente contaminazione di siti mediante deposito sul territorio o sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi. La Cassazione 9418/2008 ritiene che affinché si configuri il delitto di disastro ambientale di cui all’art. 434 c.p. sono necessari due elementi:

1)         La potenza espansiva del danno;

2)         L’attitudine ad esporre a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone, per cui è necessario un evento straordinariamente grave e complesso ma non eccezionalmente di immani proporzioni.

Nell’assetto normativo previgente all’introduzione della normativa sugli ecoreati, dunque, il delitto di disastro ambientale “innominato” di cui all’art. 434, comma 1 c.p., era un reato di pericolo a consumazione anticipata perfezionato con la condotta di immutatio loci, purché idonea in concreto a minacciare l’ambiente di un danno di eccezionale gravità, se pur non necessariamente irreversibili.

La Suprema Corte afferma che anche nella fattispecie dell'art. 586 cod. pen. è richiesta una responsabilità per colpa “in concreto”, ossia ancorata ad una violazione di regole cautelari di condotta e ad un coefficiente di prevedibilità ed evitabilità, in concreto e non in astratto, del rischio connesso alla carica di pericolosità per i beni della vita e dell'incolumità personale, intrinseca alla consumazione del reato doloso di base (Cfr. Sez. U., n. 22676 del 22 gennaio 2009, Ronci, Rv. 243381).

L’introduzione dell’art. 452 quater c.p. con la legge 68/2015 ha inteso superare le difficoltà di configurazione connesse all’art. 434 c.p. ed al concetto stesso di disastro ambientale, colposo e doloso e termini di prescrizione è stata sollevata questione di legittimità costituzionale. Con ordinanza del 29 aprile 2015, pubblicata sulla gazzetta ufficiale del 18-11-2015, la quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, comma sesto, cod. pen., nella parte in cui prevede che il termine di prescrizione del reato di disastro colposo risulti conforme a quello previsto per la più grave ipotesi di disastro doloso.

Sottoposta all’esame della Corte Costituzionale la durata dei termini prescrizionali previsti rispettivamente per le due figure di reato:

  • La regola generale dettata dal comma primo dell’art. 157 cod. pen., come novellato, prevede che il reato di disastro doloso previsto dall’art. 434, comma 2, cod. pen., siccome punito con la pena della reclusione da tre a dodici anni, si prescriva nel termine di anni dodici.
  • i reati previsti dall’art. 449 comma primo cod. pen. (che punisce con la pena della reclusione da uno a cinque anni chiunque «cagiona per colpa un incendio o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo») si prescriverebbero nel termine di anni sei; tuttavia, tale termine va raddoppiato (quindi, portato ad anni dodici) a norma dell’art. 157 comma 6 cod. pen., ove si stabilisce che «I termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di cui agli articoli 449, 589 secondo terzo e quarto comma, nonché per i reati di cui all’art. 51 commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale».

Pertanto, dalla lettura dell’ordinanza emerge un preciso sistema sanzionatorio, ove il termine prescrizionale relativo al disastro ambientale doloso risulti conforme a quello previsto per il disastro ambientale colposo, nel caso in cui l’evento si sia verificato e pertanto in entrambi i casi 12 anni.

Il medesimo termine prescrizionale previsto per l’ipotesi colposa e dolosa del reato di disastro ambientale, mette in evidenza la questione della compatibilità di un tale assetto sanzionatorio, rispetto ai principi di uguaglianza e di ragionevolezza, ex art. 3 Cost.

Infatti – come evidenziato dalla Cassazione – la Corte costituzionale, con la sentenza n. 143 del 2014, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 157, sesto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede che i termini di cui ai precedenti commi del medesimo articolo siano raddoppiati, rispetto al reato di incendio colposo, ai sensi dell’art. 449, in riferimento all’art. 423 cod. pen.

La Corte costituzionale sul punto evidenzia che la disciplina di cui all’art. 157, cod. pen., comma sesto, determina una anomalia di ordine sistematico, nel caso dei reati realizzati in forma colposa – nella specie l’incendio – ove il termine prescrizionale risulti addirittura superiore rispetto alla corrispondente ipotesi dolosa, se pure identica sul piano oggettivo.

La Consulta sull’assunto che la prescrizione costituisca nell’attuale configurazione un istituto di natura sostanziale, ha ritenuto che la discrezionalità legislativa, in materia, debba pur sempre essere esercitata nel rispetto del principio di ragionevolezza e in modo tale da non determinare ingiustificabili sperequazioni di trattamento, tra fattispecie omogenee.

Pertanto – conclude il giudice a quo – va considerata non manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale dedotta dalle difese, rispetto all’art. 157, comma 6, cod. pen., in riferimento all’art. 3 Cost., poiché la determinazione dei medesimi termini di prescrizione, per il disastro ambientale e per l’analoga ipotesi dolosa, appare in contrasto con il principio di ragionevolezza. In tal modo viene a cadere il distinguo tra fattispecie colposa e dolosa, tanto che l’ipotesi di disastro colposo (ex artt. 449 e 434 cod. pen.), meno grave, punita infatti con la pena edittale da uno a cinque anni, si possa prescrivere nel medesimo tempo occorrente per la più grave ipotesi dolosa, di cui all’art. 434, comma 2, cod. pen., punita con la reclusione da tre a dodici anni.

Con l’introduzione dell’art. 452-quater cod. pen., il legislatore intende superare le difficoltà di configurazione intrinsecamente connesse, da una parte, alla stessa struttura della fattispecie contemplata dall’art. 434 cod. pen. e, per altro verso, alla non pacifica enucleazione del concetto stesso di disastro ambientale. La disposizione prevede che “costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”. 

La Corte di Cassazione ha spesso affermato che nel disastro innominato di cui all’art. 434 cod. pen. il dolo è intenzionale rispetto all'evento di disastro ed eventuale rispetto al pericolo per la pubblica incolumità, inquadramento che non subisce modifiche con riferimento alla ipotesi presa in considerazione dal comma secondo, qualificata dalla Corte come circostanza (di evento) aggravante e non invece come autonoma ipotesi di reato (Corte Cassazione Sez. 1, n. 7941 del 19 novembre 2014).

Il nuovo art. 452-octies cod. pen. dispone che sono aumentate le pene previste dall’art. 416 cod. pen. quando l’associazione è diretta, in via esclusiva o concorrente, allo scopo di commettere taluno dei reati ambientali previsti dalla novella. Sono aumentate le pene previste dall’art. 416 bis cod. pen. quando l’associazione a stampo mafioso è finalizzata a commettere taluno dei delitti previsti dal presente titolo ovvero all’acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti o di servizi pubblici in materia ambientale. Infine entrambe queste pene sono ulteriormente aumentate (da un terzo alla metà) se dell’associazione fanno parte pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientali.

L’introduzione di circostanze aggravanti “ambientali” applicabili al reato di associazione a delinquere è chiaramente ispirata (in chiave di politica criminale) alla volontà di contrastare il fenomeno delle organizzazioni i cui profitti derivino in tutto o in misura consistente dalla criminalità ambientale.   L’inasprimento sanzionatorio potrebbe rivelarsi in concreto più simbolico che reale, laddove mitigato dall’applicazione del cumulo giuridico nei casi di concorso tra la fattispecie associativa e i singoli delitti-scopo.

L'art. 452-novies prevede, infatti, un aumento di pena quando un qualsiasi reato venga commesso allo scopo di eseguire uno dei delitti contro l'ambiente previsti dal nuovo titolo VI-bis del libro secondo del codice penale, dal D. Lgs. 152/2006 o da altra disposizione di legge posta a tutela dell'ambiente. La previsione sembra introdurre una ipotesi speciale rispetto a quanto già previsto dall'art. 61, primo comma, n. 2), c.p., con la differenza che nella nuova fattispecie la finalità del reato è  limitato al solo caso di reato commesso per eseguirne un altro (quello contro l’ambiente) e non, come prevede l’aggravante comune, anche per occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero la impunità di un altro reato.

Si tratta di ipotesi nelle quali dovrebbe rientrare in gioco l’aggravante comune, salvo eventuali dubbi di costituzionalità, sotto il profilo della giustificazione del diverso trattamento sanzionatorio fra il caso di reato commesso per eseguirne un altro ambientale (punito con aumento da un terzo alla metà) e quello di reato commesso per occultarne un altro ambientale (punibile con aumento sino al terzo).  L'aumento è invece comunque di un terzo se dalla commissione del fatto derivi la violazione di disposizioni del Codice dell’Ambiente o di altra legge a tutela dell'ambiente. Formulata in questo modo, la disposizione lascia supporre che la seconda violazione possa riguardare anche illeciti amministrativi, purché la legge che li contempli possa senza incertezze qualificarsi come posta “a tutela dell’ambiente” in forza di precisi coefficienti di riconoscibilità esterna, pena un difetto di conoscibilità del precetto penale e prevedibilità della sanzione.

Ai sensi dell’art. 452–decies cod. pen.,  “Le pene previste per i delitti di cui al presente titolo, per il delitto di associazione per delinquere di cui all’articolo 416 aggravato ai sensi dell’articolo 452-septies, nonchè per il delitto di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, sono diminuite dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alle metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti. Ove il giudice, su richiesta dell’imputato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado disponga la sospensione del procedimento per un tempo congruo, comunque non superiore a due anni e prorogabile per un periodo massimo di un ulteriore anno, al fine di consentire di completare le attività di cui al comma precedente in corso di esecuzione, il corso della prescrizione è sospeso”. 

La norma non è completamente assimilabile alla circostanza attenuante prevista dalla seconda parte dell'art. 62 n. 6 cod. pen., che secondo la giurisprudenza di legittimità ha pacificamente natura soggettiva ed è ravvisabile solo se l'azione è determinata da motivi interni. Non è altrettanto paragonabile alla attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 56 cod. pen., che opera se l’evento è volontariamente impedito, laddove nella fattispecie in esame si tratta di una condotta ex post finalizzata a “sanare” il danno prodotto da un evento già verificatosi.

L’imputato deve attivarsi per la “bonifica”, ossia per quell’insieme di interventi atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o a ridurre le concentrazioni delle stesse presenti nel suolo, nel sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (art. 240, co. I, lett. p del D. Lgs. n. 152/2006).  Il punto riguarda il  requisito della “concretezza” della messa in sicurezza, della bonifica e, ove possibile, del ripristino dei luoghi. Le fasi antecedenti dovrebbero rivestire invece un evidente ruolo ai fini della richiesta e relativa concessione della sospensione del procedimento.

Trattandosi di una facoltà del Giudice che procede (“ove il giudice…”), legata ovviamente ad una valutazione non meramente discrezionale, la “meritevolezza” della sospensione potrebbe essere valutata ad una verifica della concreta volontà dell’imputato di procedere alla bonifica. In tal senso, un ausilio potrebbe derivare dall’analisi della giurisprudenza della Cassazione in tema di omessa bonifica prevista dall’art. 257 D. Lgs. 152/2006.

L’efficacia della risposta repressiva/ripristinatoria risiede nel fatto che gli obblighi preliminari al progetto di bonifica – l’obbligo di indagine preliminare, di caratterizzazione e di analisi di rischio sito specifica – pur posti in linea di massima a carico del soggetto inquinatore, non sono più provvisti di autonoma sanzione, né penale, né amministrativa, per il caso di loro inosservanza.

Sul piano strettamente processuale, in ultimo, in ragione del ricorso a riti speciali, non sia prevista l'apertura del dibattimento. In assenza di riferimenti normativi ed orientamenti giurisprudenziale, con cautela, non pare si possa escludere un’interpretazione (ratione legis) che vieti, una volta che l’imputato sia stato ammesso al rito abbreviato o abbia formulato istanza di applicazione di pena concordata, la possibilità di richiedere ed ottenere la sospensione del processo per completare la bonifica, in ragione della connaturata funzione acceleratoria e semplificatoria di tali riti alternativi rispetto all’ordinario percorso dibattimentale.

 

Ultima modifica il 16 Gennaio 2018