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La “Schengen sanitaria” e la direttiva 24/2011/UE: prospettive e applicazioni alla luce del recente d.lgs. n. 38 del 2014. Intervista all’avvocato Maurizio Campagna

by Avv. Riccardo Aiello e Dott.ssa Roberta Nardi on13 Maggio 2015

Siamo di fronte ad una delle questioni cruciali che toccano il complesso ed affascinante tema del futuro dell’Europa, disegni e confini di uno scenario futuro verso un’Europa dei diritti e non solo delle economie passano per il fronte sempre più attuale della “tutela sanitaria europea”.

Il diritto alla salute come fondamentale prerogativa della persona umana è generalmente riconosciuto nel quadro normativo di molti Paesi europei. Un principio essenziale che il legislatore europeo non poteva astenersi dal disciplinare. L’art. 168 TFUE lo sancisce in maniera chiara ed una serie di direttive ne articolano il significato connotandolo di originali caratteristiche: linea di confine nel quadro comunitario tra il diritto soggettivo della libertà di circolazione delle persone, e quindi dei pazienti, e quello prettamente economico della libera prestazione dei servizi.

Mercato e salute, diritti fondamentali e allocazione delle risorse, esigenze di spesa e razionalizzazione dei costi: la matrice di ogni spending review. Tutto questo troviamo nella recente direttiva 24/2011/UE in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera. Un decreto legislativo, il n. 38 del 2014 l’ha recepita nel nostro ordinamento, ma i profili problematici di natura interpretativa e applicativa permangono in uno scenario che supera il semplice, seppur fondamentale, diritto a ricevere prestazioni sanitarie adeguate. Un diritto che tocca e affronta una delle vere questioni europee: Europa dei mercati o anche Europa dei cittadini?

Un tema “caldo” che verrà affrontato in occasione della Giornata Nazionale del Malato Oncologico promossa da F.A.V.O. (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) che si terrà a Roma dal 14 al 17 maggio 2015.Tra i suoi relatori abbiamo il piacere di avere oggi con noi un esperto della materia, l’avvocato Maurizio Campagna, Assegnista di ricerca in Diritto amministrativo nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre e Coordinatore della Legal Unit Nazionale e Internazionale di Pipino &PartnersS.A. (Lugano) - Società di consulenza industriale nel settore sanitario – e che gentilmente si è prestato per una breve illustrazione dei temi cruciali del Convegno. Maurizio Campagna fa parte del gruppo di lavoro di F.A.V.O. sull’assistenza sanitaria transfrontaliera.

Avvocato Campagna, a un anno dall’emanazione del D.Lgs. n. 38/2014 ci potrebbe fornire un quadro aggiornato sullo stato di attuazione delle disposizioni che regolamentano nel nostro ordinamento l’assistenza sanitaria transfrontaliera? Si va nella direzione auspicata?

Il ritardo con cui, sin dall’inizio, l’Italia ha recepito la Direttiva 24/2011/UE concernente l’applicazione dei diritti dei pazienti relativi all’assistenza sanitaria transfrontaliera si è protratto e permane tuttora nella fase per così dire attuativa. Attendiamo l’emanazione degli atti regolamentari da parte del Ministero della Salute, necessari per dare piena attuazione alla Direttiva. Come è noto, la Direttiva delinea un sistema di assistenza indiretta che consente, a seguito di autorizzazione rilasciata dalle competenti autorità sanitarie, di ottenere il rimborso dei costi sostenuti dai pazienti transfrontalieri per prestazioni sanitarie erogate in un Paese diverso da quello di residenza. Al momento, dopo l’emanazione del d.lgs. n. 38 del 2014 con cui l’Italia ha recepito congiuntamente la Direttiva 24/2011/UE e la Direttiva 52/2012/UE, recante misure destinate ad agevolare il riconoscimento delle ricette mediche emesse in un altro Stato membro, manca all’appello il decreto del Ministero della Salute che avrebbe dovuto individuare molte delle prestazioni sanitarie soggette ad autorizzazione. La piena operatività della Direttiva in Italia è quindi compromessa. Sia sul piano dell’Unione europea, sia su quello nazionale, non stiamo andando nella direzione auspicata. In Italia, si parla ancora troppo poco della possibilità offerta ai malati. Bisogna riconoscere che l’agenda fitta delle amministrazioni sanitarie centrali non ha consentito all’assistenza oltre confine di ricevere adeguata visibilità. In questa difficile congiuntura storica per il welfare si sta, infatti, discutendo di nuovi LEA e nuovi DRG! Nel contesto dell’UE, invece, l’assistenza sanitaria transfrontaliera sconta una lenta e costante perdita di visibilità della materia “salute” che con fatica aveva conquistato un posto non dico in prima fila, ma almeno tra le prime. In generale, l’implementazione del sistema della Cross-border Healthcare dipenderà dal peso che nella governance complessiva dell’UE saprà conquistare e/o mantenere la DG sanità.

Dal VII° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici si evince che uno snodo fondamentale della disciplina sulla assistenza sanitaria transfrontaliera sono i Punti di Contatto nazionale e regionali? Che funzioni hanno e potranno avere nel quadro della disciplina dell’integrazione tra sistemi sanitari?

Il Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici presenta per il secondo anno consecutivo un capitolo sull’assistenza sanitaria transfrontaliera curato da un gruppo di lavoro dedicato di cui fanno parte, oltre al sottoscritto, Davide De Persis di F.A.V.O. e Francesco Florindi di ECPC (European Cancer Patient Coalition). Il nostro studio è stato fortemente voluto dal Presidente di F.A.V.O., prof. Francesco De Lorenzo, da sempre sensibile alla dimensione europea delle politiche sanitarie. Sono davvero felice che dal mondo del volontariato giunga un contributo alla ricerca di settore ed è nostra intenzione continuare ad aggiornare i pazienti e gli operatori sullo sviluppo dell’assistenza sanitaria transfrontaliera. Nel complessivo disegno del sistema dell’assistenza transfrontaliera di fondamentale importanza è il ruolo del Punto di contatto nazionale (NCP) istituito presso il Ministero della salute. L’art. 7 del d.lgs. n. 38 del 2014 chiarisce che la mission del Punto di contatto nazionale è facilitare lo scambio delle informazioni rilevanti e necessarie per una scelta consapevole e informata di mobilità. Insieme agli analoghi centri regionali che ogni Regione può istituire, il NCP dovrebbe regolare un flusso di comunicazioni istituzionali interne ed esterne dirette anche verso la Commissione, ma soprattutto verso i pazienti che richiedono informazioni per l’esercizio del loro diritto alla mobilità sanitaria. La rete dei Punti di Contatto, Nazionali e regionali (o equivalenti) dovrebbe essere il motore dell’integrazione tra i sistemi sanitari dei Paesi membri in un’ottica di piena realizzazione di uno spazio sanitario unico europeo. Vorrei precisare che, per il buon funzionamento dei Punti di contatto nazionali e regionali, è imprescindibile il contributo delle associazioni di pazienti e dei provider. Solo con l’apporto di tutti gli stakeholder coinvolti sarà possibile individuare la quantità e la qualità di informazioni necessarie per favorire l’autodeterminazione dei pazienti e la scelta consapevole del luogo di cura. Le associazioni rappresentative dei malati, in particolare, possono essere di ausilio per la comprensione degli andamenti della domanda di prestazioni sanitarie oltre confine, fornendo al policy maker informazioni fondamentali come le determinanti stesse dalla mobilità, le resistenze e le eventuali aporie dell’intero sistema.

Il divario tra Regioni in termini di spese sanitarie fino a che punto potrà influenzare la piena attuazione dei principi espressi dal legislatore comunitario in materia di assistenza sanitaria transfrontaliera?

La capacità di spesa dei singoli sistemi regionali sarà purtroppo determinante. Lo sviluppo uniforme sul territorio nazionale del sistema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera sarà inevitabilmente influenzato da tale capacità; l’odiosa contrapposizione tra Regioni virtuose, vale a dire che spendono bene le risorse, e Regioni che spendono male si proietterà, così, anche nella dimensione europea. Se il diritto alla tutela della salute, così come tutti gli altri “diritti (sociali) che costano”, è finanziariamente condizionato dalle risorse disponibili, il diritto di curarsi oltre confine sembra quasi più condizionato degli altri. La verifica delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione rischia così di diventare uno strumento per inserire surrettiziamente misure finalizzate al controllo della spesa e non alla garanzia della generale appropriatezza delle prestazioni. L’insidia più grande alla uguaglianza nell’accesso al diritto alla mobilità sanitaria è rappresentata, però, dalla differenza tra le quote di rimborso assicurate dalle Regioni.L’art. 8 co. 3 d.lgs. n. 38 del 2014 dispone, infatti, che i costi dell’assistenza sanitaria transfrontaliera sono rimborsati in misura corrispondente alle tariffe regionali vigenti. Cosa succederà dunque? Che per una stessa prestazione saranno assicurati rimborsi differenti da Regione a Regione. Senza contare che il comma 8 dello stesso articolo prevede esplicitamente una serie di limitazioni al diritto al rimborso determinate da motivi imperativi di interesse generale, riconducibili alla sostenibilità dei sistemi regionali.

Riduzione dei costi e diritto fondamentale alla salute. Lo spazio europeo dei diritti sembra vivere in questa profonda dicotomia. In quali settori dell’assistenza sanitaria transfrontaliera potrebbe manifestarsi a Suo avviso un buon compromesso tra queste opposte esigenze?

Insieme ai colleghi Davide De Persis e Francesco Florindi, con cui ho avuto il piacere di lavorare, siamo convinti che il sistema dell’assistenza sanitaria transfrontaliera potrà essere una reale opportunità per i malati solo se le autorità nazionali ed europee sapranno coniugare e promuovere nel quadro della Direttiva un uso più razionale delle risorse pubbliche destinate alla spesa per la tutela della salute. Come è noto, le migrazioni sanitarie costituiscono scelte per così dire estreme, legate a una domanda sanitaria che non trova risposta presso realtà prossime ai malati: per ragioni di inefficienza del servizio e di cattiva organizzazione o perché, addirittura, manca del tutto il servizio o la tipologia di cura più appropriata. In sostanza, la cura oltre confine dovrebbe garantire maggiori opportunità di cure qualitativamente migliori rese accessibili dalla riduzione delle distanze tra cittadini e centri di eccellenza e non rappresentare una soluzione soltanto più comoda o una fuga alla ricerca di risposte negate nei Paesi di provenienza. Ora è del tutto impensabile delegare al sistema dell’assistenza transfrontaliera la risoluzione delle inefficienze nazionali: la stessa Direttiva chiarisce che “Nonostante la possibilità per i pazienti di ricevere assistenza sanitaria transfrontaliera ai sensi della presente direttiva, gli Stati membri sono comunque tenuti sul loro territorio a prestare ai cittadini un’assistenza sanitaria sicura, di qualità elevata, efficiente e quantitativamente adeguata. Inoltre, il recepimento della presente direttiva nella legislazione nazionale e la sua applicazione non dovrebbero condurre a una situazione in cui i pazienti siano incoraggiati a ricevere le cure fuori dal loro Stato” (considerando n. 4). Mi sembra chiara la volontà del legislatore europeo di offrire ai malati una possibilità in più che si deve aggiungere alla tutela della salute che già dovrebbero ricevere nel loro Stato di residenza senza sostituirsi a essa. Cosa si può fare, allora, concretamente per realizzare gli obiettivi della direttiva e fare in modo che la stessa sia una leva di miglioramento dei sistemi sanitari nazionali? È più che mai opportuno cogliere e sviluppare l’impulso che viene dal nuovo quadro normativo alla cooperazione per lo sviluppo delle capacità di diagnosi e cura nell’ambito delle malattie rare (art. 13, Dir. 24/2011/UE). Con riferimento a queste specifiche patologie, la considerazione di un unico spazio europeo ai fini della programmazione e della costituzione di una rete di centri erogatori di prestazioni, potrebbe favorire una migliore allocazione delle risorse (scarse), evitando costose duplicazioni e ridondanze organizzative, promuovendo al contempo la condivisione delle competenze acquisite e la circolazione delle best practices. L’attuazione della Direttiva sarà, cioè, legata ai profili compatibili con la ristrutturazione di un welfare notoriamente in grande difficoltà e che richiede, per la sua sostenibilità non solo economica, ma anche politica, che sia siglato un nuovo patto nella società. Pretendere sviluppi diversi del sistema della mobilità sanitaria significherebbe sancirne il suo fallimento.

Ringraziamo l’avvocato Campagna per il preziosissimo contributo fornito, augurandoci di poter fare a breve con lui un nuovo aggiornamento sullo sviluppo di questo fronte cruciale nella tutela di diritti fondamentali dei cittadini europei.

Ultima modifica il 15 Maggio 2015