Dopo che solo per mano della giurisprudenza si erano plasmati i principi dell’istituto, infatti, è ora la legislazione europea a dettare importanti innovazioni.
Ci riferiamo, in particolare all’art. 17, par. 1, lett. b), della direttiva 2014/23/UE[1], a mente del quale potrà ritenersi soddisfatto il requisito del controllo analogo nel caso in cui “oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore di cui trattasi” ed alla successiva lett. c), che, pur disponendo in via generale che nella persona giuridica controllata non vi debba essere “alcuna partecipazione di capitali privati diretti”, introduce una deroga in tutti quei casi in cui la partecipazione di capitali privati “non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
Le due norme, d’un colpo, hanno fatto venire meno altrettanti dogmi su cui tanto la giurisprudenza comunitaria quanto quella nazionale avevano fondato la creazione del modello dell’in house providing[2]. Il controllo analogo, in particolare, trova ora una compiuta e quantificata regola che, plasticamente, riesce a far comprendere i termini ed il peso del controllo stesso, giacchè l’ente controllato non potrà, in ogni caso, svolgere la propria attività verso terzi diversi dalla controllante nella misura superiore al 20%[3].
La partecipazione dei privati che, sino alla pubblicazione della direttiva in parola, era assolutamente vietata in quanto immediatamente inquinante la compagine sociale ed escludente, in radice, la possibilità di configurare in house quella data società[4], è oggi[5] ammessa sempre che ciò “non comport[i]controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata”.
2. MIUR e CINECA al vaglio della Consultiva.
Anche grazie all’allargamento di tali maglie, il CINECA, già ente pacificamente in house del MIUR per lo svolgimento di variegati e complessi servizi inerenti l’ambito universitario, è certificato longa manus di Viale Trastevere anche per l’ambito scolastico.
In particolare, il CINECA, consorzio partecipato dallo stesso MIUR, da sessantanove università e da due enti pubblici di ricerca, potrà ricevere commesse dirette e legate all’informatizzazione e digitalizzazione della scuola, giacchè in esso risultano riscontrabili previsioni statutarie che stabiliscono prerogative ed ingerenze del MIUR che vanno ben oltre i tradizionali requisiti dell’in house providing ante direttiva n. 2014/23/UE.
Tra queste, fa certamente specie leggere della presenza di un rappresentante del MIUR in tutti gli organi direttivi del CINECA (Consiglio consortile, Consiglio di Amministrazione e Collegio dei revisori dei conti), nonchè la possibilità di assumere le più importanti deliberazioni del Consiglio consortile solo con il voto favorevole del rappresentante del MIUR. Il Ministero, pertanto, ha il potere di approvare eventuali modifiche allo Statuto del CINECA ed il diritto di veto sulle più importanti deliberazioni del Consiglio consortile, nonchè il diritto di disporre lo scioglimento degli organi consortili, per gravi inadempienze o perdite. Insomma, più in house di così…
3. Miur e Cineca al vaglio dei partecipanti ai pubblici concorsi banditi dal primo con la collaborazione del secondo: cosa c’è di diverso?
"Ferita grave, ma ministero non ha colpe".
"L'errore è del Cineca, il Consorzio interuniversitario incaricato di gestire i test, si è preso tutte le responsabilità e ha chiesto scusa a studenti e famiglie. Per minimizzare il danno faremo ripetere le prove il 7 novembre". La circostanza dello scambio delle domande da somministrare ai concorrenti dell’area medica erroneamente sottoposte a quelli dell’area dei servizi (e viceversa) è dovuto al grave errore commesso dal CINECA cui era affidato il servizio di confezionamento dei plichi. L’inversione delle prove, secondo il Ministro, fu “diabolica e perversa” ma “per tutto il resto la macchina organizzativa ha funzionato perfettamente, comprese le funzioni del Cineca”. “Valuteremo, stante la gravità dei fatti, di interrompere ogni futuro rapporto di collaborazione con tale Consorzio”.
Con queste parole, affidate all’Ufficio stampa del MIUR, la reggente del Dicastero dell’Istruzione e dell’Università interveniva sui fatti occorsi durante il primo concorso nazionale per l’ingresso alle scuole di specializzazione in medicina.
Il Presidente del Consorzio, in diretta nazionale, assumeva la responsabilità senza, tuttavia, nulla dire circa le proprie dimissioni. Sul punto Il Ministro ha quindi spiegato che “il direttore del Cineca non ha presentato le dimissioni e io non sono in grado di chiederle in quanto si tratta di un ente che non ha alcun genere di rapporto o di tutela con il Ministero. E’ una ferita molto forte per il consorzio e la questione verrà analizzata nella governance dell’organismo. Il rapporto con noi verrà invece ridiscusso”[6].
Dopo poche ore, sempre il MIUR, trionfalmente, annunciava di aver trovato una soluzione utile a salvare la prova ed evitarne la ripetizione.
Da tali annunci, non sembrano esservi dubbi, emerge la chiarissima distinzione tra i due enti: il Ministero, parte lesa, che ha organizzato la prova di concorso ed è riuscito, con sforzi organizzativi enormi, a far andare tutto per il verso giusto ed il Cineca, cui era stato affidato il compito di predisporre materialmente i software di gestione della prova sulla base delle indicazioni del MIUR, responsabile di gravissima negligenza.
L’esistenza di più responsabili per un fatto, è noto, aiuta sempre. I giovani medici, in quella circostanza, avevano ed hanno come referente principale il MIUR e sotto tale dicastero si affrettano a protestare mentre a Casalecchio di Reno, sede del Cineca, nessuno si recò nonostante ad esso ogni responsabilità venne affibbiata.
Si arrabbiarono, urlarono, inveirono con forza per far capire che “il Cineca” l’aveva chiamato il Ministero e se una negligenza fosse stata dal primo commessa è sempre il secondo a doverne rispondere dinanzi alle legittime aspettative per lo svolgimento di un concorso conforme a Legge. Nulla da fare: il Ministero ha fatto ogni cosa nelle sue possibilità per garantire la correttezza della procedura ed anche dopo il pasticcio commesso dal Cineca, nessuno è stato leso.
Ebbene, lo si scopre solo oggi da quanto sopra rappresentato, come spesso avviene, l’uomo della strada aveva ragione.
Miur e Cineca sono la stessa cosa: l’uno (il Cineca) la longa manus dell’altro (il MIUR).
Il MIUR lo sa bene sin dal 2013 quando, preso atto di tale viscerale rapporto di “incestuosità” chiede alla Sezione consultiva del Consiglio di Stato di poter usare questa sua creazione, il Cineca appunto, non solo per la ricerca e l’Università, ma anche per il sistema scolastico. “Nel caso di specie, l’Amministrazione richiedente ritiene che il CINECA, partecipato dal MIUR, da Università e da Enti pubblici di ricerca, sebbene svolga la propria attività di servizio eminentemente nel settore dell’istruzione superiore e della ricerca scientifica, possa essere considerato istituzionalmente titolare della capacità di operare su incarico dello stesso Ministero anche nell’interesse del settore scolastico”.
MIUR e CINECA, dunque, sono la stessa cosa: a chiederlo al Consiglio di Stato, nel 2013, era lo stesso Ministero che, oggi, l’ha confermato non solo per l’Università (ove dubbi non ve ne erano) ma anche per il sistema scolastico.
Di ciò, forse, era il caso di informare quei malcapitati giovani medici.
4. Cineca e Università: in house o necessità di contrattare?
Se i rapporti tra MIUR e Cineca sono da tempo pacificamente da annoverare nell’alveo dell’in house providing, ben diversi sono quelli intercorrenti con gli Atenei che partecipano alla compagine sociale.
Della questione si è, da ultimo, occupata la Sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato[7] chiarendo che gli Atenei facenti parte del Consorzio non possono ritenere in house il Cineca e non possono, ad esso, affidare direttamente alcuna commessa.
Secondo i giudici della VI Sezione di Palazzo Spada è anzitutto carente il requisito della totale partecipazione pubblica del Cineca, quanto meno allo stato e nonostante il disposto delle direttive nn. 23 e 24/2014/UE su cui la Sezione consultiva aveva fondato il suo parere, giacchè “non si può, (…) ritenere che la mera pubblicazione della direttiva determini, prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento, il superamento automatico e immediato di una disciplina preesistente di derivazione comunitaria”.
La presenza di tre Atenei privati (Milano Bocconi, Milano Cattolica del Sacro Cuore, Milano IULM) inquina, senza possibilità di diversa interpretazione, il requisito della totale partecipazione pubblica.
In ogni caso, secondo il Consiglio di Stato, manca anche il requisito del controllo analogo giacchè, stante lo strapotere del MIUR, appare evidente che gli Atenei non possono, in concreto, influire sulle decisioni e sul controllo dell’ente (asseritamente) in house.
Più in particolare, “la sussistenza in concreto di un controllo analogo da parte delle Università consorziate è escluso dalla posizione di indiscussa primazia riconosciuta al MIUR nell’ambito dell’organizzazione e del funzionamento del Cineca.
Tale posizione di primazia spettante al MIUR porta ad escludere che la partecipazione paritaria, ancorché con diritto di voto, da parte delle Università consorziate al Consiglio consortile del Cinecasia sufficiente ad assicurare il controllo analogo in forma congiunta. Ciò anche in considerazione del fatto che, per un verso, partecipando in posizione paritaria, ciascuna università conta per una quota pari a circa 1/72 (e dunque per poco più dell’1%) e che, comunque, le delibere di maggiore importanza, non possono essere assunte, nell’ambito dello stesso Consiglio consortile, senza il consenso del MIUR”.
[1] Per gli appalti si veda art. 12, lett. c), dir. 2014/24/UE.
[2] Lucidamente ripercorsi da Cons. Stato, Sez. VI, 27 maggio 2015, n. 2660, in www.giustizia-amministrativa.it in particolare con riguardo alla presenza del capitale privato nella compagine sociale dell’ente in house (punto 19 della decisione).
[3] Nel par. 5 dell’art. 12, è stabilito che “per determinare la percentuale delle attività si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sull’attività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti l’aggiudicazione dell’appalto”.
[4] Nel ambito del medesimo affare il Consiglio di Stato, con il primo parere interlocutorio sulla vicenda Cineca (13 febbraio 2013, n. 1168), aveva chiarito come “non fosse compatibile con il modello organizzativo dell’in house la presenza di privati nel capitale sociale o anche la mera previsione statutaria di una futura ed eventuale privatizzazione, incidendo tale circostanza direttamente sul controllo dell’ente pubblico sulla società partecipata (cd. controllo analogo), che ne potrebbe risultare compromesso”. Parimenti contraria alla possibilità di configurare in house l’ente costituito, anche, da capitali privatiè l’A.G.C.M., chiamata dal Consiglio di Stato, proprio nel caso che ci occupa, ad esprimere il proprio avviso. Secondo l’Autorità, avendo il CINECA incorporato alcuni istituti universitari aventi natura giuridica privata, è venuto meno il requisito della partecipazione pubblica totalitaria e tale carenza è ostativa alla legittimità dell’affidamento diretto da parte del MIUR.
[5] Sull’immediata applicazione delle direttive nn. 23 e 24/2014/UE appare opportuno rendere noto il diverso avviso di Cons. Stato, Sez. VI, n. 2660/15, cit. secondo cui “non si può, (…) ritenere che la mera pubblicazione della direttiva determini, prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento, il superamento automatico e immediato di una disciplina preesistente di derivazione comunitaria” e ciò tanto con riguardo alla partecipazione di privati all’ente in house quanto in relazione ai requisiti del controllo analogo.