. La nuova porta d’ingresso per le istanze di migliaia di precari della scuola, i quali ora hanno una speranza, e forse più, per far valere i loro diritti inascoltati da tempo. Ma andiamo con ordine.
Come si accennava in un precedente contributo, nello scorso mese di dicembre la Corte di Cassazione con una sentenza per certi versi innovativa (sent. 26951/2013) cambiava drasticamente orientamento in merito al riconoscimento per i precari della pubblica amministrazione del diritto ad ottenere un risarcimento del danno per l’uso abusivo e reiterato da parte degli enti pubblici di contratti a termine. Il noto arresto della Corte interveniva sul tema dell’onere della prova necessaria per ottenere la corresponsione e la precisa quantificazione del risarcimento del danno subito. In sostanza la Corte, attenendosi ad una interpretazione maggiormente rigorosa della clausola 5 dell’Accordo Quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla Direttiva 70/1999, riconosceva al risarcimento del danno previsto dall’art. 36 del D.lgs 165/2001 a favore dei lavoratori a tempo determinato del comparto pubblico un carattere prettamente sanzionatorio, slegandolo così da una connotazione risarcitoria secondo gli ordinari criteri civilistici e dal conseguente onere della sua prova in precedenza gravante sul lavoratore chiamato a dover dimostrare “le occasioni di lavoro perse a causa del rapporto di lavoro intercorso con la P.A.” (sul punto da ultimo Cass. sent. 392/2012).
L’arresto si connotava per il suo intervento drasticamente in contrasto con le posizioni precedentemente assunte dalla stessa Corte in particolare nella sentenza n. 392 del 2012. In entrambi i casi si trattava infatti dell’illegittimo uso reiterato di contratti a termine nei confronti di lavoratori dipendenti di USL.
Tale sentenza ha anticipato di qualche giorno il noto intervento della Corte di Giustizia Europea con l’ordinanza “Papalia” avente ad oggetto la questione pregiudiziale emersa in un giudizio dinnanzi al Tribunale di Aosta con la quale si domandava alla Corte se l’art. 36 del D.lgs. 165 del 2001 fosse conforme all’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70 in tema di contratti a tempo determinato nella parte in cui prescriveva il diritto per il lavoratore pubblico alla corresponsione di un risarcimento del danno in luogo della conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato laddove questo risarcimento fosse subordinato all’obbligo, gravante sul lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di lavoro.
La fattispecie oggetto del caso riguardava il reiterato rinnovo annuale ripetutosi per quasi trent’anni di un contratto a tempo determinato alle dipendenze del Comune di Aosta siglato dal Sig. Papalia come Direttore della banda municipale del capoluogo valdostano.
La Corte di Giustizia ha affermato sul punto un importante principio di diritto in base al quale “l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego,se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione”.
L’ordinanza della Corte ha quindi aperto la strada per una profonda rivisitazione delle istanze da parte di migliaia di precari della pubblica amministrazione.
Si è però posta una questione. L’ordinanza della Corte di Giustizia fa riferimento all’ipotesi di un accertato utilizzo abusivo dei contratti a tempo determinato e per questa evenienza esprime espressamente la contrarietà di una normativa nazionale, quale ad esempio quella italiana, che preveda il risarcimento del danno in luogo della conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato laddove l’esercizio di tale diritto sia reso sostanzialmente impossibile a causa di un onere della prova praticamente impossibile gravante sul lavoratore. Ma cosa dovrebbe accadere quando invece l’utilizzo reiterato nel tempo di contratti a termine da parte da parte della P.A. sia considerato legittimo da parte del supremo organo giurisdizionale dello Stato?
Detto in maniera più esplicita, cosa allora dovrebbe cambiare per quelle migliaia di precari della scuola italiana rispetto ai quali la Corte di Cassazione nel 2012 con la sentenza n. 10127/2012 ha ritenuto legittimo il sistema di reclutamento previsto dalla L. 194 del 1994 e successive modificazioni? Se dovessimo attenerci al dato letterale del principio espresso nell’ordinanza dovremmo presumere che la situazione per loro non è cambiata. Il principio espresso dalla Corte infatti sarebbe già stato anticipato dalla Corte di Cassazione del dicembre scorso. In tutti i casi in cui venisse accertato il reiterato abuso di contratti a termine il lavoratore precario avrebbe diritto ad un risarcimento del danno stabilito dal Giudice senza onere di allegazione della prova. Così sarebbe quindi per precari delle USL e per tutti quei soggetti che non rientrerebbero nel sistema di reclutamento previsto dalla L. 124 del 1994.
Si ricorderà come la Cassazione nella famosa pronuncia del 2012 accreditò di conformità costituzionale il cd. “sistema del doppio canale”: “il sistema delle graduatorie permanenti – ora ad esaurimento – è funzionalizzato non solo alla garanzia della migliore formazione scolastica, ma anche al rispetto della posizione acquisita in graduatoria, la quale, progredendo anche in relazione all’assegnazione delle supplenze garantisce l’immissione in ruolo” e quindi costituirebbe “il veicolo attraverso il quale l’incaricato si assicura l’assunzione a tempo indeterminato”. Peccato che il meccanismo espresso in questi termini abbia avuto un effetto ben diverso sulla pelle degli insegnanti precari, i quali difficilmente, anche quando inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, riescono a raggiungere l’agognata immissione in ruolo.
Il sistema di reclutamento scolastico ha dimostrato tutte le sue falle e la Corte di Giustizia nell’esprimere un principio comunque decisivo sul tema della risarcibilità del danno per i precari della P.A. fornisce anche una chiave di lettura a suo modo rivoluzionaria. Tra le pieghe dell’ordinanza si legge infatti che “le misure elencate al punto 1, lettere da a) a c) della clausola cinque dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70” devono attenere “a ragioni obiettive che giustificano il rinnovo di tali contratti o rapporti di lavoro, alla durata massima degli stessi contratti o rapporti di lavoro successivi ed al numero dei rinnovi di questi ultimi”. La clausola 5 – spiega la Corte – “impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una fra le misure elencate in tale disposizione”. Pena la contrarietà delle normative nazionali adottate in recepimento della direttiva 70/1999.
La Corte di Giustizia mette in primo piano il principio di effettività. Sulla base di esso vanno valutate le norme che disciplinano i rapporti a tempo determinato sia nell’ambito pubblico che in quello privato, le quali “non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione”. Pena la contrarietà alla direttiva 1999/70 e quindi la sua disapplicazione.
Ci si chiede a questo punto se risponda ai principi così espressi dalla Corte di Giustizia una normativa italiana sul reclutamento del personale della scuola che la realtà dimostra incapace di assorbire i precari che da decenni lavorano senza tante garanzie dei pari ruolo a tempo indeterminato? Risponde ai principi di effettività e di equivalenza un sistema come quello delle graduatorie ad esaurimento che garantisce la prospettiva forse futura e comunque lontana di stabilizzazione ai primi in graduatoria e lascia indietro, comunque sfruttandoli, tutti coloro che continuano a prestare servizio con molteplici e reiterati contratti di lavoro a termine mensili e finanche giornalieri?
La risposta è no. Ed arriva dalla Corte di Appello di Ancona. Essa mostra di cogliere le novità insite nel cambiamento di rotta ormai in atto. Accogliendo l’appello dell’Avv. Bonetti la Corte con la sentenza n. 81/14 rigetta le istanze del Miur e riconosce per la prima volta dalla famigerata sentenza della Cassazione n. 10127 del 2012 il diritto al risarcimento dei danni anche nei confronti dei precari della scuola.
Spiega la Corte che “è ben vero che i pubblici dipendenti dovrebbero essere assunti previo vaglio concorsuale, e che la conversione di contratti stipulati con soggetti che tale vaglio non abbiano superato costituirebbe violazione macroscopica del precetto costituzionale;ma non è men vero che la pratica di assumere dipendenti a tempo determinato costituisce nel contempo causa ed effetto della violazione, e quindi deve essere ritenuta lesione ancora più evidente e grave del principio costituzionale”. Insufficiente è la spiegazione normativa data dalla norma del T.U. sul pubblico impiego che vieta la conversione tentando “maldestramente di giustificarsi riferendosi ad una necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA”. La reale giustificazione – spiega la Corte – deriva evidentemente da una “necessità” causata da una violazione pluridecennale, pervicace, smaccata dalla regola” che è quella della “prevalenza del rapporto a tempo indeterminato scolpita nelle direttive della Unione Europea, nella Costituzione della Repubblica Italiana, e nelle leggi dello Stato”. Tale necessità non può essere mascherata da croniche esigenze pubbliche di bilancio e finanziarie. È l’effettività che fa sentire i suoi effetti. Il legislatore non può eludere la direttiva europea considerando “temporaneo per definizione il sistema dell’istruzione pubblica e come tale sottratto ai principi ed alle regole che si dovrebbero applicare se temporaneo non fosse”.
Si tratta evidentemente di una pronuncia innovativa che apre spazi fino ad ora impensabili. L’architrave su cui la Cassazione nel 2012 aveva costruito l’impermeabilità del sistema di reclutamento del personale scolastico vacilla sotto i colpi della realtà che non consente appelli dato che non basta, per dirla con la Corte di Appello “un tratto di penna a rendere nero il bianco, e bianco il nero”. Si è aperta una strada che oggi riconosce il risarcimento dei danni anche ai precari della scuola ma che indica un orizzonte ancora più lontano. Ci ricorda infatti la Corte di Appello che “comunque, la normativa nazionale, se interpretata come contrastante con la normativa europea potrebbe e dovrebbe essere disapplicata”.