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Con sentenza del 9 novembre 2021 il TAR del Lazio, Sez. III Bis, Presidente Giuseppe Sapone, Estensore Silvia Piemonte, ha accolto il ricorso di un candidato che aveva presentato la propria candidatura nella procedura per l’abilitazione scientifica nazionale, accogliendo la tesi dell’Avv. Michele Bonetti, founder dello Studio Bonetti&Delia.
Il giudizio finale era privo di supporto motivazionale, riportando “la qualificazione scientifica della candidata non è in linea con quanto richiesto dall’art. 3, comma 2, lettera b) del DM 120/2016” La genericità di tale affermazione contenuta nel giudizio collettivo non può essere letta quale sintesi dei giudizi individuali, che sono volti comunque ad una migliore e più ampia lettura del giudizio finale, esplicitandone le motivazioni. Tuttavia, nel caso di specie, i giudizi individuali non erano richiamati in alcun modo e restavano sullo sfondo di un giudizio finale particolarmente tranchant. La motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a ricostruire l’iter logico della volontà dell’Amministrazione. Il giudizio in questione era privo delle ragioni che avevano portato la Commissione ad una data conclusione. I giudizi individuali evidenziavano, com’è nel diritto dei singoli Commissari, aspetti diversi negativi e positivi, ma che non confluivano nel giudizio finale.
Il giudizio collettivo impugnato è stato così annullato per violazione dell’art.3 della legge 241 del 1990 e, più nello specifico, dell’art. 3 del D.M. n. 120 del 2016.
Pertanto, per il difetto di motivazione degli atti impugnati, il ricorso veniva accolto con annullamento del provvedimento di diniego dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, con l’ordine di esaminare la posizione del ricorrente da parte di una Commissione in diversa composizione entro 90 giorni.

 

È di questi giorni l’ordinanza con cui la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso patrocinato dallo Studio Legale Michele Bonetti relativo ad una controversia di natura tributaria vertente sull’applicabilità degli studi di settore alla specifica attività di impresa.
Casus belli l’avviso di accertamento notificato dal fisco con cui veniva rilevato uno scostamento tra quanto dichiarato dalla società e i maggiori ricavi maturati rispetto a quelli stimati dagli studi di settore.
La società ricorrente aveva richiesto che il giudice si pronunciasse sulla ragionevolezza dell’accertamento dei maggiori profitti rilevati, tenuto conto delle concrete modalità di esercizio dell’attività di impresa svolta, rectius della corrispondenza dei parametri e delle risultanze dell’applicativo GERICO alla concreta situazione societaria nel periodo di verifica. 
Richiamando la disciplina dettata dall’art.62 bis del d.l. 331 del 1993, la Corte ha precisato che la presunzione posta alla base dell’accertamento standardizzato risiede nel disallineamento dal parametro espresso il quale esige, tuttavia, l’integrazione del contraddittorio con il contribuente attraverso l’esame attento delle sue controdeduzioni, anche di quelle eventualmente addotte nella fase del gravame, non trovando applicazione al caso de quo la preclusione di nova in appello di cui all’art. 345, comma 3 c.p.c., ammettendosi la produzione di documenti sopravvenuti, in ossequio al principio di specialità a cui il giudizio tributario è informato.

“Si tratta di una pronuncia di grande importanza. La questione all’esame della Corte si è connotata fin dalle sue prime battute per il suo grado di complessità, in una materia come quella che ci occupa in cui l’erario affida la propria attività di ricostruzione dei redditi d’impresa e di riscossione dei tributi anche agli strumenti propri dell’accertamento induttivo. Superare le presunzioni legali poste alla base di tali parametri è stato possibile deducendo quelle che sono le specificità della realtà aziendale, di cui l’amministrazione prima e l’organo giudicante poi dovranno tener conto nell’attività di accertamento della fattispecie tributaria”commenta così l’Avv. Michele Bonetti,patrocinatore del ricorso.

 

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