Titoli esteri: nuovi percorsi di specializzazione sul sostegno per porre rimedio ai ritardi del Ministero.
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Con decreto legge n. 71 del 31 maggio 2024, G.U. n. 126, concernente “Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità e per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di Università e ricerca”, sono state introdotte alcune novità per i possessori di titoli conseguiti all’estero per l’insegnamento sul sostegno.

In particolare, con l’art. 7 è stato previsto che i docenti che, alla data del 1° giugno 2024 abbiano conseguito una qualifica professionale o un titolo di formazione all’estero, e siano in attesa di riconoscimento del titolo, oppure abbiano ancora pendente un contenzioso dinnanzi al Giudice amministrativo per la mancata tempestiva conclusione del suddetto procedimento, al fine di sanare tale situazione, possono iscriversi ai percorsi di formazione erogati dall’INDIRE.

Ciò significa che chi ha presentato da oltre quattro mesi domanda di riconoscimento dei propri titoli conseguiti all’estero o ha un ricorso pendente avverso il silenzio della P.A., potrà regolarizzare la validità del titolo partecipando a questi nuovi percorsi indetti dal Ministero; ciò a condizione che rinunci all’istanza di riconoscimento del titolo.

Il superamento dei percorsi di formazione determina il conseguimento di un titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità. Il docente, tuttavia, si potrà iscrivere unicamente al percorso relativo ad un solo grado di istruzione.

Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore di tale disposizione normativa, il Ministro dell’Istruzione e del Merito, di concerto con il Ministro dell’Università e della Ricerca, dovrà emanare i relativi decreti attuativi.

In poche e semplici parole, gli insegnanti, sebbene provvisti di tutti i requisiti necessari ai fini del riconoscimento dei titoli posseduto, a causa dell’inerzia della P.A., dovranno sobbarcarsi dei costi di un ulteriore percorso di formazione, con evidente aggravio della loro posizione, al fine di vedere conclusa, una volta per tutte, la vicenda.

Si auspica, comunque, che il Ministero rispetti il termine di sessanta giorni sopra menzionato per l’emanazione del decreto attuativo, in modo tale da consentire finalmente ai docenti di poter sciogliere ogni riserva, almeno per il prossimo a.a. 2025/2026. Lo studio valuterà eventuali ipotesi di contenzioso sulla base dei contenuti dei decreti attuativi.

Tale nuovo strumento messo a disposizione dal legislatore è altresì ancor più di interesse, se si considera che la questione del riconoscimento dei titoli esteri è ancora dibattuta, nonostante il noto intervento dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 2022. È del 5 maggio 2024, difatti, l’ordinanza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Quarta ter, che, rilevando questioni interpretative non risolte tra la normativa interna e la normativa europea, ha rimesso la risoluzione delle medesimealla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Sul riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero, dunque, ci potrebbero essere ancora ulteriori mutamenti nel quadro interpretativo d’insieme. La vicenda, dopo anni e anni di contenziosi, non può dirsi ancora chiusa.

Di seguito si rimette la norma di cui trattasi:

“Art. 7

 Percorsi di specializzazione per le attivita' di sostegno didattico agli alunni con disabilita' per i possessori di  titolo  conseguito all'estero, in attesa di riconoscimento

1. In sede di prima applicazione, coloro che, alla data di  entrata in  vigore  del  presente  decreto,  hanno  conseguito,  presso  una universita' estera legalmente accreditata  nel  Paese  di  origine  o altro  organismo  abilitato   all'interno   dello   stesso,   secondo specifiche disposizioni che certificano il possesso di una formazione professionale  acquisita  in  maniera   prevalente   sul   territorio dell'Unione europea, una  qualifica  professionale  o  un  titolo  di formazione di cui all'articolo 4, comma 1, lettera  c),  del  decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, ammissibile in base  ai  criteri stabiliti dal decreto di cui al comma 3, e hanno  pendente,  oltre  i termini di legge, il procedimento di  riconoscimento  del  titolo  di formazione ovvero hanno in essere un contenzioso  amministrativo  per mancata conclusione, entro  i  termini  di  legge,  del  procedimento possono iscriversi ai percorsi di  formazione,  riferiti  a  un  solo grado di istruzione, attivati dall'INDIRE e definiti dal  decreto  di cui  al  comma  3,  se,  contestualmente  all'iscrizione,  presentano rinuncia ad ogni istanza di riconoscimento sul sostegno.

2. Con il superamento dei percorsi di formazione attivati ai sensi del presente articolo si consegue un solo titolo di  specializzazione per le attivita' di sostegno didattico agli alunni  con  disabilita', relativo al grado di istruzione del percorso di formazione scelto.

3. Con decreto  del  Ministro  dell'istruzione  e  del  merito,  di concerto  con  il  Ministro  dell' universita'  e  della  ricerca,  da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata  in  vigore  del presente decreto, sono  definiti  i  criteri  di  ammissibilita'  dei titoli di cui al comma 1 e i corrispondenti  requisiti  di  qualita', nonche' i  contenuti  formativi  dei  percorsi  di  cui  al  presente articolo, riferiti ai diversi gradi di  istruzione  e  alle  distinte tipologie dei medesimi titoli. Con il  decreto  di  cui  al  presente comma sono definiti le modalita' di attivazione dei percorsi  di  cui al  comma  1,  i  costi  massimi,  le  modalita'  e  i   termini   di presentazione delle domande di  partecipazione,  l'esame  finale  dei percorsi e la composizione della commissione esaminatrice  dell'esame finale, alla quale partecipa un rappresentante designato dall'Ufficio scolastico regionale scelto fra i  dirigenti  tecnici,  scolastici  o amministrativi nell'ambito dell'esercizio delle proprie funzioni. Gli oneri connessi all'attuazione del presente articolo sono a carico dei partecipanti.

4. All'attuazione del presente articolo si provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.” 

 

Bocciatura illegittima in mancanza di valutazione del contesto psicologico ed ambientale del ragazzo sottoposto a maltrattamenti a scuola: la nuova sentenza del Consiglio di Stato.
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Con il provvedimento n. 2423/2020 del 15.04.2020 il Giudice amministrativo d’appello torna ad occuparsi di un contenzioso afferente alla mancata ammissione di un alunno alla seconda classe della scuola secondaria di secondo grado. Trattasi, come noto, di situazioni sempre più frequentemente rimesse alla giustizia amministrativa e che richiedono uno scrutinio approfondito quanto lungimirante laddove rilevano irregolarità macroscopiche nell’applicazione della normativa vigente (a tal proposito si veda l’approfondimento reperibile al presente link) o soprattutto si fanno portavoce di un malessere, un turbamento dell’alunno, come avvenuto nel caso in argomento.

La situazione sottoposta al giudice, difatti, non atteneva unicamente alla bontà della valutazione operata dagli insegnanti, bensì si incardinava in un contesto ben più peculiare, contraddistinto, in base ai rilievi forniti dai genitori, da presunti reiterati maltrattamenti perpetrati da un professore a danno degli alunni. In considerazione degli stessi, i quali inevitabilmente si erano ripercossi negativamente sulla resa scolastica del ricorrente, i genitori avevano adito il TAR Basilicata chiedendo l’annullamento dei provvedimenti del Consiglio di classe che, tralasciando ogni valutazione sulla condotta del docente, si erano limitati a calcolare la media aritmetica dei voti del ragazzo senza considerare le variabili personali, temporali ed ambientali, e conseguentemente ne avevano disposto la bocciatura.

Il giudice di primo grado investito, però, aveva respinto le doglianze del ricorrente facendo leva sul rendimento scolastico insufficiente. Non veniva dunque presa in esame la peculiare situazione dell’alunno, le sevizie eventualmente subite e lo stato psicologico con cui lo stesso si sarebbe approcciato alla scuola proprio a seguito di quanto accaduto tra le mura dell’istituto. Anzi, tale situazione specifica passava del tutto in secondo piano, surclassata dalle risultanze del Consiglio di classe.

Secondo il TAR, la mera media aritmetica, oggettiva ed indefettibile, era l’unico dato rilevante ai fini della promozione o bocciatura dell’alunno, senza che le altre componenti psicologiche o ambientali potessero in alcun modo influire sulle prospettive future del ragazzo.

Avverso la sentenza di rigetto del giudice di prime cure si è adito il Consiglio di Stato che, con la pronuncia in argomento, ha ribaltato il punto di vista del TAR accordando al discente piena tutela.

Il giudice d’appello, difatti, ha preso le mosse proprio dalla situazione di turbamento e disagio paventata dal ricorrente e, anche in considerazione della denuncia querela formulata dai genitori e del successivo avviso di conclusione delle indagini preliminari (in base al quale il Tribunale di Matera ha proceduto nei confronti del professore per il delitto di cui agli arti. 81 cpv. e 572 c.p.), ha disposto un approfondimento istruttorio circa la consistenza dei fatti addebitati al docente.

Le vicissitudini richiamate all’interno della querela, invero, attenevano a condotte del professore particolarmente gravi, come punizioni fisiche agli alunni, reiterate mortificazioni degli stessi anche innanzi all’intera classe e addirittura episodi di maltrattamenti che terminavano con danni fisici ai ragazzi. Fatti che, laddove dovessero essere veritieri, non potrebbero non aver modificato, distorto, la percezione dell’adolescente sulla scuola, facendone plausibilmente un luogo di sofferenza e turbamento anziché uno di comprensione e formazione.

Non può tacersi, quindi, la portata degli episodi in trattazione che, in antitesi ai plurimi interventi di sensibilizzazione contro il bullismo ed il cyber bullismo dilagante negli istituti di istruzione, potrebbe aver costituito uno strumento di vero e proprio bullismo dell’insegnante sull’alunno.

Ebbene il giudice d’appello, sensibile ad una situazione tanto delicata, e nell’intento di approfondire quanto più possibile la veridicità degli episodi di maltrattamenti subiti dal ricorrente, disponeva un’ampia istruttoria, raccomandando all’amministrazione di fornire ogni elemento utile per chiarire i fatti ed altresì, d’ufficio, l'acquisizione di informazioni e documenti utili ai fini del decidere che fossero nella disponibilità della pubblica amministrazione.

A differenza di quanto avvenuto in primo grado, quindi, veniva accordata un’importanza imprescindibile alla situazione specifica patita dall’alunno, su cui si chiedeva all’amministrazione di approfondire.

Se il TAR si era dimostrato sordo alla contestualizzazione della resa scolastica del ragazzo, come inevitabilmente influenzata dalle vicissitudini evidenziate, il Consiglio di Stato si è invece concentrato proprio su di esse, manifestando una preoccupazione viva, umana, su quanto accaduto tra le mura scolastiche.

E proprio l’inerzia immotivata dell’amministrazione sulle richieste del Consesso è posta a fondamento della decisione d’appello. Il significativo inadempimento processuale perpetrato dalla PA, difatti, è stato valutato ai sensi dell’art. 64 cpa, sia in ottemperanza al principio di non contestazione sia in termini di contegno della parte processuale. Va da sé evidentemente che, in mancanza di depositi in grado di smontare la tesi del ricorrente, debba presumersi l’inesistenza stessa di documenti, dati, informazioni che possano controbattere alle doglianze dell’alunno, soprattutto in considerazione del fatto che l’omesso deposito non è in alcun modo motivato dall’amministrazione.

L’inerzia immotivata su rilievi irrinunciabili ai fini della definizione del contenzioso, ha condotto all’accoglimento dell’appello con conseguente ammissione dell’alunno alla classe successiva.

Ancora una volta il Consiglio di Stato manifesta il proprio orientamento a garanzia dei singoli, confermando la preoccupazione ad emettere pronunce che siano il risultato di uno scrutinio rigoroso ed approfondito, di una visione d’insieme a 360 gradi atta a valutare tutte le componenti del contenzioso e ad accordare tutela a coloro i quali sono lesi da operatori che, in spregio ai principi posti a fondamento dell’attività amministrativa, abusano dei poteri loro forniti.

Ciò emerge a maggior ragione nel nostro caso, ove trattasi di ragazzi in erba, individui alla scoperta della propria identità e del proprio futuro, lesi proprio nel luogo preposto alla loro cura e formazione.

Senza interventi giurisprudenziali quali quello in esame gli alunni farebbero le spese di un sistema inefficiente, della carenza nei controlli, della condotta abusiva di alcuni individui. Si possono forse comprendere in tal senso le posizioni di coloro che premono per la fruizione ordinaria della didattica online, strumento oggi posto al centro dell’attenzione in virtù dell’emergenza pandemica, ma anche protagonista di un ampio dibattito sul futuro dell’insegnamento, le cui sorti sono immancabilmente legate alla propria duttilità al cambiamento secondo seri correttivi.

La bocciatura a scuola tra divieto di legge e comportamento processuale dell’amministrazione: commento all’Ordinanza del Consiglio di Stato del 10 febbraio 2020
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Ci troviamo a commentare un’ordinanza del Supremo Consiglio, di recentissima pubblicazione, con rilevanza non solo sul merito della questione, che di seguito si analizzerà, ma che lascia spunti anche di carattere processual amministrativo.

Quello che i Giudici di Palazzo Spada hanno sancito è un principio, già in precedenza esplicitato dalla magistratura amministrativa (http://www.semprediritti.it/index.php/aree-di-interesse/scuola-e-universita/item/728-se-la-bocciatura-a-scuola-arriva-dinanzi-ai-giudici-la-dura-verit%C3%A0-di-provare-a-far-rispettare-le-leggi), di massima tutela per i giovanisimi studenti della scuola di primo grado.

Il tema è quello delle bocciature nella scuola primaria, molto delicato in quanto in questa particolare fase della crescita e formazione scolastica l’alunno può trovarsi nella difficoltà di dover afforontare un percorso non sempre caratterizzato da un rendimento omogeneo.

Su tale presupposto la legge, ed in particolare il D.lgs. 13 aprile 2017 n. 62 e la Circolare n.1865 del 10.10.2017, si preoccupa di dettare regole di favore per lo studente della scuola media. Il consiglio di classe è obbligato a tenere in considerazione periodi scolastici ampi per decretare l’eventuale bocciatura. In ogni caso si accorda preferenza a strumenti alternativi e meno invasivi della bocciatura per consentire all’alunno di recuperare le lacune anche in più materie.

Il caso in esame, per l’appunto, concerne un giudizio (illegittimo) del consiglio di classe di mancata ammissione all’esame di terza media, adottato considerando il solo arco temporale dell’ultimo quadrimestre dell’ultimo anno scolastico.

Gli spunti critici ulteriori sulla vicenda nascono, però, dal rilievo effettuato dal Consiglio di Stato circa il comportamento tenuto dall’Amministrazione nel processo.

Evidenzia il Collegio giudicante che, nonostante il provvedimento (ovvero, la bocciatura) si fondasse dichiaratamente sull’analisi del “secondo quadrimestre”, la difesa dell’Amministrazione aveva in realtà affermato una diversa e contrastante ricostruzione dei fatti. Per la prima volta nel corso del giudizio, infatti, emergeva la deduzione che la mancata ammissione all’esame avesse alla base una valutazione operata sull’intero arco scolastico dell’alunna e che le lacune si riferissero, dunque, ad una condizione insanabile su tutto il triennio.

Tra l’altro il provvedimento ben si adatta al caso di specie considerando la circostanza che la media dei voti era prossima alla sufficienza e che, nei fatti, in sole due materie vi fossero insufficienze (di cui una non grave).

Non è mancata la chiara presa di posizione del Supremo Collegio. Vi è una contraddizione insanabile tra quanto affermato nell’atto amministrativo impugnato e le deduzioni difensive prodotte dall’Amministrazione in appello.

Nel caso di specie, dagli atti procedimentali della scuola emergeva la sola considerazione del quadrimestre “incriminato”, mentre ciò che veniva dichiarato (e che non risultava agli atti) concerneva una presunta analisi più ampia, come impone la giurisprudenza maggioritaria in materia.

Quello che viene sancito, oltre all’importanza della pronuncia per la tutela degli interessi dei soggetti coinvolti, è un’applicazione peculiare dei poteri valutativi del giudice. Nella fattispecie è risultato decisivo il comportamento processuale tenuto dalla parte pubblica, difesasi con argomentazioni aggiuntive e contrastanti rispetto al contenuto dell’atto amministrativo emanato.

L’acuta osservazione dell’Ordinanza rielabora in chiave tecnica e garantista i principi di cui all’art. 114 c.p.c., fatti propri dal c.p.a. con l’art. 64, che considera il comportamento processuale un argomento di prova.

L’antitesi tra la posizione della difesa erariale e l’atto amministrativo, in un contesto pubblicistico come quello di specie, che verte in tema di diritti costituzionali e beni della vita, non può che portare alle condivisibili deduzioni dell’Ordinanza del Consiglio di Stato.

Nel processo amministrativo rilevano, dunque, le deduzioni svolte dalla parte pubblica in quanto in contraddizione con le motivazioni del provvedimento amministrativo.

La contraddizione tra la motivazione addotta dalla difesa dell’Amministrazione e quella presente nel provvedimento impugnato impone, come condivisibile, il riesame invocato nel giudizio per il tramite di un’istanza cautelare, nel caso di specie, finalizzata alla rinnovazione del giudizio di ammissione.

In tal modo il pronunciamento pare collocarsi in linea con le ordinanze propulsive tramite le quali il Giudice Amministrativo, in sede collegiale, può sollecitare un’attività della P.A.; e così, con la misura cautelare del riesame, o di remand, non si sospendono semplicemente gli effetti del provvedimento impugnato, ma in modo equilibrato il Giudice di seconde cure in sede collegiale richiede all’Amministrazione di riesaminare la questione e di rideterminarsi.

Il piccolo studente ed i suoi genitori vedranno, grazie al provvedimento in analisi, una riforma del giudizio comminato dalla scuola in senso conforme alle norme di legge.

SE LA BOCCIATURA A SCUOLA ARRIVA DINANZI AI GIUDICI: LA DURA VERITÀ DI PROVARE A FAR RISPETTARE LE LEGGI. ANCHE SE NON PIACE
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Un giovane studente di prima media viene bocciato in prima media. I genitori si sentono lesi, vanno da un avvocato che verificata la normativa, le circolari ministeriali e, soprattutto, i verbali della scuola decide di agire.
Il TAR rigetta ritenendo che la motivazione del Consiglio di classe sia congrua. In appello, invece, al contrario, superando le ragioni della motivazione del Consiglio di classe adottato a maggioranza (e non unanime) si riscontra, documentalmente, che la normativa ministeriale risulta violata. L’appello cautelare, secondo il Consiglio di Stato, è fondato, in quanto l’ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado in base agli artt. 1 e 6 del D.lgs. 13 aprile 2017 n. 62, ed alla circolare n.1865 del 10.10.2017 deve fondarsi su un giudizio che faccia riferimento unitario e complessivo a periodi più ampi rispetto al singolo anno scolastico, e ciò “anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline. Pertanto l’alunno viene ammesso alla classe successiva anche se in sede di scrutinio finale viene attribuita una valutazione con voto inferiore a 6/10 in una o più discipline da riportare sul documento di valutazione” (così la circolare cit. a pag. 3 ult. cpv.).
Frattanto, dunque, il ragazzo studia e viene promosso, presso altro istituto statale, in terza media confermando, quindi, che “ l’esito positivo dell’anno scolastico 2018-19, trascorso nella classe successiva alla prima, e l’ammissione alla terza classe, a seguito del giudizio positivo conseguito nello scrutinio finale del secondo anno, realizzi in pieno lo schema previsto dalle disposizioni citate, avendo consentito in concreto una valutazione più ampia, ponderata e consapevole dei livelli di apprendimento raggiunti dall’alunno, su base biennale, come ivi prefigurato”.
Piaccia o non piaccia è la Legge a dirlo ed il buon consiglio di classe, troppo rigido o meno che sia stato, deve anche esso applicare la Legge. Un consiglio di classe che, pur ritenendo che il giovane aveva così tanti deficit (in realtà un solo 4 in Tecnologia e diversi altri 5), aveva, in contrasto con Legge e circolare, attuato rimedi “straordinari” di recupero non ad hoc (a scuola e mirati), ma meramente a casa e di soli cinque giorni “rivelandosi dunque del tutto insufficiente, se posta in relazione alle asserite gravi lacune nell’apprendimento attribuite al ricorrente dagli stessi organi scolastici”.
Piaccia o non piaccia, dicevamo, se Leggi e circolari indicano una via, i Giudici non possono fare altro che seguirla. Tanto il Consiglio di Stato e tutti gli altri Giudici. 
Si perché frattanto, proprio seguendo la stessa Legge, tutto il Consiglio di classe di un noto Liceo siciliano è finito sotto procedimento disciplinare per aver bocciato un altro ragazzo. Quest’ultimo, dopo aver lasciato ogni anno 2 o 3 materie, anche in ragione di una delicata situazione familiare per ragioni di salute della madre, veniva prima “rimandato a settembre” e poi bocciato. Bocciato per aver fatto scena muta all’esame di riparazione.
Cosa potrà mai imputarsi a quei docenti? Hanno bocciato un ragazzo che ha ostinatamente fatto scena muta durante l’anno e persino, dinanzi a tutta la Commissione, a settembre.
Ispezione ministeriale e richiesta di 6 mesi di sospensione a tutto il Consiglio di classe. Non si può bocciare un ragazzo nonostante si rifiuti di studiare. E’ la Legge, anche in quel caso, a prevederlo.
Leggere, dunque, ardite giornalate che parlano di “sentenza choc” del Consiglio di Stato e, da qui, argomentare che tale decisione non consenta più di bocciare nessuno in prima media, è davvero fuori luogo.
La verità è che se le regole valgono per tutti è davvero troppo comodo tirare in ballo il Tribunale di turno che, al contrario, si limita a far applicare quelle leggi. Si può discutere se sia corretto che nonostante l’insufficienza in più materie si possa decidere di non bocciare ma se tale è la previsione di legge e delle circolari applicative, non si può lagnarsi, giorno dopo giorno, delle regole che tutti sono chiamati ad applicare.
E’ chiaro che grazie al sistema giudiziale non tutte le storture vengono raddrizzate: un concorso illegittimo, ad esempio, va annullato con ciò gettando disperazione in capo agli onesti che, in tanti casi, avevano meritato la vittoria. In alternativa, ed è ciò che sin’ora è accaduto e da noi fortemente voluto per non penalizzare gli incolpevoli ma meritevoli, tutti vanno ammessi alle prove successive: al corso di laurea nel caso della lotteria dei test di ammissione errati, alla classe successiva nel caso di un giudizio non conforme a Legge, etc.. Sarà il successivo percorso a dare o non dare le risposte sul merito.
A volte, riflettendo su quanto “troppo” sembra ottenersi in tali casi, parlo di bulimia giudiziaria. Non possiamo negarlo: esiste sempre chi, all’esito di un giudizio, ottiene qualcosa in più di quanto meriterebbe. Ma ciò non riguarda solo una bocciatura, un test o concorsi. Al contrario coinvolge ogni altra sfera del contenzioso e dei rapporti sociali.
E stupisce che proprio innanzi ad un diritto costituzionalmente garantito (quale è LO STUDIO) ci si scandalizzi per gli esiti di qualche contenzioso.
Senza necessità di choc e titoloni.

 

 

Avv. Santi Delia

PER LA PRIMA VOLTA AMMESSI I RICORRENTI EDUCATORI AL CONCORSO STRAORDINARIO
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Con sentenza n. 9474/2019 il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso dello studio legale Bonetti Delia finalizzato alla partecipazione al Concorso straordinario previsto dall’art. 4, co. 1-quater del DL 87/2018, consentendo per la prima volta ai ricorrenti, quali educatori abilitati tramite il concorso del 2000, l’ammissione alla procedura selettiva di carattere straordinario.

Secondo l’Avv. Michele Bonetti. “È da considerarsi una pronuncia di notevole importanza, trattandosi del primo provvedimento attraverso il quale il T.A.R. accoglie un ricorso collettivo consentendo di partecipare al concorso straordinario senza annullarlo e così salvaguardando anche coloro che vi hanno già partecipato. Il Tar Lazio con una illuminata pronuncia ha accolto la nostra interpretazione costituzionalmente orientata ammettendo i nostri ricorrenti alla procedura concorsuale riservata e senza rimettere gli atti alla Corte Costituzionale, così da ritenere, quale requisito di ammissione al Concorso straordinario, oltre al diploma magistrale e alla laura in scienze della formazione primaria, anche il titolo di educatori abilitati con il necessario servizio. Così viene consentito ai ricorrenti la partecipazione alla procedura concorsuale di carattere straordinario finalizzata al reclutamento di docenti della scuola primaria e dell’infanzia.”

Con il ricorso presentato dinanzi al T.A.R. Lazio, si impugnava il decreto MIUR n. 89 pubblicato in GU il 9.11.2018, il quale nel prevedere i requisiti di ammissione al Concorso straordinario, stabiliva che non potevano partecipare i docenti in possesso del titolo di abilitazione di personale educativo. Nonostante l’equiparazione sia giuridica che economica di tutti gli educatori abilitati tramite il concorso del 2000 agli insegnanti in possesso di diploma magistrale.

Sono anni, difatti, che il Ministero e la Magistratura concordano nel ritenere la figura del personale educativo e quella dell’insegnante in possesso di diploma di maturità magistrale completamente assimilabili sotto ogni profilo, così da raggiungere una vera e propria “equiparazione di status”, tuttavia tale equiparazione veniva negata per la partecipazione al concorso de quo.

Finalmente, in virtù di quanto sopra esposto e sostenuto con i nostri ricorsi, il T.A.R. Lazio ha accolto il primo ricorso collettivo sul concorso straordinario, affermando che “il possesso dell’abilitazione di personale educativo nelle istituzioni educative deve essere considerato in tutto e per tutto equivalente all’abilitazione all’insegnamento nella scuola primaria”. Così da permettere ai ricorrenti educatori abilitati di poter effettuare le prove del Concorso straordinario.

 

L’infortunio dell’alunno prima dell’inizio delle lezioni non esclude la responsabilità del Ministero
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La Cassazione si è pronunciata nuovamente sulla responsabilità civile derivante dall’infortunio dell’alunno 

Precari della scuola e abuso dei contratti a termine oltre i 36 mesi: per il Tribunale di Napoli la sanzione adeguata è la costituzione del contratto a tempo indeterminato per tutti
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All’indomani della sentenza della Corte di Giustizia europea che ha ritenuto la normativa italiana sul precariato scolastico non conforme ai dettami della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva 70/1999/CE, è intervenuta un’importante sentenza del Tribunale di Napoli, chiamato a giudicare proprio su una delle cause che erano state sottoposte al giudizio della C.g.u.e (Causa C-62/13).

Spezzare la catena dei “pregiudizi di genere”: uno “sguardo di genere” sul sistema educativo italiano. La parola a Valeria Bruccola
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In questo periodo dell'anno si collocano due importanti momenti: la "Giornata europea per la parità retributiva" del 28 febbraio e la famosissima quanto mediatica "Giornata internazionale della donna", celebrata l’8 marzo di ogni anno. E’ in questi giorni che normalmente si registra una concentrazione quasi spasmodica di riflessioni sui temi dell’uguaglianza tra uomini e donne, sulla presenza delle donne nelle istituzioni e nei centri di potere, sull’effettiva applicazione di quell’articolo 51 della Costituzione modificato recentemente e tante volte sbandierato come il simbolo di una raggiunta parità delle donne quantomeno a livello istituzionale.

Concorso scuola primaria. Prova di inglese obbligatoria? No thanks.
Pubblicato in Lavoro

La prova scritta della scuola primaria comprende anche l’accertamento della conoscenza della lingua inglese” (art. 7 co. 3 del decreto ministeriale n. 82 del 24 settembre 2012).

Con questa ultima pronuncia del Consiglio di Stato, dunque, si può dire che si è formato un orientamento giurisprudenziale maggioritario, secondo cui l’obbligatorietà della conoscenze della lingua inglese, che concorre con gli altri quesiti al superamento della soglia minima di ammissione alla prova orale, sia illegittima.