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RIFLESSIONI A MARGINE DELLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 48981 DEL 25 NOVEMBRE 2014: NON INTEGRA IL REATO DI FAVOREGGIAMENTO DELLA PROSTITUZIONE LA PUBBLICAZIONE DI INSERZIONI PUBBLICITARIE A PAGAMENTO

by Dott.ssa Dalila dell’Italia on16 Marzo 2015

Non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la raccolta e la pubblicazione di inserzioni di donne che si offrono per incontri sessuali a pagamento.

E' quanto chiarito dalla recente sentenza n. 48981/2014, con la quale la III^ Sezione Penale della Cassazione ha definitivamente escluso la sussistenza del reato di favoreggiamento della prostituzione a carico di chi raccoglie e successivamente pubblica inserzioni a carattere sessuale all'interno di un giornale quotidiano.

MOTIVAZIONE

Richiamando suoi precedenti, la Suprema Corte conferma sussistere il reato di favoreggiamento della prostituzione attuato a mezzo stampa o tramite internet soltanto qualora alla pubblicazione di inserzioni pubblicitarie di donne che si offrono per incontri sessuali si aggiungano ulteriori attività finalizzate ad agevolarne la prostituzione, al fine di rendere più allettante l’offerta e di facilitare l’approccio con un maggior numero di clienti. Ne consegue che la sola pubblicazione di annunci rientra in un’attività di natura contrattuale, pertanto lecita, l’unica finalità perseguita dal soggetto essendo quella di prestare un servizio.

ILFATTO

Il caso che ha richiamato l’attenzione del Giudice di Legittimità concerne la raccolta e l’invio ad un quotidiano, con successiva pubblicazione nella sezione “annunci economici” dello stesso, delle richieste di inserzione a pagamento di “annunci personali” diretti a pubblicizzare l’attività di prostituzione svolta a domicilio da giovani donne e transessuali.

Tale condotta, qualificata dal giudice di primo grado come lenocinio a mezzo stampa, reato previsto e punito dall’art. 3, comma 1°, n. 5, della l. n. 75/1958, è stata ritenuta invece penalmente irrilevante dal giudice di secondo grado.

La Cassazione, ripercorrendo il suo orientamento al riguardo, conferma la sentenza di assoluzione pronunciata in appello perché “il fatto non sussiste”, definitivamente pronunciandosi in ordine alla non sussistenza, nel caso di specie, del reato de quo.

IL COMMENTO

La Cassazione ritiene di dover rigettare il ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia ripercorrendo un rapido excursus sul tema della pubblicazione di inserzioni pubblicitarie di persone che si offrono per incontri sessuali.

L’ipotesi delittuosa in argomento è costituita dal divieto di pubblico lenocinio, ossia del compimento di atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità. Norma di riferimento è l’art. 3, comma 1°, n. 5, della l. n. 75/1958.

Sia che si acceda all’orientamento dottrinario più rigoroso - che individua una nozione ampia di lenocinio comprensiva di qualsiasi forma di prossenitismo diretta alla persuasione od all’incitamento della prostituzione in modo da creare nuovi proseliti o comunque in modo da alimentare il fenomeno - sia che si aderisca alla più restrittiva opinione - che identifica siffatta ipotesi nella semplice attività di intermediazione tra la prostituta ed il potenziale cliente, compiuta personalmente, cioè a mezzo di comunicazione diretta, in luogo pubblico o aperto al pubblico, oppure indirettamente con il mezzo della stampa – secondo la Corte «il delitto di lenocinio a mezzo stampa non è integrato dalla mera raccolta e pubblicazione di inserzioni pubblicitarie di donne che si offrono per incontri sessuali, trattandosi di attività del tutto scollegata dal meretricio da queste esercitato e la cui finalità è esclusivamente la prestazione del servizio e non anche l’intermediazione tra prostituta e cliente».

La Corte, con la sentenza n. 48981/2014, ha ripudiato, dunque, le conclusioni cui era pervenuta qualche anno prima in riferimento ad un caso simile. Invero la sentenza n. 15275/2007 aveva affermato che chi consapevolmente pubblicasse o favorisse la pubblicazione di inserzioni di prostitute che offrivano le loro prestazioni sessuali per denaro o di soggetti che chiedevano prestazioni sessuali a pagamento, svolgesse un'opera di intermediazione a servizio della prostituzione. Tale orientamento era valso una pronuncia di condanna a carico del direttore di un giornale che, consentendo la pubblicazione sulla propria rivista di inserzioni relative ad un'attività di prostituzione, avrebbe svolto attività di intermediario tra cliente e prostituta favorendo quindi il meretricio.

Perché si possa parlare di lenocinio, secondo la sentenza che qui si commenta, è necessario che tra chi effettua l'inserzione e la sua pubblicazione intervenga un soggetto terzo che in qualche modo incida sul messaggio pubblicitario, aiutandolo a procacciare clienti. L’unica finalità perseguita, al contrario, dal soggetto che pubblica l’annuncio è la prestazione di un servizio, cosicché la condotta de quo non è qualificabile come attività di procacciamento di clienti a favore delle prostitute, bensì è da collocarsi nell’ambito di un rapporto contrattuale con esse, senza collegamento alcuno con l’attività di meretricio da queste svolta.

Né l’attività di pubblicazione di annunci di tal genere può considerarsi di per sé punibile come reato di favoreggiamento della prostituzione, ai sensi dell’art. 3, comma 1°, n. 8, della citata legge n. 75/1958.

Per consolidato orientamento della Cassazione, il favoreggiamento della prostituzione non ricorre, ad esempio, nei casi in cui il soggetto agente si limiti a telefonare alle prostitute inserzioniste per la pubblicazione degli annunci, facendosi inviare per email le loro fotografie (Sez. III n. 4443, 2 febbraio 2012) o effettui ritocchi con strumenti informatici alle fotografie pubblicate sul sito. L’attività del soggetto, infatti, non esula dalla prestazione di un ordinario servizio (Sez. III n.20384, 13 maggio 2013).

Perché si sconfini nel reato occorre, invece, che si aggiungano ulteriori attività, finalizzate all’agevolazione proprio della prostituzione e alla facilitazione dell’approccio con un maggior numero di clienti, quali, ad esempio, l’aver contattato un fotografo per effettuare nuove foto o l’aver fatto sottoporre le donne a servizi fotografici erotici.

La linea discretiva tra lecito ed illecito concerne, in definitiva, il contenuto del servizio prestato.

Se si tratta di un servizio ordinario, come la mera pubblicazione di un annuncio a contenuto sessuale su un giornale, la natura contrattuale dell’attività vale ad escludere la sua rilevanza penale. Mancando qualsiasi collegamento oggettivo tra chi pubblica l’annuncio e l’attività di prostituzione esercitata dall’inserzionista, non è ravvisabile alcuna intermediazione, bensì un rapporto contrattuale. Chi pubblica ha come unico fine la prestazione ad un soggetto di un servizio di comunicazione, non avendo neppure il potere di incidere sulla volontà dell’inserzionista.

Sarebbe la prestazione di un supporto aggiuntivo e personalizzato a rendere, tuttavia, quell’attività penalmente rilevante nei sensi indicati. Il soggetto agente, infatti, porrebbe in essere una vera e propria attività di collegamento ed intermediazione tra prostitute e clienti, in definitiva procacciando i clienti.  

Tale criterio differenziante vale, in conclusione, sia con riferimento all’ipotesi del lenocinio che del favoreggiamento della prostituzione.

Ultima modifica il 16 Marzo 2015