La Cassazione Penale, con sentenza n. 32996 del 12 ottobre 2016 (udienza del 14 settembre 2016), coerentemente con quanto già più volte sancito, ha confermato la possibilità di configurare il concorso esterno in associazione mafiosa, fuorviando così ogni dubbio circa la sua sussistenza.
La disamina degli Ermellini sulla questione ha preso il via da una sentenza pronunciata dal GIP del Tribunale di Catania del 21 dicembre 2015, con cui il giudice per le indagini preliminari aveva sostenuto fermamente l’inesistenza della figura de qua nell’ambito dell’ordinamento giuridico. Tale asserzione si basava, strictis verbis, sulla convinzione che la figura del concorso esterno in associazione mafiosa avesse origine meramente giurisprudenziale, non trovando nessun tipo di “appiglio” nelle norme del Codice Penale. Di conseguenza, l’introduzione nell’ordinamento di una fattispecie nata al di fuori dell’ortropedia normativa, sarebbe, secondo il Magistrato, inammissibile, in quanto lesiva dei fondamentali principi di legalità, certezza del diritto e ragionevolezza, con tutte le conseguenze che inevitabilmente ne deriverebbero sul piano processuale.
Tale tesi non ha per nulla convinto il Supremo Collegio, essendo i dubbi sollevato dal GIP di Catania ormai superati da tempo proprio in virtù di una costante ed esaustiva giurisprudenza sul punto.
Nello specifico, riferendosi al caso di Catania, i Giudici del Palazzaccio hanno autorevolmente affermato che “la punibilità del concorso eventuale di persone nel reato nasce, nel rispetto del principio di legalità, sancito dall’art. 1 cod. pen. e dall’art. 25, comma secondo, Cost., dalla combinazione tra le singole norme penali incriminatrici speciali e l’art. 110 cod. pen. (v., anche, Sez. 2, n. 18132 del 13/04/2016, Trematerra, Rv. 266908, la quale ha, altresì, ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 110 e 416-bis cod. pen., sollevata per asserito contrasto con gli artt. 25, comma secondo, e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento all’art. 7 della Convenzione EDU, per violazione del principio di legalità; nello stesso senso, v. anche Sez. 2, n. 22447 del 18/05/2016, Spinoccia, non massimata)”.
Quanto appena riportato, dedotto chiaramente nelle motivazioni della sentenza da poco depositate, pone una pietra tombale sulle questioni più volte sollevate circa la compatibilità con la figura di cui trattasi e il generale principio di legalità sotteso all’ordinamento processualpenalistico; compatibilità in merito alla quale la sentenza del GIP aveva sollevato forti perplessità.
Il Supremo Consesso ha altresì precisato che la figura del concorso esterno in associazione mafiosa non lede nemmeno il principio di certezza del diritto né quello di ragionevolezza degli esiti dell’attività ermeneutica del giudice, come del resto dimostrato da una pregressa e progressiva giurisprudenza di legittimità sul punto.
E’ doveroso segnalare che, alla luce della sentenza in commento, la stessa Procura di Catania ( già perplessa circa la decisione del GIP) ha espresso “vivo compiacimento per la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione che, in accoglimento del ricorso proposto da questo Ufficio nell’ambito del procedimento penale nei confronti di Mario Ciancio Sanfilippo, ha riaffermato il principio di diritto per cui il reato di concorso esterno in associazione mafiosa non è di creazione giurisprudenziale bensì è fattispecie di reato risultante dal combinato disposto degli articoli 110 e 416 bis del codice penale, di cui la giurisprudenza si è limitata a meglio definire l’ambito applicativo così come ha fatto del resto per numerose altre norme penali”.
Sulla scorta di quanto argomentato dalla Cassazione e, più in generale, dei fiumi di giurisprudenza esistenti sul punto, a parere di chi scrive la sentenza che in quest’articolo si segnala costituisce l’ennesima conferma del fatto che il concorso esterno in associazione mafiosa deve considerarsi una vera e propria fattispecie delittuosa, generata dal combinato disposto tra la norma di parte generale di cui all’art. 110 c.p. e l’art. 416-bis c.p.: nessuna natura giurisprudenziale né dottrinale va attribuita alla fattispecie di cui trattasi, in quanto i suoi elementi essenziali e la sua ratio trovano perfetta collocazione nel codice di rito. Nessun dubbio né contrasto, quindi, deve esistere nell’interpretazione della fattispecie delittuosa nè tantomeno nella sua applicazione, con tutte le conseguenze che ne derivano sia sul piano sostanziale sia ( soprattutto) processuale; nessuna incompatibilità può esserci né deve evincersi tra l’ipotesi di reato de qua e i principi cardine dell’ordinamento giuridico vigente, rispetto ai quali il concorso esterno in associazione mafiosa è assolutamente e completamente conforme.