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SOSTANZE STUPEFACENTI, ILLEGALITA’ DELLA PENA E SORTE DEL GIUDICATO DI CONDANNA: LA RIDETERMINAZIONE DELLA PENA GIUSTA NEI BINARI DELLA LEGALITA’.

by Dott.ssa Dalila Dell'Italia on14 Marzo 2017

La materia delle sostanze stupefacenti è da diversi anni oggetto di vivace attenzione giurisprudenziale. 

La delicatezza del bene giuridico tutelato e la pericolosità delle diverse condotte incriminate dal D.P.R. n. 309/1990 spiegano l’interesse per questioni peculiari quali, per citare le più recenti, il consumo di gruppo, la ratio del diverso regime sanzionatorio tra condotte di detenzione e di coltivazione e nell’ambito di quest’ultima tra coltivazione di tipo domestico e a carattere industriale.

Quando una materia così di per sé vasta, involgente principi fondamentali come l’offensività, si coniuga con un tema scottante come la legalità della pena, i profili di dibattito inevitabilmente aumentano.

È opportuna una sintesi della vicenda portata al vaglio della Corte Costituzionale.

Prima che la legge Fini-Giovanardi n. 49/2006 uniformasse il trattamento sanzionatorio tra droghe pesanti e leggere, le condotte di produzione, traffico e detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope ex art. 73 D.P.R. 309/1990 erano diversamente punite a seconda della maggiore o minore pericolosità per la salute pubblica, a sua volta dipendente dal tipo di sostanza.

La citata del 2006 modifica l’art. 73 T.U. stup. prevedendo la medesima pena dai sei ai venti anni di reclusione, oltre alla multa, a prescindere dalla catalogazione della droga come pesante o leggera.

Dottrina e giurisprudenza hanno palesemente criticato il novum legislativo, sia perché noncurante dell’ovvio dato che una sostanza ricompresa nelle tabelle delle droghe pesanti possa sortire effetti più gravi sulla salute rispetto ad una da considerarsi leggera, sia perché attuato in spregio ai limiti costituzionali.

Quanto a quest’ultimo punto, è stata sollevata questione di incostituzionalità del d.l. 272/2005, convertito in l. 49/2006, per contrasto con l’art. 77 Cost.,  in ragione della mancanza di omogeneità tra testo originario del decreto legge e disposizioni della legge di conversione, nonché della elusione dei criteri di straordinaria necessità ed urgenza.

In particolare, il suddetto decreto legge avrebbe dovuto, tra le altre, contenere misure urgenti di lotta alla criminalità organizzata e volte a favorire il recupero del tossicodipendente, mentre la legge di conversione ha sostanzialmente modificato la disciplina sulle sostanze stupefacenti e psicotrope, eliminando il tratto differenziale della pena.  Sostiene il giudice remittente che il Parlamento non avrebbe tenuto conto della natura “funzionalizzata e specializzata” della legge di conversione.

La violazione dei presupposti di cui all’art. 77 Cost. è rinvenuta dal giudice a quo nel fatto che è stato adottato un decreto legge in assenza dei presupposti di necessità ed urgenza. Il legislatore, intenzionato ad innovare in modo così radicale il settore degli stupefacenti, avrebbe dovuto seguire l’ordinario iter di approvazione delle leggi.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 32/2014, accoglie la questione eliminando dall’ordinamento la normativa che equiparava il trattamento punitivo delle sostanze stupefacenti, in quanto contenente una pena illegale.

Importante precisazione del Giudice costituzionale è che è compito del giudice comune valutare il complesso degli effetti della dichiarazione di incostituzionalità, ossia individuare quali disposizioni, poiché collegate a quelle espunte, meritano automatica caducazione e quali, al contrario, non sono assolutamente toccate; effetti che non possono comunque pregiudicare l’imputato.

Tutto ciò premesso, è necessario allora valutare gli effetti della sentenza di incostituzionalità sulla determinazione della pena.

Nulla di rilevante se il soggetto, imputato del delitto di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, abbia interamente scontato la condanna prima dell’intervento della Corte Costituzionale, poiché all’epoca la norma era legittima.

Colui che abbia commesso il reato dopo la pubblicazione della sentenza n. 32/2014 sarà processato in base alla normativa conseguente alla dichiarazione di incostituzionalità. In proposito, l’art. 30, comma 3, l. 87/1953 dispone che le norme dichiarate incostituzionali non sono più applicabili dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione della Corte; pertanto, la norma illegittima ed eliminata non è più applicabile ai rapporti e alle situazioni futuri. Poiché l’espunzione della norma incostituzionale fa rivivere la norma ad essa antecedente, le condotte di produzione, detenzione e traffico di droga leggera meriteranno una pena edittale detentiva da due a sei anni, quelle corrispondenti di droga pesante una sanzione dagli otto ai venti anni.

Il punto dolente riguarda l’illecito commesso nel vigore della legge Fini-Giovanardi ma da giudicare dopo la sentenza demolitoria.

Il principio di legalità, presidio della libertà del cittadino e riconosciuto come principio fondamentale di civiltà non solo a livello nazionale, ma anche internazionale ed europeo, esige l’anteriorità della norma incriminatrice e sanzionatoria rispetto al fatto. Dal combinato disposto degli artt. 25, comma 2, Cost. e 7 C.E.D.U., si ricava che nessuno può essere punito se non per un fatto previsto dalla legge come reato al momento in cui è commesso ed egualmente la pena deve essere prevista da una disposizione antecedente al fatto. La finalità è quella di orientare consapevolmente le condotte, di far conoscere in anticipo a ciascuno le conseguenze del proprio operato.

E dunque, l’imputato per condotte criminose ex art. 73 D.P.R. 309/90 aventi ad oggetto sostanze stupefacenti, che abbia commesso il fatto tra l’entrata in vigore della l. 49/2006 e la sentenza di incostituzionalità, aveva fatto affidamento sulla pena edittale unica della reclusione da anni due a sei, contemplata a prescindere dal tipo di sostanza.

Se il processo è celebrato dopo la sentenza, con la riviviscenza del quadro sanzionatorio pregresso accade che nel caso in cui la sostanza sia di tipo pesante, viene comminata una sanzione più severa e non prevedibile al momento del fatto. Tale sanzione, che per un verso risulta conforme ai crismi della legalità formale poiché risulta dal rigetto dall’ordinamento della norma incostituzionale, per altro verso non è prevedibile dall’agente al momento del fatto, quindi non si adegua ad un canone di legalità sostanziale.

Posto che proprio la Consulta aveva sottolineato che la dichiarazione di incostituzionalità di una norma non può pregiudicare gli imputati, parte di giurisprudenza ha concluso che quando la condotta di cui all’art. 73 T.U. stup. ha ad oggetto droghe pesanti è preferibile l’applicazione della normativa dichiarata incostituzionale poiché contenente una pena più giusta, invece che quella previgente e poi risorta, poiché sfavorevole. In tal senso si sono pronunciate anche le SU della Cassazione (n. 42858/14).

Questa tesi è stata però criticata da altra parte della dottrina e della giurisprudenza sul presupposto che l’incostituzionalità è una patologia troppo grave per poter giustificare l’applicazione della norma in mitius. Difatti è stata di recente sollevata questione di incostituzionalità (Cassazione penale, ordinanza n. 1418/2017):

ferma, cioè, l’incostituzionalità dell’art. 4 bis d.l. 205/2005 per contrasto con l’art. 77 Cost., non si può pensare di evitare la reviviscenza di una norma sfavorevole dando applicazione alla norma illegittima, perché si viola la legalità e la riserva di legge in materia penale.

In questa pronuncia, la Cassazione si spinge oltre nell’esame peculiare dello scrutinio della Corte Costituzionale sulle c.d. norme di favore, ammettendolo solo per una categoria. In particolare, distingue due tipologie di norme di favore:

1. sono tali in senso stretto quelle che sottraggono una certa categoria di ipotesi o soggetti dal raggio applicativo di una disposizione maggiormente comprensiva, con l’effetto di contemplare un trattamento privilegiato o nel senso della mitigazione della risposta sanzionatoria o della impunità;

2. in senso più ampio, quelle norme comuni o generali che delimitano l’area di intervento di una norma incriminatrice concorrendo alla definizione di una fattispecie di reato, introducendo una scriminante, o affievolendo la pena già comminata, insomma esprimendo comunque una valutazione legislativa sul bisogno di pena.

Lo scrutinio di costituzionalità è ritenuto ammissibile solo per le prime, cioè per le norme penali di favore in senso stretto: precludere il giudizio di costituzionalità significherebbe introdurre spazi di immunità ingiustificati. La pronuncia di incostituzionalità determinerà in tali casi la reviviscenza della norma precedente, dettata dallo stesso legislatore, come effetto naturale, reazione fisiologica dell’ordinamento, senza che si ravvisi alcuna creazione giurisprudenziale.

Al contrario si reputa inammissibile l’intervento della Corte Costituzionale sulle norme che si pongono in rapporto diacronico, cioè in successione temporale, e che esprimono una valutazione legislativa in termini di meritevolezza di pena: poiché tale valutazione è frutto di una scelta di politica criminale, la Consulta non potrebbe ad essa sovrapporsi senza violare l’art. 25, comma 2 Cost.

Poiché nell’ipotesi che qui si esamina in tema di sostanze stupefacenti viene in gioco quest’ultima categoria di norme di favore, che tali sono solo in senso lato, la questione viene sottoposta al Giudice costituzionale.

L’ipotesi di droga leggera è meno problematica. L’imputato giudicato dopo la pronuncia di incostituzionalità ma per fatti anteriori beneficerà del miglior trattamento sanzionatorio conseguente all’intervento della Consulta. In applicazione dell’art. 2, comma 4, c.p., la legge più favorevole tra quelle succedutesi nel tempo è proprio quella anteriore all’entrata in vigore della normativa poi dichiarata illegittima.

Il terreno delle riflessioni è maturo per affrontare il tema dell’impatto della sentenza n. 32/2014 sulla pena ormai comminata, nel caso in cui il processo a carico di imputati ex art. 73 T.U. stup. sia stato già celebrato. Le due sotto-ipotesi sono quella, più semplice, in cui la sentenza non sia ancora definitiva e quella in cui sia sceso il giudicato.

Nella prima, il condannato ad una pena illegale ha la possibilità di espiare una sanzione giusta tramite lo strumento del giudizio di esecuzione: il giudice dell’esecuzione potrà modificare il titolo esecutivo al fine di rendere la parte sanzionatoria di esso conforme al diritto.

Nella seconda la soluzione è molto più articolata, perché da un lato si avverte l’esigenza di salvaguardare il tradizionale principio dell’intangibilità del giudicato, dall’altro quella di punire taluno, incidendo sulla sua libertà, solo tramite una pena costituzionalmente e convenzionalmente orientata.

La Corte Costituzionale da tempo riconosce la necessità di stemperare la portata assoluta dell’intangibilità del giudicato, in funzione della protezione di interessi e valori di pari rilevanza. Dal canto loro, le Sezioni Unite della Cassazione hanno concretamente individuato le modalità per superare il giudicato e rideterminare la pena illegale (SS.UU. Ercolano 2013 e SS.UU. Gatto 2014).

Non è applicabile il rimedio della revoca della sentenza di condanna di cui all’art. 673 c.p.p., perché nel caso di specie non si è in presenza né di abolitio criminis ex art. 2, comma 2, c.p., né di dichiarazione di incostituzionalità di una norma incriminatrice precettiva.

Poiché l’illegalità è solo in parte qua, investendo il solo profilo sanzionatorio della norma, trova applicazione il comma 4 dell’art. 30 l. 87/1953, per il quale se in applicazione della norma incostituzionale è stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Nel caso di specie la sentenza di condanna è fondata su una norma originariamente illegittima, affetta da una patologia così grave da non poter non travolgere la sentenza che su di essa si fonda; persino se irrevocabile tale pronuncia è destinata a cadere, in quanto comprime la libertà della persona, principio costituzionale inviolabile, illegittimamente.

Caduto il giudicato sanzionatorio, competente alla rideterminazione della pena è il giudice dell’esecuzione, che dovrà comunque restare nel perimetro tracciato dal giudice della cognizione in merito gli accertamenti sulla sussistenza del fatto, la sua qualificazione giuridica e riferibilità all’agente. In altri termini resta inalterato il giudicato sul precetto, si ritrae quello sulla pena.

Ultima modifica il 14 Marzo 2017