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Diritto allo studio e tutela cautelare.

Diritto allo studio e tutela cautelare

(glosse e riflessioni alla sentenza T.A.R. Lazio, Sez. III, 14 giugno 2019, n. 4007)

Sommario: 1. Premesse -2. Il fondamento normativo, l’odierno sistema e la delega di cui all’art. 5, comma 1, lett. a) della L. 30 dicembre 2010 n. 240 –3. Spunti di riflessione proposti dalla decisione cautelare del T.A.R. Lazio in tema di tutela cautelare.

 

1.      Merito, accesso al sapere e diritto allo studio: temi quanto mai attuali visti i nuovi obiettivi legislativi condensati nella c.d. riforma del sistema universitario e il sempre fervente dibattito, per la verità più sociale, politico e culturale che giuridico, sull’attuale sistema di accesso alla conoscenza presso taluni corsi di laurea. Codesti, però, sembrano voler rimanere tali ancora per poco, giacchè la tendenza, che alcuni Atenei[1] hanno già messo sul campo, appare andare proprio nella direzione dell’accesso programmato generale dell’insegnamento universitario non più e non solo per le discipline delle professioni sanitarie, della Medicina, dell’Odontoiatria, della Veterinaria, dell’Architettura, delle Scienze della formazione e delle specializzazioni post laurea.

         Un dibattito, pertanto, vivissimo ed attualissimo che sembra non interessare soltanto studenti e famiglie nell’estate più bella del post adolescenza, quella del diploma intendo, ma che muove con sempre maggiore spinta le coscienze di tutti  gli osservatori, riempie le pagine dei giornali, scomoda il medico del Premier e affolla i talk show.

2.      Ma andiamo con ordine. E cerchiamo di capire, in primis, perché in Italia l’accesso a taluni corsi di laurea è a numero programmato.

Tutto comincia qualche anno prima della L.n. 264/99 quando con L.n. 127/1997[2] viene attribuito il potere all’allora Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, di determinare la limitazione degli accessi ad alcuni corsi universitari. Secondo diversi T.A.R.[3] la norma presentava profili di dubbia costituzionalità in ragione del fatto che “conferisce al Ministro il potere di determinare la limitazione degli accessi all'istruzione universitaria, senza alcuna previa fissazione dei principi generali della disciplina, ma addirittura attribuendo al Ministro stesso il compito di definire, con l'ausilio di altro organo della pubblica amministrazione e cioè il Consiglio universitario nazionale, quei criteri generali per la regolamentazione dell'accesso. La violazione del principio della riserva di legge comporterebbe in tal modo anche la violazione del principio della tutela del diritto allo studio, di cui agli artt. 33 e 34 della Costituzione”.

         La Corte Costituzionale[4], chiamata l’anno successivo a pronunciarsi sulla questione, salva il modello ritenendo che “in considerazione degli obblighi comunitari e nei limiti in cui essi sussistono, non sia fondato lo specifico dubbio di costituzionalità sollevato dai giudici rimettenti circa la legittimità costituzionale della previsione del potere ministeriale di limitare gli accessi universitari”.

In realtà, è forse meglio chiarirlo sin da subito, nessuna norma comunitaria impone agli Stati membri la formazione universitaria a numero chiuso limitandosi, in virtù del principio di reciproco riconoscimento dei titoli di studio, ad onerarli a garantire standard di formazione adeguata. Gli “obblighi comunitari (…) nei limiti in cui essi sussistono”, cui si riferisce la Consulta, pertanto, sono sempre da ritenersi immanenti al fine di ben formare gli studenti, sì da fargli ottenere un titolo che, in maniera quanto più possibile veritiera, dimostri di rappresentare il bagaglio di conoscenze che lo Stato mira a conferirgli.

         La Corte, però, non si lascia sfuggire l’occasione per invitare il legislatore a riorganizzare la materia che “necessita di un'organica sistemazione legislativa, finora sempre mancata: una sistemazione chiara che, da un lato, prevenga l'incertezza presso i potenziali iscritti interessati e il contenzioso che ne può derivare e nella quale, dall'altro, trovino posto tutti gli elementi che, secondo la Costituzione, devono concorrere a formare l'ordinamento universitario”.

Proprio da quest’assist nasce la L.n. 264/99[5] che compone l’attuale sistema di norme sul quale è basato l’accesso programmato ad alcuni corsi di laurea e ad alcune delle specializzazioni post laurea.

La ratio dell’intera struttura normativa, sembra potersi ricondurre alla volontà del Legislatore di pianificare le immatricolazioni sulla base di criteri stabiliti ex ante che rendano solo eventuale la compressione del diritto allo studio. Solo innanzi ad un’effettiva carenza di strutture idonee a consentire “standard formativi tali da richiedere il possesso di specifici requisiti”, infatti, si dovrà gioco forza attivare quel sistema, rivelatosi poi assai oneroso e criticatissimo, di “ammissione agli atenei previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi”. Il Legislatore del ’99, pertanto, non aveva escluso affatto che fosse il sistema universitario ad adeguare i propri standard, le proprie strutture e le proprie risorse, anche umane, al fine di garantire alla frattanto crescente pletora di aspiranti matricole di accedervi senza necessariamente lotte fratricide in partenza, fu solo l’esperienza sul campo che, a tale estrema, e non sempre genuina, competizione, giunse.

La determinazione annuale del numero dei posti a livello nazionale per l’iscrizione ai corsi di cui si è fatto cenno, viene effettuata con decreto ministeriale “sulla base della valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario, tenuto anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo[6]; i posti vengono ripartiti tra le Università, con decreto ministeriale, “tenendo conto dell’offerta potenziale comunicata da ciascun ateneo e dell’esigenza di equilibrata attivazione dell’offerta formativa sul territorio[7].

La valutazione dell’offerta potenziale, al fine di determinare i posti disponibili, è effettuata avuto riguardo a diversi parametri inerenti le strutture (aule, laboratori, etc..) e le professionalità (docenti, ricercatori, tutor, etc..) di Ateneo[8] ed avviene con cadenza annuale a mezzo di atti di programmazione dell’offerta formativa normalmente cristallizzati in deliberazioni del Consiglio di Facoltà poi ratificate dagli organi accademici di governo[9].

In sostanza, il complesso e articolato procedimento di individuazione “dell’offerta potenziale del sistema universitario”, è caratterizzato da un ragionato raccordo tra M.I.U.R. e singole Università onde garantire che la determinazione ministeriale del numero dei posti disponibili presso i vari Atenei sia frutto di un’adeguata istruttoria svolta a livello locale.

Al M.I.U.R. spetterà, invece, il compito di coordinare i “numeri” provenienti dai singoli Atenei anche avuto riguardo al “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”. In tale ambito il Ministero riceve prima la stima delle necessità inerenti tali professionalità dalle singole Regioni e poi la compara e la coordina, in sede di tavolo tecnico, con le stime circa il fabbisogno delle medesime proveniente dai Ministeri competenti[10] che, peraltro, in sede di conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome, dovrebbero[11] formalizzare preventivamente un accordo sul fabbisogno. Il “Tavolo tecnico”, oltre che dalle rappresentanze ministeriali, è composto[12] da esponenti delle categorie di professionisti formatisi nei medesimi corsi di laurea, i quali, almeno secondo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato[13], hanno un interesse concorrenziale del tutto opposto all’allargamento delle maglie di tale sistema.

Una volta acquisiti tali dati il Ministero, che già in precedenza aveva dettato le “modalità e i contenuti delle prove di ammissione ai corsi ad accesso programmato a livello nazionale”[14],“definisce”, sempre con proprio decreto, i posti disponibili per l’accesso ai singoli corsi di laurea per ciascun Ateneo, privati compresi.

Di lì a qualche mese, storicamente nei primi giorni di settembre, si celebrano le prove di ingresso presso le singole Università che avranno il precipuo compito di assicurare la regolarità dello svolgimento del concorso apprestando ogni garanzia al fine del rispetto della normativa ministeriale. Il contenuto[15] dei test a risposta multipla[16] somministrati è anch’esso appannaggio del Ministero che provvede a predisporli affidandosi ad una Commissione di esperti all’uopo incaricata di redigere due[17] distinte prove per ogni corso di laurea programmato a livello nazionale.

La correzione delle prove torna ad essere centralizzata ed è affidata al Cineca[18] che provvede alla lettura ottica dei questionari e di seguito ne pubblica i risultati in forma anonima. Saranno ancora i singoli Atenei, invece, a concludere il complesso procedimento con la formazione delle graduatorie a seguito dell’abbinamento dell’anagrafica dei singoli candidati rimasta in proprio possesso ed i codici di correzione provenienti dal Cineca.

Non vi è, invece, almeno allo stato, alcun riconoscimento della carriera scolastica pregressa[19], né alcun colloquio attitudinale[20] volto a verificare, in maniera un pò più attinente rispetto all’aridità del test, se questo o quel candidato sembri risultare più o meno idoneo per questo o quel corso di laurea.

La Legge 30 dicembre 2010, n. 240 si propone, tra l’altro, di riformare anche la materia dell’accesso al sapere attraverso la delega conferita al Governo per “la realizzazione di opportunità uniformi, su tutto il territorio nazionale, di accesso e scelta dei percorsi formativi”[21].

Si tratta, dunque, di una delega in bianco che, sembra l’unico riferimento su cui potersi basare, dovrebbe ispirarsi ai principi cardine (art. 1, comma 3) della stessa L.n. 240/2010 e, tra questi, certamente al merito parola ricorrente per ben dieci volte all’interno dei 29 articoli.

In Parlamento, per la verità, praticamente senza soluzione di continuità, in tanti hanno provato a lanciare delle proposte più o meno articolate volte a ridisegnare l’attuale sistema di accesso ai corsi di laurea a numero programmato[22]. L’attuale delega, tuttavia, nonostante in qualche caso si trattasse di importanti e ragionati disegni di legge[23], non sembra volerne fare tesoro. Solo quando cominceranno a circolare le prime bozze, pertanto, potremmo comprendere su quale via il Legislatore vorrà incamminarsi.

3. Il caso vagliato dal T.A.R. Lazio riguarda la concessione della tutela cautelare nell’ambito di tali concorsi.

Secondo il T.A.R. “la richiesta di ammissione con riserva deve ritenersi inammissibile, essendo peraltro in parte già avvenuta, in parte imminente o comunque preordinata – ex art. 55 comma 10 c.p.a. – la trattazione nel merito di casi analoghi”. Le ragioni sopra esposte”, continua il T.A.R., “sembrano imporre una anche più ampia riflessione, circa l’ammissibilità di misure cautelari propulsive nella materia di cui trattasi (…)”, giacchè “si deve tenere conto, infatti, dell’ingente (…) tasso di crescita del contenzioso, proporzionale alla facilità di accesso ai corsi in via cautelare: costituisce fatto notorio la disposta immatricolazione con riserva e in soprannumero, in anni accademici precedenti, di migliaia di aspiranti, il cui numero risultava in costante crescita, fino ad un più restrittivo indirizzo cautelare del giudice amministrativo, il cui prudente apprezzamento ha, negli ultimi tempi, evitato l’incontrollato sovraffollamento dei corsi universitari in questione, garantendo anche più ragionevoli possibilità di accesso alle scuole di specializzazione e, in ultima analisi, il mantenimento del livello qualitativo del servizio sanitario nazionale (non potendo le carenze di personale medico – pur ipotizzabili – trovare soluzione in via cautelare, in assenza di adeguati investimenti finanziari e strutturali)”.

Si tratta, a ben vedere, di un vero e proprio manifesto contro il contenzioso inerente il diritto allo studio volto a spostare ad anni successivi, quando verosimilmente tutti o quasi avranno perso interesse allo stesso, pur di non consentire un ingente “tasso di crescita del contenzioso, proporzionale alla facilità di accesso ai corsi in via cautelare”.

4.A parere di chi scrive, tuttavia, differenza di quanto ritenuto dal T.A.R. il periculum non è affatto escluso dalle ragioni sopra addotte. Ragioni che, a ben vedere, mirano, dichiaratamente, ad escludere che si verifichi un tasso di crescita del contenzioso, proporzionale alla facilità di accesso ai corsi in via cautelare”.

A fronte di una valutazione della domanda cautelare e dei suoi presupposti che, essendo in gioco il diritto allo studio costituzionalmente garantito è sempre, da un ventennio, stata condotta, ritenendo, a fronte di elementi di fumus, “in via cautelare garantito, allo stato, il proficuo inizio e svolgimento del corso di studi (… ) ordinando all’Ateneo di immatricolare l’appellante al corso di laurea in medicina chirurgia presso la stessa Università” (cfr. solo da ultimo ordd. nn. 1872 e 1879/19 citate anche dalla successiva giurisprudenza della Sezione – 23 maggio 2019, n. 2579/19).  E ciò, sin dalla fase monocratica ove si è, da sempre, ritenuto che, a fronte di elementi di fumus, vi sono ragioni di somma ed indifferibile urgenza, sia perché sono in corso le attività didattiche relative al corso di laurea in medicina e chirurgia, per il quale vige il regime delle presenze obbligatorie, pena l’impossibilità per lo studente di sostenere i relativi esami di profitto, sia perché sono in fase di svolgimento i previsti scorrimenti della graduatoria (cfr. l’allegato n. 2 del D.M. del MIUR m_pi.R.0000277.28-03-2019)” (da ultimo decreto 27 aprile 2019, n. 2135, Pres. Santoro; già prima decreto n. 5953/14 Pres. Baccarini; n. 13/15 Pres. Giovagnoli; 2040/16 Pres. Santoro).

5.La non trattazione della cautelare, di fatto, sposterebbe di almeno un anno la delibazione della domanda rendendo sostanzialmente inutile la stessa esistenza del giudizio e l’interesse alla sua proposizione e coltivazione. Proprio sul tema si è perfino espressa la Corte Costituzionale. “Il diritto allo studio comporta non solo il diritto di tutti di accedere gratuitamente alla istruzione inferiore, ma altresì quello - in un sistema in cui “la scuola è aperta a tutti” (art. 34, primo comma, della Costituzione) - di accedere, in base alle proprie capacità e ai propri meriti, ai “gradi più alti degli studi” (art. 34, terzo comma): espressione, quest'ultima, in cui deve ritenersi incluso ogni livello e ogni ambito di formazione previsti dall'ordinamento. Il legislatore, se può regolare l'accesso agli studi, anche orientandolo e variamente incentivandolo o limitandolo in relazione a requisiti di capacità e di merito, sempre in condizioni di eguaglianza, e anche in vista di obiettivi di utilità sociale, non può, invece, puramente e semplicemente impedire tale accesso sulla base di situazioni degli aspiranti che - come il possesso di precedenti titoli di studio o professionali - non siano in alcun modo riconducibili a requisiti negativi di capacità o di merito. A tale diritto si ricollega altresì quello di aspirare a svolgere, sulla base del possesso di requisiti di idoneità, qualsiasi lavoro o professione, in un sistema che non solo assicuri la “tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni” (art. 35, primo comma, della Costituzione), ma consenta a tutti i cittadini di svolgere, appunto “secondo le proprie possibilità e la propria scelta”, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società (art. 4, secondo comma, della Costituzione): ciò che a sua volta comporta, quando l'accesso alla professione sia condizionato al superamento di un curriculum formativo, il diritto di accedere a quest'ultimo in condizioni di eguaglianza. Il diritto di studiare, nelle strutture a ciò deputate, al fine di acquisire o di arricchire competenze anche in funzione di una mobilità sociale e professionale, è d'altra parte strumento essenziale perché sia assicurata a ciascuno, in una società aperta, la possibilità di sviluppare la propria personalità, secondo i principi espressi negli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione” (C. Cost., 29 maggio 2002, n. 219).

Verrebbe meno, inoltre, ogni tutela al principio di effettività della tutela.

Se, difatti, sol per la complessità delle questioni dedotte (e la mancanza di collaborazione del MIUR che ha omesso di depositare gli atti di concorso), si volesse eliminare ogni possibilità, in concreto, di tutela cautelare, non potrà che convenirsi che verrebbe meno il principio di effettività della tutela.

La misura cautelare, peraltro, in tali casi, riesce ad allineare le posizioni facendo giungere, tutti, ammessi ed esclusi su quel singolo vizio, con la res adhuc integra sino al merito cosicchè, in ipotesi di accoglimento, si possa evitare l’annullamento consolidando, esclusivamente, la posizione dei ricorrenti o, al contrario, giungendo ad un annullamento che, comunque, coinvolga tutti e non solo gli ammessi. Ove si ritenga di annullare, dunque, esclusi (illegittimamente) e ammessi (anche essi illegittimamente) subiranno la stessa sorte grazie alla decisione, nelle more, di tale decisione.

La mancata concessione della cautelare, spostando a meriti lontani la delibazione, inoltre, incide, negativamente, sulla necessità che esista un controllo costante dell’agere dell’amministrazione in settori così sensibili facendo, progressivamente, venire meno l’interesse concreto all’azione dei soggetti lesi stante una prospettiva eccessivamente diluita nel tempo dell’esito del contenzioso. Il premio dell’effettività della tutela concretizzatosi nell’ammissione cui la giurisprudenza è approdata, pertanto, appare anche il frutto del ruolo di “sentinella” che l’ordinamento conferisce al cittadino concorrente senza il quale, probabilmente, mancherebbe qualunque controllo non solo da parte del G.A. ma anche da parte di altri organi a ciò deputati.

5.Com’è noto il G.A. ha mostrato, da ormai qualche decennio[24], non contestabile volontà ad accordare, su una particolare categoria di atti negativi, quale è quella dei dinieghi di ammissione ad un pubblico concorso, la tutela cautelare richiesta proprio nella forma dell’ammissione con riserva[25]. Trattasi di un orientamento conforme all’esigenza costituzionale di assicurare effettiva - e non effimera - tutela giurisdizionale agli interessi legittimi pretensivi anche nella fase cautelare del giudizio amministrativo[26], attraverso strumenti diversi e ampiamente eccedenti la pura e semplice paralisi degli effetti formali dell’atto impugnato (ormai legittimati dalla L. n. 205/2000), e quindi, innanzi tutto, attraverso l’imposizione all’amministrazione, con misure cautelari di tipo ordinatorio e propulsivo, di determinati comportamenti considerati necessari per la realizzazione della tutela giurisdizionale[27]

L’ammissione con riserva rappresenta, infatti, la trasposizione nell’ordinamento processuale di un istituto cautelare - tipico delle procedure concorsuali - già “esistente nell’ordinamento sostanziale, secondo cui l’ammissione con riserva di un candidato non è idonea a pregiudicare in alcun modo l’interesse dell’amministrazione, che sarebbe invece leso dalla mancata cautela laddove il ricorso risultasse poi fondato, perché ne deriverebbe la necessità della reiterazione dell’intero procedimento concorsuale”[28].

Avv. Santi Delia 

 



[1]È il caso, ad esempio, dell’Ateneo di Catania che, per la prima volta, dall’anno accademico 2010/11, ha imposto il numero programmato per ogni corso di laurea di ciascuna facoltà, da Giurisprudenza a Medicina, da Architettura a Scienze Politiche.

[2]L’art. 17, comma 116 della L. 15 maggio 1997, n. 127, ha modificato l’art. 9, comma 4, della L. 19 novembre 1990, n. 341 che, successivamente all’intervento del legislatore del 1997, così disponeva “Il Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica definisce, su conforme parere del CUN, i criteri generali per la regolamentazione dell'accesso alle scuole di specializzazione ed ai corsi universitari, anche a quelli per i quali l'atto emanato dal Ministro preveda una limitazione nelle iscrizioni”.

[3]T.A.R. Lazio, Sez. III, ord. 29 ottobre 1997, n. 2368 in G.U., prima serie speciale, 18 febbraio 1998, n. 7; ord. 22-29 ottobre 1997, n. 190 (reg. ord. di promovimento) in G.U., prima serie speciale, 1 aprile 1998, n. 13; ord. 22-29 ottobre 1997,  n. 323 (reg. ord. di promovimento) in G.U., prima serie speciale, 13 maggio 1998, n. 19; T.A.R. Liguria, Sez. II, ord. 18 dicembre 1997 - 29 gennaio 1998, n. 15/1998 in G.U., prima serie speciale, 20 maggio 1998, n. 20; ord. 18 dicembre 1997 - 29 gennaio 1998, n. 13/1998 in G.U., prima serie speciale, 27 maggio 1998, n. 21; T.A.R. Marche, Sez. I, 11-26 marzo 1998, nn. 440 e 441 in G.U., prima serie speciale, 10 giugno 1998, n. 23; T.A.R. Abbruzzo, Sez. I, 3 dicembre 1997, n. 621 in G.U., prima serie speciale, 1 aprile 1998, n. 13.

[4]Sentenza 23-27 novembre 1998, n. 383, in cortecostituzionale.it, www.cortecostituzionale.it.

[5]Legge 2 agosto 1999, n. 264, in G.U. 6 agosto 1999, n. 183, rubricata “Norme in materia di accessi universitari”.

[6]Art. 3, comma 1, lett. a), L. n. 264/99.

[7]Art. 3, comma 1, lett. b), L. n. 264/99.

[8]Cfr. art. 3, comma 2, L.n. 264/99, secondo cui la valutazione dell’offerta potenziale tiene conto “a) dei seguenti parametri: 1) posti nelle aule; 2) attrezzature e laboratori scientifici per la didattica; 3) personale docente; 4) personale tecnico; 5) servizi di assistenza e tutorato; b) del numero dei tirocini attivabili e dei posti disponibili nei laboratori e nelle aule attrezzate per le attività pratiche, nel caso di corsi di studio per i quali gli ordinamenti didattici prevedono l’obbligo di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, di attività tecnico-pratiche e di laboratorio; c) delle modalità di partecipazione degli studenti alle attività formative obbligatorie, delle possibilità di organizzare, in più turni, le attività didattiche nei laboratori e nelle aule attrezzate, nonché dell’utilizzo di tecnologie e metodologie per la formazione a distanza”.

[9]Senato Accademico o Consiglio di Amministrazione a seconda dello Statuto.

[10]Nel caso delle professioni sanitarie che, allo stato rappresentano la fetta più importante ove si consuma l’imbuto all’accesso, tale stima è proposta dal Ministero della Salute.

[11]Il condizionale è dovuto al fatto che, negli ultimi anni, i Decreti Ministeriali di definizione dei posti disponibili per ammissioni corso di laurea magistrale sono stati sovente adottatisenza che tale accordo fosse stato siglato e, quindi, anche se “alla data del presente decreto la rilevazione effettuata dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali ai sensi dell'art.6 ter del D.L.gs. n.502/1992 e successive modifiche non si è ancora tradotta in Accordo formale in sede di Conferenza per il rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome”, in ragione della “necessità di emanare il presente decreto per consentire la pubblicazione del bando di concorso da parte degli Atenei nel rispetto di quanto disposto dall'art.4, comma 1, della richiamata legge” così D.M. 3 luglio 2009, in G.U. 16 luglio 2009.

[12]Il c.d. Tavolo o Gruppo tecnico è insediato presso il Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca ai fini della programmazione dei corsi universitari e vi fanno parte i rappresentanti del Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, della Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome, del Comitato nazionale di valutazione del sistema universitario, dell'Osservatorio delle Professioni sanitarie, i Presidenti delle Conferenze dei Presidi delle Facoltà di Medicina e Chirurgia e di Medicina Veterinaria, della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri e della Federazione degli Ordini dei Veterinari Italiani.

[13]Deliberazione 21 aprile 2009, in bollettino AGCM n. 15/2009.

[14]Per il corrente anno accademico si veda D.M. 18 giugno 2010.

[15]È proprio su tale aspetto che il dibattito sembra essere più vivace attesto che, secondo molti, una prova così congegnata, risultando assai nozionistica, non riesce a selezione in maniera effettiva i migliori ed i più aspiranti al corso di laurea per cui si concorre.

[16]In merito alla contestazione della scelta del criterio di selezione fondato unicamente ed essenzialmente sulla prova espletata attraverso il sistema del quiz a risposta multipla la giurisprudenza ha per lo più avallato la scelta in tal senso indirizzata da parte ministeriale. La Legge, in particolare, nulla dice sul punto ragion per cui tale scelta è stata compiuta esclusivamente in sede amministrativa ricevendo, tuttavia, il placet del G.A. Tra le tante può ricordarsi il pensiero del T.A.R. Lazio, secondo cui “il metodo adoperato non sia obiettivamente illogico o inadeguato allo scopo, considerato il contesto particolare in cui esso va a collocarsi, nonché l'elevato numero dei candidati che debbono essere selezionati con metodi oggettivi, imparziali e rapidi. Per tali ragioni la suddetta doglianza è stata ritenuta del tutto infondata. A tal proposito è doveroso ricordare ancora una volta che il Legislatore con l'art. 4 della L. n. 264/1999 ha stabilito che l'ammissione ai corsi è disposta dagli atenei previo superamento di apposite prove di cultura generale, sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore, e di accertamento della predisposizione per le discipline oggetto dei corsi medesimi, con pubblicazione del relativo bando almeno sessanta giorni prima della loro effettuazione, garantendo altresì la comunicazione dei risultati entro i quindici giorni successivi all'espletamento delle prove stesse, senza che sia minimamente considerato ai fini dell'ammissione ai corsi universitari l'esito degli esami di maturità dei candidati” (Sez. III bis, 27 luglio 2005, n. 3061). Più recentemente si veda T.A.R. Lazio, Sez. III bis, 11 marzo 2009, n. 2443, secondo cui “la stessa legge, che disciplina una procedura selettiva basata su test a risposta multipla non può ritenersi in contrasto con la normativa comunitaria che contiene un mero obbligo di risultato consistente nella predisposizione di misure adeguate a garantire la qualità teorica e pratica dell’apprendimento lasciando liberi i singoli Stati di individuare gli strumenti giuridici più adatti per conseguirlo”.

[17]Una verrà somministrata e l’altra, invece, verrà usata ove dovesse verificarsi l’ipotesi di ripetizione della prova a seguito di eventuale annullamento di quella già celebrata. Si ricorderà, per il gran clamore mediatico che ne seguì, quanto accadde presso gli Atenei di Catanzaro e Bari durante le prove per l’accesso al Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia per l’anno accademico 2007/2008. A Catanzaro la prova venne ripetuta a seguito della denuncia del Rettore di Ateneo riguardante l’accertata manomissione  dei plichi nel giorno precedente l’esame. A Bari, invece, la prova già celebrata prima annullata dall’Ateneo, fu salvata dal T.A.R. e vennero solo esclusi alcuni studenti sorpresi ad usare apparecchi telefonici collegati con l’esterno. Tutt’ora a rischio annullamento, invece, sono le prove celebrate nel settembre 2010 presso gli Atenei di Firenze, ove si dimenticò di togliere dagli arredi di due aule di concorso la tavola periodica degli elementi chimici grazie alla quale i candidati ivi presenti avrebbero potuto trovare giovamento nella risoluzione di alcuni dei test somministrati, e Messina, ove i candidati vennero identificati sin dall’ingresso alla prova non solo mediante le proprie generalità ma anche attraverso l’abbinamento del codice segreto attribuito a ciascun candidato proprio al fine di garantire l’anonimato e la segretezza della prova. Su tali casi si veda in giurisprudenza T.A.R. Puglia, Bari,Sez. III, 26 ottobre 2007, n. 2636; T.A.R. Toscana, Firenze, Sez. I, 20 ottobre 2010, n. 927; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 23 ottobre 2010, n. 612.

[18]Statisticamente di poco conto, seppur evidentemente rilevanti per i singoli candidati sfortunatamente coinvolti, sono gli incidenti in fase di correzione. L’odierno meccanismo di selezione è, infatti, caratterizzatodalla peculiare situazione per cui esiste un solo elaborato in originale che viene consegnato dapprima alla Commissione di Ateneo, in seguito al CINECA per la correzione automatizzata, successivamente torna all’Ateneo ove viene abbinata all’anagrafica che sempre è rimasta in possesso della Commissione di Ateneo. Il candidato, dunque, avrà scarse possibilità di contestare la paternità dell’elaborato che la Commissione gli attribuirà giacchè assolutamente spuntati sono gli strumenti che questi ha a disposizione per contestare l’apposizione, o meno, di una crocetta sul proprio compito. Ove tuttavia il candidato si trovi innanzi ad evidenti errori nell’attribuzione del punteggio, potrà verificarne l’eventuale scambio della stessa con quella di altri concorrenti e, in tal caso, chiedere la rettifica del punteggio. Sul punto, proprio in punto di paternità dell’elaborato, si veda T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, ord. 23 febbraio 2010, n. 265; 19 luglio 2010, n. 931.

[19]A partire dal 2012, sempre che frattanto non si eserciti la delega contenuta nella c.d. riforma Gelmini, alla carriera scolastica verrà attribuito un peso di ben 10 punti ex art. 4 del D. Lvo. n. 21/2008. Per il corrente anno accademico (D.M. 18 giugno 2010), viceversa, tiene in considerazione il voto di diploma solo in termini assolutamente residuali. In caso di parità di voti, prevale in ordine decrescente, il punteggio attenuto dal candidato nella soluzione (rispettivamente) dei quesiti relativi agli argomenti di cultura generale e ragionamento logico, biologia, chimica, fisica e matematica. In caso di ulteriore parità a prevalere è il candidato con più alta votazione dell’esame di Stato conclusivo dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore e, in caso di ulteriore parità di voti, il più giovane anagraficamente.

[20]Tale metodo di selezione, unitamente alla prova selettiva, è solitamente usato in tutti gli Atenei privati. Questi, pur risultando vincolati in punto di istruttoria in merito al numero di ammissibili, godono di assoluta autonomia in relazione alle modalità di espletamento delle selezioni. L’esperienza, tuttavia, non sembra certo dare confortanti risultati circa l’idoneità di tale strumento quale correttivo degli esiti del test consistendo, invece, in un neanche troppo celato sistema di controllo degli ingressi presso tali prestigiosi Istituti di eccellenza. Tra i pochi riscontri in giurisprudenza, proprio sulla c.d. prova orale imposta da un Ateneo privato, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III bis, 12 gennaio 2011, n. 39, secondo cui “considerato che su tale collocazione ha influito il giudizio del “colloquio orale”redatto dall’apposita Commissione, il quale non appare privo di incongruenze laddove, in sede di “considerazioni e commenti”, si fa riferimento a difficoltà nella valutazione del ricorrente, in assenza di “informazione curriculare del ricorrente”, mentre questi ha documentato nella c.d. “scheda anagrafica del candidato”, il proprio percorso scolastico (maturità scientifica conseguita con 100/100 nell’a.s. 2009/2010), i titoli di studio conseguiti e la posizione dei propri familiari; Considerato peraltro che il giudizio della Commissione, nel valutare la personalità del ricorrente, ne accentua gli aspetti individualistici, in dissonanza con le note autobiografiche del ricorrente, nelle quali si riferisce dell’impegno di quest’ultimo “in azioni di volontariato svolte in modo non sporadico e l’avere dimostrato desiderio di aiutare il prossimo bisognoso o sofferente”.

[21]Cfr. art. 5, comma 1, lett. a), L.n. 264/99.

[22]Solo i più recenti, M.P. Garavaglia, disegno di legge n. 1943, in senato.it, www.senato.it, volto principalmente all’introduzione di una graduatoria unica nazionale; B.F. Fucci e altri, disegno di legge n. 220, in camera.it, www.camera.it, con il quale si mira all’introduzione di test di accesso effettuati in base a criteri che premino il merito e che la valutazione tenga conto della pregressa carriera scolastica.

[23]Ci si riferisce, in particolare, a quello, n. 2218, in camera.it, www.camera.it, dell’On.le P. Picierno, n. 2218,  con il quale, preso atto dell’assoluta inadeguatezza del metodo di selezione a mezzo test a risposta multipla anche in ragione della cronica incapacità della varie commissioni che, di anno in anno, vengono incaricate della redazione degli stessi, di riuscire a formularne 80 privi di errori, mancanze o imperfezioni e della necessità di eliminare tutti quei corsi di laurea c.d. “parcheggio” nell’attesa di poter ritentare il test che non si è riusciti a superare, si mira ad invertire la tendenza onerando gli Atenei a fornire essi, in primis, una più corretta e pronta risposta alla crescente domanda studentesca cui dovrà essere assicurato quello standard di insegnamento e nozioni imposto a livello comunitario. Tali obiettivi, secondo il disegno di legge, vanno perseguiti attraverso lo strumento dell’orientamento al fine di indirizzare gli studenti verso il percorso formativo più adatto alle loro inclinazioni e capacità personali. La prova selettiva, grazie alla fusione o all’uniformazione dei programmi di studio di spesso inutili corsi di laurea brevi trasformati in aree parcheggio di quello cui non si è riusciti ad accedere, è spostata alla fine del primo anno di corso e verte sugli insegnamenti in programma in tale anno e sui risultati al momento conseguiti. Per i corsi di area non medica le restrizioni di acceso sono invece sostituite dalla possibilità di negare l’iscrizione ad anni successivi prima del superamento di tutti gli insegnamenti previsti al primo.

[24]Si vedano, tra le altre, Cons. Stato, Sez. VI, ordd. 30 dicembre 1966, nn. 184 e 185; T.A.R. Lazio, Sez. III, ord. 7 marzo 1977, n. 93; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. III, ordd. 14 settembre 1993, n. 802 e 29 settembre 1993, n. 929; Cons. Stato, Sez. VI, ord. 28 settembre 1999, nn. 1769; T.A.R. Campania, Sez. VIII, ord. 8 ottobre 2007, n. 3234; T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, ordd. 24 ottobre 2007 nn. 479 e 480; Cons. Stato, Sez. VI, ord. 22 gennaio 2008, n. 293.

[25]Con le c.d. sospensive propulsive – anche attraverso il ricorso alla c.d. tecnica del remand– (figure che, in vero, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nonché la Corte costituzionale avevano già radicato nell’ambito del sistema materiale del nostro ordinamento processuale amministrativo alcuni anni addietro)(così C. Contessa, Tutela cautelare e diritto comunitario: spunti ricostruttivi di un rapporto difficoltoso, Roma, 2008, 4, commentando la sentenza C.G.E.,25 luglio 1991, C 221/89, Factorame I).

[26]Così come espressamente richiesto anche dalla Corte costituzionale con le note pronunce n. 284/74 e n. 8/1982.

[27]In tal senso, Cons. Stato, Ad. Plen., ord. n. 14/83, in motivazione.

[28]C. Cacciavillani, Giudizio amministrativo di legittimità e tutele cautelari, Padova, 2002, 197 ss.

Ultima modifica il 23 Novembre 2020