L’accertamento dell’idoneità fisica dell’insegnante può essere avviato prima del superamento dell’anno di prova.
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Il Tribunale Ordinario di Lanciano, in veste del Giudice del Lavoro, ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare dell’insegnante per essere rimasta assente dall’attività di lavoro stante l’inidoneità lavorativa. In esecuzione della sentenza ad oggi la nostra ricorrente non solo è stata sottoposta a nuova visita medica collegiale con esito positivo, ma ha ottenuto la reintegra sul posto di lavoro e l’assegnazione alle differenti mansioni amministrative sino a nuovo accertamento medico.

La ricorrente dopo aver sottoscritto il contratto di assunzione a tempo indeterminato ed essere stata sottoposta a visita di accertamento medica veniva assegnata a mansioni alternative per due anni. Allo scadere del periodo indicato dalla Commissione medica, nonostante le numerose richieste, la dirigente scolastica reputava di non dover richiedere nuovo accertamento medico e chiedeva la prestazione lavorativa all’insegnate nonostante la non verifica delle idoneità fisica e nonostante le note condizioni di salute della stessa. L’insegnante veniva licenziata per non aver prestato servizio.

In giudizio il Ministero difendeva l’operato del Dirigente scolastico in forza del dato letterale dell’articolo 3 del DPR 171/2011 e di precedenti giurisprudenziali, secondo cui la verifica dell’idoneità al servizio può essere attivata solo al termine del superamento del periodo di prova; per il Ministero quindi non sussisteva alcun obbligo per il dirigente scolastico di recepire le istanze avanzate dall’insegnante, ossia di procedere al giudizio di revisione della inidoneità della predetta.

Il Giudice del Lavoro di Lanciano accogliendo la tesi del nostro studio legale proponeva una interpretazione sistematica della richiamata disposizione: “a fronte di tale argomento testuale ben possono opporsi, però, alcune considerazioni derivanti da una lettura sistematica della normativa in questione con le altre preesistenti e sopravvenute. Invero, nonostante l’art 3 citato preveda un obbligo per il datore di lavoro di avviare la procedura di accertamento dell’inidoneità del dipendente che abbia superato il periodo di prova, esso non prevede contestualmente un divieto di avviare tale procedura per i lavoratori che tale periodo non abbiano compiuto. Ne discende che per tali lavoratori il datore di lavoro ha sicuramente facoltà di avviare siffatto accertamento, come del resto è stato fatto, nel caso di specie, sia nel 2017 che nel 2018, dai precedenti dirigenti scolastici”.

Ed ancora si legge nella decisione: “Peraltro, la normativa richiamata dal Ministero resistente a sostegno della propria tesi deve necessariamente armonizzarsi con il principio fondamentale sancito dall’art. 2087 (esteso alle pubbliche amministrazioni dall’art. 2093 c.c.) per cui il datore di lavoro, pubblico o privato, deve adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti. Le stesse considerazioni devono svolgersi in relazione alla possibilità di proroga del periodo di prova, che deve ritenersi consentita al dirigente scolastico sia in base al disposto dell’art. 438 D.Lvo 297/94, sia in forza dei pregressi provvedimenti adottati dai dirigenti scolastici che l’avevano preceduta, che in considerazione delle persistenti condizioni di salute della ricorrente”.

Il comportamento tenuto dal dirigente scolastico, a detta del Giudice del Lavoro, non può che configurare un vero e proprio inadempimento ai doveri di verifica ed accertamento delle condizioni di salute di parte ricorrente.

Il Tar del Lazio accoglie le tesi del militare in materia di sanzioni disciplinari e detta i criteri da applicarsi per l’irrogazione delle stesse
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Con ricorso depositato, dallo studio Bonetti – Delia & Partners, innanzi il TAR Lazio, sede di Roma, si impugnava l’irrogazione della sanzione disciplinare di tre giorni di consegna per il militare per la presunta violazione dell’articolo 1517 del Codice dell’Ordinamento Militare (COM).

Il TAR adito motiva l’annullamento della sanzione impugnata ripercorrendo i criteri che l’Amministrazione deve adottare in materia disciplinare.

In primis il ricorrente deduceva la violazione del principio di tempestività dell’azione amministrativa.

L’articolo 1398 cod. ord. mil. stabilisce che “Il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo (...) a) dalla conoscenza dell’infrazione (...)”.

Il Collegio precisa che “La concreta portata della locuzione “senza ritardo” è stata chiarita dalla giurisprudenza, la quale ha avuto modo di affermare che il lasso di tempo intercorrente tra il fatto e la contestazione deve essere valutato in concreto, tenuto conto degli elementi caratterizzanti le singole fattispecie, nel rispetto della regola di ragionevole prontezza nella contestazione degli addebiti, da valutarsi in relazione alla gravità della violazione e complessità degli accertamenti preliminari e dell’intera procedura (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1296). Tale N. 02838/2021 REG.RIC. regola “postula il contemperamento dell’esigenza dell’Amministrazione ‘di valutare con ponderazione il comportamento dell’incolpato sotto il profilo disciplinare’ con quella di evitare che ‘un’eccessiva distanza di tempo dai fatti possa rendere più difficile per l’inquisito l’esercizio del diritto di difesa’ (Cons. Stato, sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1779)” (così Cons. Stato, Sez. II, 12 ottobre 2020 n. 6058)”.

Per giustificare l’apertura del procedimento disciplinare dopo un lungo lasso temporale l’Amministrazione avrebbe avuto l’onere di indicare il momento in cui ha conosciuto il comportamento ascritto al ricorrente, ma nel caso analizzato è stato provato come la conoscenza dello stesso è stata immediata e quindi alcuna giustificazione può esserci nel lungo lasso temporale decorso: “D’altro canto, i principi posti a fondamento delle discipline sanzionatorie, penale e disciplinare, poggiano anche sulla valutazione del fattore temporale: maggiore è la distanza tra il fatto contestato e l’irrogazione della sanzione, meno incisiva sarà la valenza della stessa, sia dal punto di vista dell’autore del fatto che dei consociati, con affievolimento delle finalità special-preventive e general-preventive che le sanzioni mirano a perseguire”.

Anche le ulteriori censure inerenti il procedimento posto in essere dall’Amministrazione sono state accolte dal TAR Lazio che ha statuito non solo che la sanzione disciplinare irrogata fosse sproporzionata, ma che l’Amministrazione nell’applicazione dell’istituto c.d. della recidiva (facendo riferimento alla sanzione del rimprovero irrogata nell’anno 2015) non abbia agito legittimamente omettendo addirittura di considerare l’ottimo comportamento tenuto dal militare nel decorso del tempo; l’applicazione dell’istituto della recidiva non deve essere automatica, ma deve contemperare il caso concreto.

Tanto si legge nella motivazione della decisione.

Secondo l’avviso del Collegio, la motivazione sopra richiamata non può ritenersi adeguata, in quanto l’Amministrazione ha omesso di approfondire le specifiche circostanze della condotta del ricorrente, valorizzando il profilo della sola ritenuta violazione formale, il quale non appare di per sé sufficiente a giustificare la N. 02838/2021 REG.RIC. sanzione irrogata. 7.3. Un ulteriore profilo di difetto di istruttoria e di motivazione emerge con riguardo al profilo della ritenuta recidiva rispetto a un precedente episodio analogo, sanzionato nel 2015 con il rimprovero. 7.3.1. Al riguardo, occorre rilevare che l’articolo 1355, comma 3, lett. d), prevede che siano punite con maggior rigore le infrazioni ricorrenti con carattere di recidività e che l’articolo 1361, comma 1, lett. b), contempla effettivamente la sanzione della consegna in caso di recidiva nelle mancanze già sanzionate con il rimprovero.

Occorre tuttavia osservare che l’applicazione delle disposizioni in tema di recidiva non deve avvenire in modo meccanico, irrogando automaticamente la sanzione della consegna in qualunque caso di reiterazione di un comportamento precedentemente punito con il rimprovero, in quanto l’Amministrazione non può esimersi dalla considerazione delle circostanze del caso concreto.

Nella fattispecie in esame, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare attentamente se ritenere sussistente in punto di fatto una “infrazione ricorrente con carattere di recidività”, ai sensi dell’articolo 1355, comma 1, lett. d), considerando che il secondo comportamento censurato risale a circa tre anni dopo il primo, che la nuova sanzione è stata irrogata a cinque anni di distanza dalla prima e che, nel frattempo, il ricorrente – secondo quanto dallo stesso affermato e non contestato dall’Amministrazione – ha chiesto e ottenuto più volte l’autorizzazione per lo svolgimento di analoghe esibizioni; circostanze, queste, che non risultano essere state prese in considerazione”.

La sentenza ottenuta ripercorrendo i precedenti giurisprudenziali in materia, riporta i principi cardini in materia di procedimenti disciplinari che non possono essere disattesi neanche dall’Amministrazione e soprattutto quando ad un ufficiale viene irrogata una delle più gravi sanzioni di corpo che ne ha inficiato addirittura la credibilità nei confronti dei superiori e dei sottoposti.

IL CONSIGLIO DI STATO ACCOGLIE IL RICORSO IN APPELLO E CONDANNA IL MINISTERO A SVELARE I DOCUMENTI SUL CONCORSO TEST DI MEDICINA
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Il T.A.R. Lazio si è pronunciato in merito ai quiz somministrati ai 60.000 aspiranti ai corsi di Medicina e Odontoiatria del settembre 2021 statuendone la correttezza. Pertanto gli appellanti agivano in giudizio contro il MUR per l’accesso ai documenti relativi ai procedimenti di determinazione dell’offerta normativa al predetto corso di laurea.

Il giudice di prime cure si pronunciava negativamente in merito alla richiesta di ostensione avanzata dagli allora ricorrenti fondando la propria statuizione sulla mancata dimostrazione del «nesso di “strumentalità” necessario affinché si configuri l’interesse conoscitivo che sta alla base degli artt. 22 e ss. L. n. 241/1990»; più nello specifico, ad avviso del giudice amministrativo non era evincibile «la necessaria corrispondenza» tra l’«ampia documentazione richiesta» e l’«esigenza difensiva» ad essa relativa, prospettata dai ricorrenti in modo generico». In riferimento al citato “nesso di strumentalità” v’è da considerare che debba accettarsi una nozione ampia di strumentalità, volta alla finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale e non meramente emulativo o potenziale, connesso alla disponibilità dell'atto o del documento del quale si richiede l'accesso, non imponendosi che l'accesso al documento sia unicamente e necessariamente strumentale all'esercizio del diritto di difesa in giudizio, ma ammettendo che la richiamata "strumentalità" va intesa in senso ampio in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante.

Ebbene, i Giudici di Palazzo Spada, nella sentenza di accoglimento, riconoscono la circostanza secondo la quale i ricorrenti avevano esposto chiaramente il loro interesse alla loro istanza di accesso. Invero i giudici di secondo grado rinvengono nelle aspiranti matricole la presenza del requisito essenziale sotteso all’attivazione della procedura di cui all’art. 22 e ss. della L. 241/1990 cioè un interesse immediato diretto e specifico rispetto all’ostensione della documentazione richiesta, andando pertanto a smantellare quanto a fondamento della tesi del TAR che invece, faceva leva su una prospettazione generica dell’interesse conoscitivo a base delle istanze di accesso agli atti.

 

Il Consiglio di Stato, accogliendo l’appello proposto dagli Avvocati Michele Bonetti e Santi Delia, founders dello Studio Legale Bonetti & Delia, ha invece riformato la sentenza del T.A.R. Lazio condannando il Ministero all’ostensione della documentazione richiesta sottolineando che “non può essere negata la necessità di acquisire i documenti relativi al procedimento di predisposizione della prova di ingresso da loro sostenuta senza esito, in relazione alla evidente strumentalità di tale documentazione rispetto i motivi di impugnazione già svolti da ciascuno nei rispettivi contenziosi promosse contro la medesima prova. Per altro verso non può essere addossata agli stessi ricorrenti, in funzione impeditiva dell’accesso, l’alea dei contenziosi da essi promossi e consistente nell’idoneità della documentazione amministrativa richiesta a consentire loro di dimostrare l’ammissibilità e la fondatezza dei motivi di impugnazione dedotti, ai fini dell’utile collocazione in graduatoria”.

ASN: Tar Lazio, criterio del primo ultimo nome non sempre sufficiente a motivare apporto individuale del candidato
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Cade uno dei criteri più noti alla comunità scientifica per la verifica dell’apporto individuale nelle pubblicazioni con più autori.

Come è noto, e come anche nella procedura di abilitazione scientifica nazionale per Professore di prima fascia sottoposta al T.A.R. Lazio era avvenuto, “ai fini della valutazione verrà tenuto conto del criterio della proprietà intellettuale dei lavori presentati (authorship) basata sulla posizione del nome del candidato fra gli autori della pubblicazione; in particolare primo, ultimo (o co-primo dichiarato nel lavoro) o autore corrispondente”.

In ricorso, tuttavia, si era sostenuto che non sempre tale criterio rappresenta una corretta bussola di sistema giacché, anche attraverso altri indici, l’autore può dimostrare il suo contributo rilevante smentendo quello ordinariamente utilizzato.

Il T.A.R. ha aderito a tale tesi. “Orbene, pur ammettendosi che il “posizionamento” del contributo possa assumere, nei giudizi della Commissione, valenza sintomatica dell’apporto dell’autore nei lavori in collaborazione, ai sensi dell’articolo 4 lettera b) del regolamento, deve tuttavia escludersi che la Commissione possa addivenire ad un giudizio complessivo sfavorevole sulle pubblicazioni sulla base di quest’unico parametro, specie se il contributo dell’autore è comunque individuabile attraverso diversi criteri”.

Se, come siamo riusciti a dimostrare in giudizio, “il contributo individuale del ricorrente è oggettivamente accertabile anche in quelle pubblicazioni nelle quali lo stesso non risulta collocato secondo l’ordine previsto nel criterio elaborato” dalla Commissione, ben può il Giudice Amministrativo annullare tale valutazione.

Rileva al riguardo che se «il primo nome, l’ultimo nome e il c.d. “corrisponding” costituiscono di norma i soggetti che contribuiscono in modo preponderante alla stesura di un lavoro scientifico è però anche vero che, in certi casi, l’anzidetta suddivisione non rispecchia effettivamente l’apporto di ogni autore»; in queste ipotesi particolari la “stessa pubblicazione scientifica – che com’è noto è sempre sottoposta a referaggio da parte di soggetti terzi – si preoccupa di precisare il ruolo che ogni autore ha avuto nel lavoro in collaborazione”. Ne consegue che, per lo meno in tali casi, per valutare il rilievo del contributo di ogni autore, non avrebbe significato la “collocazione” dello stesso all’interno dei lavori in collaborazione.

T.A.R. Lazio, Sez. IV, 27 aprile 2022.

Concorso per titoli ed esami per il reclutamento di n. 1409 allievi finanzieri. Il TAR del Lazio riammette il candidato vincitore.
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L’Amministrazione aveva disposto l’esclusione del ricorrente (che aveva superato tutte le fasi concorsuali) dal concorso per non aver rispettato “la tempistica stabilita dal Centro di Reclutamento” per l’inoltro della documentazione medica integrativa.

Nonostante il candidato si fosse attivato in tempo utile per l’inoltro della documentazione medica richiesta dal Centro di Reclutamento, questa veniva consegnata il giorno successivo a quello indicato sulla lettera di richiesta.

L’Amministrazione procedeva con l’esclusione del candidato senza alcuna preventiva comunicazione limitandosi a rilevare l’arrivo fuori termine e ciò nonostante il giorno in cui si riuniva la Commissione per la verifica della detta documentazione questa fosse in suo possesso.

Il TAR accoglieva il ricorso rilevando in primis che al ricorrente non veniva contestata la mancanza dei requisiti medici e che non possono pesare sullo stesso difficoltà dell’Amministrazione.

Il candidato difatti, una volta ricevuta la richiesta del Centro di Reclutamento si attivava immediatamente per ottenere il certificato ed inoltrava ben due raccomandate (consegnate con ritardo) ed una pec non pervenuta per motivi tecnici dell’Amministrazione.

Nella sentenza del TAR si legge testualmente: “È, pertanto, illegittimo ed illogico che il ricorrente debba subire le conseguenze negative di un’attività rimessa al gestore del servizio postale: un principio ribadito dalla Corte Costituzionale, ad avviso della quale “sebbene sia sempre possibile delineare, in materia di responsabilità per danni causati agli utenti del servizio postale, una disciplina speciale ispirata a criteri più restrittivi di quella ordinaria, in rapporto alla complessità tecnica della gestione del servizio ed all’esigenza del contenimento dei costi, tuttavia la carenza di siffatta disciplina della responsabilità del gestore del servizio è in grado di tradursi in un privilegio, privo di connessione con obiettive caratteristiche del servizio e, perciò, lesivo, al tempo stesso, del canone di ragionevolezza e del principio di eguaglianza garantiti dall’articolo 3 della Costituzione (sentenza n. 254 del 2002)” (cfr. sentenza 11 febbraio 2011, n. 46)”.

Rilevava la difesa come ad essere violati siano stati i principi di buona amministrazione e buona andamento e nonché i principi costituzionali di cui  agli art.li 1, 2 e 97 della Costituzione che si concretizzano non solo nel principio c.d. del principio di favor partecipationis, ma anche in quello della tassatività delle cause di esclusione e di ragionevolezza.

Ingresso al corso di Studi in Medicina e Chirurgia. Il TAR ordina all’Amministrazione di inserire il ricorrente in graduatoria.
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Attraverso una domanda di urgenza, il nostro Studio Legale è riuscito a ottenere una pronuncia favorevole da parte dei Giudice della Terza Sezione del TAR del Lazio, volta al reinserimento nella graduatoria nazionale di Medicina e Chirurgia di uno studente figurante come “rinunciatario”, in quanto sostanzialmente decaduto dalla graduatoria.

La questione è nata quando il giovane ricorrente non riusciva ad effettuare tutte le procedure burocratiche necessarie ai fini dell’immatricolazione nell’arco temporale di 4 giorni a causa di una condizione medica che proprio in quella settimana lo costringeva ad essere sottoposto a delicate cure familiari.

Per tale ragione, una volta accortosi che il sistema informatico aveva rubricato la sua posizione quale rinunciatario, attraverso un meccanismo automatico che, quindi, gli impediva di immatricolarsi, si rivolgeva al nostro Studio Legale per la cura dei propri interessi.

Il Collegio, nel valutare la questione ha ritenuto determinante la condizione dello studente che, a causa della propria condizione medica, era impossibilitato a svolgere le operazioni burocratiche necessarie ai fini dell’immatricolazione. A tal proposito il Giudice ha rilevato che la predetta condizione medica costituisse un impedimento oggettivo tale da poter giustificare il ritardo nella procedura di immatricolazione.

In sostanza, grazie a tale impedimento oggettivo comprovato dalla documentazione depositata in atti, è stato possibile evitare gli effetti dirimenti della rinuncia, intervenuta per un automatico meccanismo del sistema informatico.

Commenta l’Avvocato Michele Bonetti, founder dello Studio Legale Bonetti & Delia: “trattasi di una pronuncia molto importante perché il Giudice ha ritenuto dirimente la presenza di un concreto impedimento oggettivo che non ha consentito al ricorrente di espletare nel lasso temporale concessogli, le operazioni necessarie per il perfezionamento dell’immatricolazione presso l’Ateneo indicato. Tale pronuncia testimonia una apertura giurisprudenziale su un terreno particolarmente complesso. Altro aspetto interessante evidenziato dal Collegio è la differenza tra gli incombenti richiesti per la mera conferma di interesse e l’immatricolazione. Nonostante la diversità con la conferma di interesse, e la relativa decadenza in caso di omissione, non può non ribadirsi l’apertura del TAR su questi aspetti formali da cui scaturiscono dei veri e propri mutamenti e cambiamenti di vita dei giovani e delle loro famiglie, incidenti, anche, sui diritti costituzionali”.

Anche alla luce della più recente giurisprudenza – sempre negativa sul punto in primo grado – il reinserimento in graduatoria del ricorrente è motivo di grande orgoglio e soddisfazione, e testimonia l’impegno profuso dal nostro Studio nell’analisi della controversia.

In allegato si rimette l’ordinanza favorevole.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con la sentenza n. 13294/2021 pubblicata in data, 21.12.2021 ha ritenuto illegittimo il comportamento della Regione Lazio ed in particolare della Asl Roma 2 per errata valutazione del servizio prestato all’estero o presso organismi internazionali valutabili nei titoli di carriera di una partecipante al concorso difesa dall’Avv. Michele Bonetti, founder dello studio Bonetti & Delia.

Nello specifico, la nostra ricorrente partecipando ad un bando di concorso per titoli ed esami, aveva inserito nella domanda il servizio prestato all’estero ed il servizio svolto per Organizzazioni Internazionali per un totale di 36 mesi al fine di renderli oggetto di valutazione titoli, così come previsto dal bando. L’amministrazione tuttavia non li tenne in considerazione in sede di esame,  escludendo che il servizio svolto potesse essere considerato come “titolo”, ma altresì come “curriculum formativo” con conseguente decurtazione del relativo punteggio ed adducendo come giustificazione che “Le domande di ammissione al concorso … devono essere indirizzate e presentate …all'amministrazione competente ... entro il termine perentorio di giorni trenta dalla data di pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.
La ricorrente era di fatto in possesso del requisito poiché attendeva da oltre due anni la conclusione della procedura di validazione iniziata addirittura nel marzo 2017 e portata a termine solo dopo il termine di scadenza della presentazione delle domande.

Il Collegio del TAR del Lazio accogliendo la tesi dell’Avv. Michele Bonetti ha sancito in maniera chiara e cristallina che “Non si possono imputare al cittadino i ritardi nell’Amministrazione nel concludere i procedimenti per i quali, peraltro, sono previsti termini precisi e stringenti proprio a tutela del privato. Di rilievo è quindi che il possesso sostanziale del titolo già al momento della presentazione della domanda, pur se l’iter burocratico, iniziato oltre un anno prima, non si è concluso a quella data, senza alcuna responsabilità della ricorrente”
Il Collegio giudicante ha inoltre ritenuto si sanzionare il comportamento della ASL interessata “non  ha fatto buon governo della normativa di settore nella valutazione dei titoli”, poiché il servizio prestato all’estero deve essere valutato come “titoli di carriera” con l’attribuzione di 1 punto per ogni anno, e non come “curriculum formativo e professionale” come valutato dall’amministrazione con il punteggio di 0,5.

L’atto di individuazione del candidato idoneo” va riformulato “con obbligo di motivare i rinnovati giudizi in relazione ai rilievi espressi dal collegio nella trattazione delle censure che sono state ritenute fondate”.

La graduatoria è da rifare! È questo l’arresto cui è giunto il TAR Perugia, pronunciatosi con sentenza breve sul ricorso patrocinato dagli Avv. ti Michele Bonetti e Santi Delia, chiamati a difendere la posizione di un candidato escluso per una manciata di punti dalla procedura di reclutamento epigrafata, costata la perdita dell’ambito posto da ricercatore.

“Nonostante la distanza di 3,75 dal primo candidato ritenuto vincitore”, commentano gli Avv.ti Bonetti e Delia, “abbiamo evidenziato in ricorso gli errori commessi dalla Commissione tanto in fase preparatoria e di fissazione dei criteri quanto nel momento applicativo. In particolare abbiamo provato ad evidenziare l’illegittimità dei voti numerici espressi senza alcuna corrispondenza con gli stessi criteri predeterminati dalla Commissione anche in ragione dei maggiori valori di impact factor vantati dal nostro ricorrente”.

Dello stesso avviso si è mostrato il TAR, che con motivazione invero assai partecipata – prendendo le mosse proprio dalle argomentazioni difensive prospettate dai legali –  ha rilevato come “nel caso di specie, come condivisibilmente rilevato dal ricorrente, la commissione si è limitata a formulare giudizi ricorrendo alla mera espressione del punteggio numerico, ma la mera correlazione dei punteggi (da 1 a 6) a giudizi sintetici (sufficiente, discreto, buono, distinto, ottimo, eccellente), in mancanza di coerenti valutazioni preliminari, non consente di apprezzare la logicità degli esiti cui è infine giunta la commissione”, non senza chiarire  che “dai punteggi assegnati dalla commissione non si evince il rilievo assegnato nella valutazione delle pubblicazioni scientifiche dei candidati – della produzione scientifica complessiva così come delle singole pubblicazioni presentate – agli indicatori bibliometrici di cui all’art. 3 del d.m. 243/2011” ed ancora che “l’attribuzione del punteggio numerico a seguito della discussione delle pubblicazioni e dei titoli, prevista dalla lett. c) del comma 2 dell’art. 24 della legge n. 240/2010, può ritenersi sufficiente per la ricostruzione ex post delle motivazioni delle valutazioni espresse dalla commissione a condizione che sia preceduta dalla valutazione preliminare che consenta di verificare la coerenza di detto punteggio rispetto al profilo di studioso ricostruito dalla commissione per ciascun candidato”.

“A fronte delle numerose discrasie emerse, che appalesano l’arbitrarietà delle operazioni di valutazione compiute dalla Commissione”, chiosano gli Avvocati Bonetti e Delia, “l’auspicio è che il riesame possa render giustizia ad un profilo scientifico di tutto rilievo, sacrificato probabilmente in ragione di un generico richiamo alla discrezionalità tecnica, di cui notoriamente gode ogni commissione esaminatrice, che non deve tramutarsi in arbitrio tale da render legittima ogni scelta dell’amministrazione a tutto discapito del merito”.

Il nuovo obbligo di comunicazione preventiva introdotto dal Decreto Fiscale
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Con L’art. 13 della legge n. 215/2021 in vigore dal 21 dicembre 2021, (cd. “Decreto Fiscale”) ai fini del contrasto del lavoro irregolare e per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, è stato introdotto l’obbligo di comunicazione preventiva all’ispettorato territoriale del lavoro da parte del datore di lavoro, per tutte le prestazioni di lavoro autonomo occasionale.

La legge di conversione, dispone, in caso di violazione di quanto sopra descritto, l’applicazione di una sanzione amministrativa da 500 a 2.500 euro in relazione a ciascun lavoratore autonomo occasionale per cui è stata omessa o ritardata la comunicazione. Le modalità di tale comunicazione preventiva sono analoghe alle modalità operative previste per il “lavoro intermittente”. La comunicazione preventiva dovrà essere effettuata dal committente tramite sms o tramite posta elettronica, all’ispettorato del lavoro competente per territorio, e dovranno essere forniti i dati del committente, del lavoratore, i rispettivi codici fiscali e data di inizio e data di fine del periodo in cui viene svolta la prestazione di lavoro.

Con il decreto entrano in vigore anche nuove cause di sospensione dell’attività imprenditoriale. In particolare, l’Ispettorato nazionale del lavoro quando riscontra che almeno il 10% dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro risulti occupato, al momento dell’accesso ispettivo, senza preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro, può adottare un provvedimento di sospensione. Inoltre, tale sanzione può essere erogata anche quando rileva che i lavoratori sono inquadrati come autonomi occasionali, ma in assenza delle condizioni richieste dalla normativa (art. 13, comma 1, lettera d).
Per tutto il periodo di sospensione è fatto divieto all’impresa di contrattare – oltre che con la pubblica amministrazione – anche con le stazioni appaltanti, come definite dal codice dei contratti pubblici, di cui al D.lgs. n. 50/2016. Viene anche specificato che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere la retribuzione e a versare i relativi contributi ai lavoratori interessati dall’effetto del provvedimento di sospensione.

Con sentenza del 9 novembre 2021 il TAR del Lazio, Sez. III Bis, Presidente Giuseppe Sapone, Estensore Silvia Piemonte, ha accolto il ricorso di un candidato che aveva presentato la propria candidatura nella procedura per l’abilitazione scientifica nazionale, accogliendo la tesi dell’Avv. Michele Bonetti, founder dello Studio Bonetti&Delia.
Il giudizio finale era privo di supporto motivazionale, riportando “la qualificazione scientifica della candidata non è in linea con quanto richiesto dall’art. 3, comma 2, lettera b) del DM 120/2016” La genericità di tale affermazione contenuta nel giudizio collettivo non può essere letta quale sintesi dei giudizi individuali, che sono volti comunque ad una migliore e più ampia lettura del giudizio finale, esplicitandone le motivazioni. Tuttavia, nel caso di specie, i giudizi individuali non erano richiamati in alcun modo e restavano sullo sfondo di un giudizio finale particolarmente tranchant. La motivazione del provvedimento amministrativo è finalizzata a ricostruire l’iter logico della volontà dell’Amministrazione. Il giudizio in questione era privo delle ragioni che avevano portato la Commissione ad una data conclusione. I giudizi individuali evidenziavano, com’è nel diritto dei singoli Commissari, aspetti diversi negativi e positivi, ma che non confluivano nel giudizio finale.
Il giudizio collettivo impugnato è stato così annullato per violazione dell’art.3 della legge 241 del 1990 e, più nello specifico, dell’art. 3 del D.M. n. 120 del 2016.
Pertanto, per il difetto di motivazione degli atti impugnati, il ricorso veniva accolto con annullamento del provvedimento di diniego dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, con l’ordine di esaminare la posizione del ricorrente da parte di una Commissione in diversa composizione entro 90 giorni.