Dipendenti pubblici: la Corte di Cassazione ribadisce che per il superamento dei 36 mesi per i contratti a termine, non è richiesta la continuità dei periodi contrattuali.

La Corte di Appello di Salerno con decisione n. 645/2018 riformava la decisione di primo grado, del Tribunale Ordinario di Nocera Inferiore, che riconosceva il diritto del dipendente di una P.A. ad ottenere il risarcimento dei danni per aver prestato attività lavorativa (tramite la stipula prima di contratti a progetto e poi di contratti a tempo determinato) per oltre 12 anni.

In particolare il ricorrente rappresentava di aver lavorato per conto del Comune dal dicembre 2005 al 30 giugno 2008 con contratti a progetto e poi dal dicembre 2009 al 2012, con contratti a termine che erano stati prorogati addirittura dopo la pubblicazione della decisione del Giudice di Primo grado di condanna, ossia sino al 2017.

Difatti in primo grado al dipendente non solo veniva riconosciuta l’indennità risarcitoria ex art. art. 32, co. 5, della Legge n. 183/2010, nella misura di 7 mensilità, ma le differenze retributive e previdenziali, per tutto l’arco lavorativo.

La Corte di Appello di Salerno, attraverso una reinterpretazione dell’istruttoria riformava in toto la decisione di primo grado asserendo, addirittura, che ai fini della dichiarazione di illegittimità dei contratti a termine per l’abuso degli stessi, vi deve essere continuità temporale tra i contratti sottoscritti. Secondo i Giudici della sezione lavoro, della Corte di Appello di Salerno al fine del superamento dei 36 mesi vi è la necessità della continuità temporale tra i contratti sottoscritti al fine di accertare l’abuso da parte della P.A. dei contratti a termini.

Con la decisione n. 2877/2023 la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito chiaramente invece che per il superamento del limite dei 36 mesi non è richiesta la continuità temporale: “L’art. 5 comma 4 bis del d.lgs. 368/2001 si applica dunque nell’impiego pubblico privatizzato e nel periodo che qui rileva, con riferimento al limite all’assunzione con una successione di contratti a tempo determinato per un periodo superiore a 36 mesi.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 11374/2016, hanno inoltre chiarito che la stipula in successione tra loro di contratti a tempo determinato nel rispetto della disciplina di cui al d.lgs. 368 del 2001 e successive integrazioni, è legittima, dovendosi ritenere la normativa nazionale interna non in contrasto con la clausola n. 5 dell’Accordo Quadro, recepito nella Direttiva n. 1999/70/CE atteso che l’ordinamento italiano e, in specie, l’art. 5 del d.lgs. 368/2001, come integrato dall’art. 1, commi 40 e 43, della legge n. 247 del 2007, impone di considerare tutti i contratti a termine stipulati tra le parti, a prescindere dai periodi di interruzione tra essi intercorrenti, inglobandoli nel calcolo della durata massima di 36 mesi”.

Per la Corte di Cassazione “Ai fini del superamento del limite di 36 mesi, non è dunque richiesta la continuità dei periodi, intesa come mancanza di interruzioni e dunque la Corte d’Appello, richiedendo un tale requisito ha errato, essendo sufficiente il superamento del limite temporale, almeno nel contesto della medesima vicenda di precariato”.

 

La Suprema Corte di Cassazione ha affermato tale principio che la Corte di Appello di Salerno, a cui la causa è stata rimessa per la quantificazione della detta indennità, aveva immotivatamente disatteso.