Il TAR accoglie ancora i ricorsi sul riconoscimento dei titoli esteri. Ne parliamo il 14 aprile 2025 con illustri esperti della materia
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Mentre il MIM continua a rigettare le istanze di riconoscimento dei titoli esteri dei docenti di sostegno e continua a temporeggiare sui percorsi INDIRE, il TAR Lazio continua a riconoscere le ragioni dei ricorrenti, accogliendone le domande cautelari.

Il TAR Lazio, differentemente dall’Amministrazione, si riporta nuovamente ai principi dell’Adunanza Plenaria in materia facendo riferimento alla necessità di una comparazione esaustiva del percorso formativo per garantire coerenza con i principi europei sul riconoscimento dei titoli professionali.

Il G.A., inoltre, conferma che l’Amministrazione debba compiere una valutazione effettiva e non superficiale, che prenda in considerazione la formazione svolta dai ricorrenti e le esperienze lavorative maturate negli ambiti di riferimento del titolo.

“La lunga e complessa questione del riconoscimento dei titoli esteri per l’esercizio della professione docente in Italia è da tempo al centro della nostra dell’attenzione” commenta l’Avvocato Bonetti, founder dello Studio Legale Bonetti & Delia. “Il TAR ha confermato, come già accaduto in altre circostanze, la validità delle posizioni degli insegnanti, che attualmente solo attraverso le azioni giudiziarie riescono a vedere tutelati i loro diritti e le loro posizioni lavorative".

Sul punto in data 14 aprile 2025, dalle ore 13:30 alle ore 16:30, l’Avv. Michele Bonetti sarà relatore nel seminario “Diritto e Giustizia nell'Unione Europea: strumenti di tutela e accesso alla giustizia per i cittadini ripercorsi attraverso la vicenda del riconoscimento dei titoli esteri”, insieme ad altri illustri colleghi.

Per L’iscrizione all’evento è possibile compilando il link https://forms.gle/HWtb8xvEDHNignia7 o tramite il QR code riportato nella locandina allegata.

Accesso al Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica: il bando è illegittimo. Ammessi i ricorrenti.
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Il TAR dell’Aquila con ordinanza n. 62/2025 ha accolto il ricorso degli studenti che chiedevano l’immatricolazione al Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica presso l’Università degli Studi dell’Aquila.

In particolare, l’iscrizione al corso di laurea Magistrale in Psicologia Clinica veniva subordinata alla partecipazione ad una procedura di valutazione del curriculum. Pertanto, i ricorrenti venivano esclusi dal corso di laurea ambito esclusivamente in virtù della durata del percorso di studi triennale e dei voti conseguiti in alcuni esami, criterio che veniva censurato nel ricorso.

Si censurava, altresì, la presenza di posti rimasti liberi e non coperti.

L’Ateneo da un lato ha previsto una modalità di selezione che stride con quella che dovrebbe essere una naturale prosecuzione del percorso di studi, essendo gli studenti tutti in possesso di una laurea triennale,dall’altro latonel prevedere tale tipo di modalità accesso, ha completamente stravolto la disciplina prevista ai sensi della legge 264 del 1999, discostandosi dai dettami in materia di accesso programmato e prevedendo modalità di accesso assolutamente illegittime.

Fulcro della decisione del TAR è proprio l’accoglimento del motivo di diritto in cui si contestavano le modalità di accesso ai corsi di laurea in parola.

In particolare il Collegio statuiva che “l’accesso ai corsi per i quali è prevista la programmazione presuppone il previo superamento di apposite prove da intendersi quali esami di verifica della preparazione del candidato e tali prove non sono surrogabili, come invece avvenuto nella presente vicenda, attraverso il ricorso ad altre tipologie di selezione quale la valutazione del curriculum”.

Il TAR dunque ha ritenuto sussistere il pericolo di un danno grave e irreparabile in ragione dell’interesse dei ricorrenti ad evitare ulteriori ripercussioni negative sul proprio percorso di studi, constatando altresì una chiara violazione del principio meritocratico e del diritto allo studio costituzionalmente garantito.

La decisione del TAR segna un'altra vittoria per lo Studio Legale degli Avv.ti Michele Bonetti e Santi Delia sul tema del diritto allo studio.

“L’ammissione dei ricorrenti al corso di laurea ambito ci riempie di soddisfazione” commenta l’Avv. Michele Bonetti che ha patrocinato la causa.“Gli ostacoli imposti dall’Amministrazione, attraverso la predisposizione di una procedura di selezione illegittima, sono stati arginati con caparbietà e convinzione dal nostro studio legale, che ha sin dall’inizio riconosciuto la gravità della lesione subita dai ricorrenti”.

 

 

Riscatto ai fini pensionistici. Il TAR dichiara il diritto del ricorrente a riscattare gratuitamente gli anni di laurea e condanna il Ministero della Difesa alle spese legali.
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Il TAR per la Basilicata con sentenza n. 139/2025 del 25 febbraio 2025 si è pronunciato sull’accertamento del diritto a riscattare gratuitamente gli anni di laurea ai sensi dell’art. 32 DPR n. 1092/1973.

In particolare il ricorrente chiedeva all’Amministrazione il riconoscimento dei 5 anni della durata legale del Corso di Laurea in Ingegneria Civile.

La norma oggetto del contenzioso, rubricata “Studi superiori richiesti agli ufficiali”, recita che “nei confronti degli ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laureasi computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi.”

Dunque, al fine di poter far valere il diritto al riscatto degli anni di laurea ai fini pensionistici, bisogna possedere la qualifica di ufficiali in servizio permanente effettivo per la cui relativa nomina viene richiesta la laurea.

Nonostante il possesso dei requisiti richiesti, l’Amministrazione non riconosceva il diritto del ricorrente al riscatto ai fini pensionistici. Secondo l’Amministrazione, la disposizione in esame sarebbe “applicabile solo ai nuovi arruolati” e non anche agli Ufficiali del disciolto Corpo Forestale dello Stato che siano transitati nell’Arma dei Carabinieri a decorrere dal 1° gennaio 2017.  

Tale interpretazione è stata smentita dal TAR Potenza che nel confermare quanto da noi riprodotto nel ricorso introduttivo e richiamando plurime pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato si è uniformato al recente orientamento giurisprudenziale.

Infatti, si ritiene che “l’espressione “ufficiali” di cui all’art. 32 cit. sia da intendere come riferita anche agli ufficiali del Corpo Forestale che, ancorché non militari, abbiano acquisito la qualifica nell’Amministrazione di provenienza in forza di un concorso per il quale era richiesta la laurea, questa essendo la condizione imposta dalla norma.” (Cons. Stato Sent. 28 dicembre 2021 n. 8680; TAR Parma Sent. n. 170 del 15.6.2022; TAR Brescia Sent. n. 1036 del 27.10.2022; TAR Molise, 12 gennaio 2022, n. 477/2022)

La disposizione in esame, nel riferirsi agli “ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea” non opera alcun distinguo circa il ruolo di provenienza dell’Ufficiale.

La presente sentenza ha esteso l’applicazione del predetto art. 32 DPR n. 1092/1973 anche agli ufficiali del soppresso Corpo Forestale dello Stato, transitati in data 1.1.2017 nell’Arma dei Carabinieri, che ai sensi dell’art. 18 comma 11, D. g.vo n. 177/2016 conservano il regime di quiescenza dell’ordinamento di provenienza, in quanto pur se prima dell’1.1. 2017 non erano militari, ma come il ricorrente erano stati nominati Ufficiali, per la cui nomina era necessario il possesso del diploma di laurea, dopo il transito nell’Arma dei Carabinieri stabilito dal citato D.Lg.vo n. 177/2016, sono diventati Ufficiali militari in servizio permanente effettivo, anche perché sono laureati, specificando che il suddetto art. 32 DPR n. 1092/1973 va applicato, ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, D.L. n. 694/1982 conv. nella L. n. 881/1982, se il diploma di Laurea è stato considerato ai fini dei successivi sviluppi di carriera.

 

 

 

 

 

Riscatto ai fini pensionistici. Il TAR dichiara il diritto del ricorrente a riscattare gratuitamente gli anni di laurea e condanna il Ministero della Difesa alle spese legali.
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Il TAR per la Basilicata con sentenza n. 139/2025 del 25 febbraio 2025 si è pronunciato sull’accertamento del diritto a riscattare gratuitamente gli anni di laurea ai sensi dell’art. 32 DPR n. 1092/1973.

In particolare il ricorrente chiedeva all’Amministrazione il riconoscimento dei 5 anni della durata legale del Corso di Laurea in Ingegneria Civile.

La norma oggetto del contenzioso, rubricata “Studi superiori richiesti agli ufficiali”, recita che “nei confronti degli ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laureasi computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi.”

Dunque, al fine di poter far valere il diritto al riscatto degli anni di laurea ai fini pensionistici, bisogna possedere la qualifica di ufficiali in servizio permanente effettivo per la cui relativa nomina viene richiesta la laurea.

Nonostante il possesso dei requisiti richiesti, l’Amministrazione non riconosceva il diritto del ricorrente al riscatto ai fini pensionistici. Secondo l’Amministrazione, la disposizione in esame sarebbe “applicabile solo ai nuovi arruolati” e non anche agli Ufficiali del disciolto Corpo Forestale dello Stato che siano transitati nell’Arma dei Carabinieri a decorrere dal 1° gennaio 2017.  

Tale interpretazione è stata smentita dal TAR Potenza che nel confermare quanto da noi riprodotto nel ricorso introduttivo e richiamando plurime pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato si è uniformato al recente orientamento giurisprudenziale.

Infatti, si ritiene che “l’espressione “ufficiali” di cui all’art. 32 cit. sia da intendere come riferita anche agli ufficiali del Corpo Forestale che, ancorché non militari, abbiano acquisito la qualifica nell’Amministrazione di provenienza in forza di un concorso per il quale era richiesta la laurea, questa essendo la condizione imposta dalla norma.” (Cons. Stato Sent. 28 dicembre 2021 n. 8680; TAR Parma Sent. n. 170 del 15.6.2022; TAR Brescia Sent. n. 1036 del 27.10.2022; TAR Molise, 12 gennaio 2022, n. 477/2022)

La disposizione in esame, nel riferirsi agli “ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea” non opera alcun distinguo circa il ruolo di provenienza dell’Ufficiale.

La presente sentenza ha esteso l’applicazione del predetto art. 32 DPR n. 1092/1973 anche agli ufficiali del soppresso Corpo Forestale dello Stato, transitati in data 1.1.2017 nell’Arma dei Carabinieri, che ai sensi dell’art. 18 comma 11, D. g.vo n. 177/2016 conservano il regime di quiescenza dell’ordinamento di provenienza, in quanto pur se prima dell’1.1. 2017 non erano militari, ma come il ricorrente erano stati nominati Ufficiali, per la cui nomina era necessario il possesso del diploma di laurea, dopo il transito nell’Arma dei Carabinieri stabilito dal citato D.Lg.vo n. 177/2016, sono diventati Ufficiali militari in servizio permanente effettivo, anche perché sono laureati, specificando che il suddetto art. 32 DPR n. 1092/1973 va applicato, ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, D.L. n. 694/1982 conv. nella L. n. 881/1982, se il diploma di Laurea è stato considerato ai fini dei successivi sviluppi di carriera.

 

 

 

 

 

Il TAR per la Basilicata con sentenza n. 139/2025 del 25 febbraio 2025 si è pronunciato sull’accertamento del diritto a riscattare gratuitamente gli anni di laurea ai sensi dell’art. 32 DPR n. 1092/1973.

In particolare il ricorrente chiedeva all’Amministrazione il riconoscimento dei 5 anni della durata legale del Corso di Laurea in Ingegneria Civile.

La norma oggetto del contenzioso, rubricata “Studi superiori richiesti agli ufficiali”, recita che “nei confronti degli ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laureasi computano tanti anni antecedenti alla data di conseguimento di detto titolo di studio quanti sono quelli corrispondenti alla durata legale dei relativi corsi.”

Dunque, al fine di poter far valere il diritto al riscatto degli anni di laurea ai fini pensionistici, bisogna possedere la qualifica di ufficiali in servizio permanente effettivo per la cui relativa nomina viene richiesta la laurea.

Nonostante il possesso dei requisiti richiesti, l’Amministrazione non riconosceva il diritto del ricorrente al riscatto ai fini pensionistici. Secondo l’Amministrazione, la disposizione in esame sarebbe “applicabile solo ai nuovi arruolati” e non anche agli Ufficiali del disciolto Corpo Forestale dello Stato che siano transitati nell’Arma dei Carabinieri a decorrere dal 1° gennaio 2017.  

Tale interpretazione è stata smentita dal TAR Potenza che nel confermare quanto da noi riprodotto nel ricorso introduttivo e richiamando plurime pronunce dei TAR e del Consiglio di Stato si è uniformato al recente orientamento giurisprudenziale.

Infatti, si ritiene che “l’espressione “ufficiali” di cui all’art. 32 cit. sia da intendere come riferita anche agli ufficiali del Corpo Forestale che, ancorché non militari, abbiano acquisito la qualifica nell’Amministrazione di provenienza in forza di un concorso per il quale era richiesta la laurea, questa essendo la condizione imposta dalla norma.” (Cons. Stato Sent. 28 dicembre 2021 n. 8680; TAR Parma Sent. n. 170 del 15.6.2022; TAR Brescia Sent. n. 1036 del 27.10.2022; TAR Molise, 12 gennaio 2022, n. 477/2022)

La disposizione in esame, nel riferirsi agli “ufficiali per la cui nomina in servizio permanente effettivo sia stato richiesto il possesso del diploma di laurea” non opera alcun distinguo circa il ruolo di provenienza dell’Ufficiale.

La presente sentenza ha esteso l’applicazione del predetto art. 32 DPR n. 1092/1973 anche agli ufficiali del soppresso Corpo Forestale dello Stato, transitati in data 1.1.2017 nell’Arma dei Carabinieri, che ai sensi dell’art. 18 comma 11, D. g.vo n. 177/2016 conservano il regime di quiescenza dell’ordinamento di provenienza, in quanto pur se prima dell’1.1. 2017 non erano militari, ma come il ricorrente erano stati nominati Ufficiali, per la cui nomina era necessario il possesso del diploma di laurea, dopo il transito nell’Arma dei Carabinieri stabilito dal citato D.Lg.vo n. 177/2016, sono diventati Ufficiali militari in servizio permanente effettivo, anche perché sono laureati, specificando che il suddetto art. 32 DPR n. 1092/1973 va applicato, ai sensi dell’art. 2, ultimo comma, D.L. n. 694/1982 conv. nella L. n. 881/1982, se il diploma di Laurea è stato considerato ai fini dei successivi sviluppi di carriera.

 

 

 

 

 

Abilitazione scientifica nazionale di seconda fascia – il Tar Lazio dispone la rivalutazione del giudizio di non idoneità carente di una adeguata motivazione
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L'abilitazione scientifica nazionale richiede il possesso cumulativo di tutti i requisiti previsti dall'art. 6, d.m. n. 120/2016 (ossia l'essere in possesso di almeno tre titoli tra quelli scelti dalla Commissione; ottenere una valutazione positiva dell'impatto della produzione scientifica attestata dal possesso da parte del candidato di parametri, in almeno due indicatori, almeno pari ai valori soglia determinati per il settore concorsuale dal d.m. n. 589/2018; presentare pubblicazioni, ai sensi dell'art. 7 del d.m. n. 120/2016, valutate in base ai criteri di cui all'art. 4 del sopra citato decreto e giudicate complessivamente di qualità "elevata"; cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV, 18/01/2022, n.552).

A sua volta, l’art. 4 del d.m. n. 120/2016 dispone che “La Commissione valuta le pubblicazioni scientifiche presentate dai candidati ai sensi dell'articolo 7, secondo i seguenti criteri: a) la coerenza con le tematiche del settore concorsuale o con tematiche interdisciplinari ad esso pertinenti; b) l'apporto individuale nei lavori in collaborazione; c) la qualità della produzione scientifica, valutata all'interno del panorama nazionale e internazionale della ricerca, sulla base dell'originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo; d) la collocazione editoriale dei prodotti scientifici presso editori, collane o riviste di rilievo nazionale o internazionale che utilizzino procedure trasparenti di valutazione della qualità del prodotto da pubblicare; e) il numero e il tipo delle pubblicazioni presentate nonché la continuità della produzione scientifica sotto il profilo temporale; f) la rilevanza delle pubblicazioni all'interno del settore concorsuale, tenuto conto delle specifiche caratteristiche dello stesso e dei settori scientifico-disciplinari ricompresi”.

Va quindi affermato che, come ogni fattispecie normativa rivolta a conformare l’espressione di giudizi da parte di organi amministrativi ai fini di procedure di tipo idoneativo, anche il procedimento di abilitazione scientifica nazionale di cui al d.m. 120/2016 si fonda sulla formazione di giudizi di valore che integrano la realizzazione dell’interesse pubblico all’accertamento in capo al candidato, di quelle determinate qualità soggettive che sono presupposte al titolo da conseguire.

Il ricorrente impugnava il proprio giudizio di “non idoneità” rilevando come questo non fosse sostenuto da una adeguata e coerente motivazione.

Difatti nel caso di specie, veniva superato il requisito inerente all’impatto della produzione scientifica, avendo superato i valori soglia indicati dalla commissione così come il possesso dei titoli avendo il ricorrente ottenuto il riconoscimento di 8 titoli su 9.

La valutazione del candidato era più che positiva, ma non otteneva l’abilitazione in maniera del tutto contraddittoria ed immotivata.

Il TAR del Lazio con decisione pubblicata in data 19 febbraio 2025 accoglieva le censure del candidato rilevando in primis che “l'accertamento delle qualità soggettive di un candidato non può prescindere da un giudizio prognostico circa l'attitudine dell'esaminato a svolgere determinate funzioni che deve venire desunta da presupposti obiettivi (caratterizzati, nel caso di specie, dall'esame del valore scientifico delle relative pubblicazioni). Il relativo esito può essere censurato o per vizi formali di procedimento, che cioè inducano a ritenere che il "processo" valutativo non si sia compiuto in maniera da consentire un apprezzamento trasparente (per premesse e conclusioni), anche ai fini della necessaria dimostrazione di imparzialità dell'organo; o per vizi di contenuti, laddove si denunci una contraddittorietà intrinseca tra premesse (oggetto di valutazione) ed esito (giudizio vero e proprio)”.

Ed ancora precisava il Collegio di prime cure: “l'esegesi dei criteri guida contenuti nelle disposizioni indicate deve rifuggire da ogni formalismo, dovendosi avere riguardo all'effettivo assetto di interessi che il procedimento di abilitazione conduce ad affermare, secondo un criterio funzionale che consenta di verificare se - al di là delle formule espressive utilizzate nella motivazione - il giudizio di idoneità sia stato correttamente condotto o meno (e dunque sia stata correttamente affermata la non coincidenza del profilo del candidato con lo schema normativo presupposto), pur tenendo sempre presente che il referente finale di tale valutazione, ossia la “maturità scientifica” di cui l’aspirante deve dimostrare di avere il possesso, è definito (non da un parametro giuridico normativo, ma) dal grado e dal tipo di sapere che la comunità scientifica attribuisce a quel determinato livello di insegnamento e ricerca.”.

Il collegio accoglieva il ricorso rilevando che l’analisi delle motivazioni espresse dalla Commissione non consentiva di evincere quali fossero i presupposti (che costituiscono elementi di fatto, non di giudizio) che l’hanno indotta ad escludere la collocazione dei contributi del ricorrente in riviste di rilievo.

I giudizi (tanto quello collegiale quanto i singoli rilievi individuali che sono conformi) si limitavano ad “affermare” che le riviste sulle quali i contributi erano stati pubblicati non possiedono la necessaria rilevanza; affermazione che dunque non spiega quanto deduce il ricorrente il quale– senza alcuna replica specifica da parte dell’Avvocatura – evidenzia 4 relazioni scientifiche pubblicate su riviste ed effettuava una serie di allegazioni documentali atti ad evidenziare il difetto di presupposti fattuali per il giudizio di non abilitazione.

Così argomentando il Collegio disponeva quindi la rivalutazione della domanda di abilitazione scientifica presentata dal candidato.

Abilitazione scientifica nazionale di seconda fascia – il Tar Lazio dispone la rivalutazione del giudizio di non idoneità carente di una adeguata motivazione
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L'abilitazione scientifica nazionale richiede il possesso cumulativo di tutti i requisiti previsti dall'art. 6, d.m. n. 120/2016 (ossia l'essere in possesso di almeno tre titoli tra quelli scelti dalla Commissione; ottenere una valutazione positiva dell'impatto della produzione scientifica attestata dal possesso da parte del candidato di parametri, in almeno due indicatori, almeno pari ai valori soglia determinati per il settore concorsuale dal d.m. n. 589/2018; presentare pubblicazioni, ai sensi dell'art. 7 del d.m. n. 120/2016, valutate in base ai criteri di cui all'art. 4 del sopra citato decreto e giudicate complessivamente di qualità "elevata"; cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez. IV, 18/01/2022, n.552).

A sua volta, l’art. 4 del d.m. n. 120/2016 dispone che “La Commissione valuta le pubblicazioni scientifiche presentate dai candidati ai sensi dell'articolo 7, secondo i seguenti criteri: a) la coerenza con le tematiche del settore concorsuale o con tematiche interdisciplinari ad esso pertinenti; b) l'apporto individuale nei lavori in collaborazione; c) la qualità della produzione scientifica, valutata all'interno del panorama nazionale e internazionale della ricerca, sulla base dell'originalità, del rigore metodologico e del carattere innovativo; d) la collocazione editoriale dei prodotti scientifici presso editori, collane o riviste di rilievo nazionale o internazionale che utilizzino procedure trasparenti di valutazione della qualità del prodotto da pubblicare; e) il numero e il tipo delle pubblicazioni presentate nonché la continuità della produzione scientifica sotto il profilo temporale; f) la rilevanza delle pubblicazioni all'interno del settore concorsuale, tenuto conto delle specifiche caratteristiche dello stesso e dei settori scientifico-disciplinari ricompresi”.

Va quindi affermato che, come ogni fattispecie normativa rivolta a conformare l’espressione di giudizi da parte di organi amministrativi ai fini di procedure di tipo idoneativo, anche il procedimento di abilitazione scientifica nazionale di cui al d.m. 120/2016 si fonda sulla formazione di giudizi di valore che integrano la realizzazione dell’interesse pubblico all’accertamento in capo al candidato, di quelle determinate qualità soggettive che sono presupposte al titolo da conseguire.

Il ricorrente impugnava il proprio giudizio di “non idoneità” rilevando come questo non fosse sostenuto da una adeguata e coerente motivazione.

Difatti nel caso di specie, veniva superato il requisito inerente all’impatto della produzione scientifica, avendo superato i valori soglia indicati dalla commissione così come il possesso dei titoli avendo il ricorrente ottenuto il riconoscimento di 8 titoli su 9.

La valutazione del candidato era più che positiva, ma non otteneva l’abilitazione in maniera del tutto contraddittoria ed immotivata.

Il TAR del Lazio con decisione pubblicata in data 19 febbraio 2025 accoglieva le censure del candidato rilevando in primis che “l'accertamento delle qualità soggettive di un candidato non può prescindere da un giudizio prognostico circa l'attitudine dell'esaminato a svolgere determinate funzioni che deve venire desunta da presupposti obiettivi (caratterizzati, nel caso di specie, dall'esame del valore scientifico delle relative pubblicazioni). Il relativo esito può essere censurato o per vizi formali di procedimento, che cioè inducano a ritenere che il "processo" valutativo non si sia compiuto in maniera da consentire un apprezzamento trasparente (per premesse e conclusioni), anche ai fini della necessaria dimostrazione di imparzialità dell'organo; o per vizi di contenuti, laddove si denunci una contraddittorietà intrinseca tra premesse (oggetto di valutazione) ed esito (giudizio vero e proprio)”.

Ed ancora precisava il Collegio di prime cure: “l'esegesi dei criteri guida contenuti nelle disposizioni indicate deve rifuggire da ogni formalismo, dovendosi avere riguardo all'effettivo assetto di interessi che il procedimento di abilitazione conduce ad affermare, secondo un criterio funzionale che consenta di verificare se - al di là delle formule espressive utilizzate nella motivazione - il giudizio di idoneità sia stato correttamente condotto o meno (e dunque sia stata correttamente affermata la non coincidenza del profilo del candidato con lo schema normativo presupposto), pur tenendo sempre presente che il referente finale di tale valutazione, ossia la “maturità scientifica” di cui l’aspirante deve dimostrare di avere il possesso, è definito (non da un parametro giuridico normativo, ma) dal grado e dal tipo di sapere che la comunità scientifica attribuisce a quel determinato livello di insegnamento e ricerca.”.

Il collegio accoglieva il ricorso rilevando che l’analisi delle motivazioni espresse dalla Commissione non consentiva di evincere quali fossero i presupposti (che costituiscono elementi di fatto, non di giudizio) che l’hanno indotta ad escludere la collocazione dei contributi del ricorrente in riviste di rilievo.

I giudizi (tanto quello collegiale quanto i singoli rilievi individuali che sono conformi) si limitavano ad “affermare” che le riviste sulle quali i contributi erano stati pubblicati non possiedono la necessaria rilevanza; affermazione che dunque non spiega quanto deduce il ricorrente il quale– senza alcuna replica specifica da parte dell’Avvocatura – evidenzia 4 relazioni scientifiche pubblicate su riviste ed effettuava una serie di allegazioni documentali atti ad evidenziare il difetto di presupposti fattuali per il giudizio di non abilitazione.

Così argomentando il Collegio disponeva quindi la rivalutazione della domanda di abilitazione scientifica presentata dal candidato.

Studenti – sanzioni disciplinari - il consiglio di stato sospende la sanzione di 13 giorni di allontanamento dall’ambiente scolastico irrogato dal consiglio di classe e dichiara l’improcedibilità
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A seguito di una manifestazione dal carattere politico due diversi gruppi politici studenteschi si scontravano sull’opportunità del contenuto di alcuni manifesti affissi. Il Dirigente Scolastico, convocava alcuni studenti per essere sentiti sui fatti occorsi ed il giorno successivo il Consiglio di Classe comminava la sanzione di allontanamento dall’ambiente scolastico per 13 giorni.

Gli studenti ricorrevano innanzi la Giustizia Amministrativa instaurando diversi procedimenti.

Il ricorrente rappresentato dallo studio legale Michele Bonetti & Partners deduceva in particolare la violazione della normativa in materia di procedimento disciplinare che aveva comportato la violazione del loro diritto di difesa, nonché la sproporzione della sanzione rispetto ai fatti verificatisi e per come provati, che oltretutto consisteva nella massima sanzione applicabile e codificata per fatti ben diversi da quelli oggetto di audizione.

Il ricorrente lamentava altresì che il Consiglio di Classe avesse deliberato non nella sua composizione più ampia, ma senza un rappresentante degli studenti e uno dei genitori.

Il TAR del Lazio inizialmente rigettava, in via cautelare, la richiesta avanzata, ma il Consiglio di Stato con decreto monocratico riformava il provvedimento di primo grado e sospendeva gli atti impugnati.

Il Consiglio di Stato così motivava la scelta: “L’addebito disciplinare ascritto all’appellante dall’Istituto scolastico presenta oggettiva gravità, in quanto potenzialmente idoneo ad incidere su valori condivisi della convivenza all’interno della comunità educativa, nel quadro dell’autonomia valutativa riservata alle istituzioni didattiche titolari dei poteri sanzionatori”.

Difatti la sproporzione tra i fatti e la sanzione di allontanamento dall’ambiente scolastico rendeva quest’ultima meramente punitiva e priva della finalità educativa che in ogni caso l’Istituzione scolastica è tenuta a perseguire. Oltretutto così agendo l’Istituto scolastico limitava il diritto di critica politica dello studente interessato dalla sanzione nonché violava il principio di terzietà e quello di equità considerando che non tutti i soggetti coinvolti nei fatti occorsi divenivano destinatari della detta sanzione disciplinare.

Come se non bastasse allo studente veniva preclusa la possibilità di ricorrere all’Organo Amministrativo superiore, ossia al Consiglio di Garanzia, in quanto i membri dello stesso venivano rinnovati dopo l’irrogazione della detta sanzione, con violazione anche del principio Giudice naturale precostituito per legge.

Il decreto, veniva poi superato con successiva ordinanza cautelare, sempre del Consiglio di Stato, e così perdeva efficacia. Il Consiglio di Stato su richiesta dell’appellante decideva esclusivamente, previa verbalizzazione anticipata con memoria rituale, sulla preliminare questione di improcedibilità per carenza di interesse o in via subordinata per cessazione della materia del contendere. Difatti l’appellante, che aveva nelle more scontato due giorni di sospensione, aveva nel frattempo ottenuto un nulla osta per il trasferimento presso altro Istituto scolastico privo di alcuna riserva, vincolo o condizione. Tale ultima circostanza rendeva il provvedimento impugnato non automaticamente estensibile al nuovo Istituto scolastico con la conseguente, sopravvenuta, carenza di interesse, fatti salvi eventuali successivi provvedimenti adottati dal nuovo Istituto scolastico “che potranno essere autonomamente impugnati”. Così con la detta ordinanza si dichiarava l’improcedibilità dell’appello.

Diversamente decideva il Collegio di secondo grado in merito agli ulteriori e diversi giudizi incardinati rilevando come in tale caso il provvedimento della scuola fosse coerente ed in linea con il Regolamento disciplinare dell’Istituto scolastico interessato.

TAR LAZIO: Il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale in virtù del principio del libero convincimento del giudice. Accolto il ricorso che censurava l’ambiguità della domanda di inglese.
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Il TAR del Lazio haaccolto il ricorso proposto da una ricorrente esclusa dal concorso indetto dal Ministero per gli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale per il reclutamento di 381 assistenti amministrativi per non aver superato la prova scritta.

In particolare, la candidata con ricorso patrocinato dallo studio legale Bonetti & Delia lamentava l’illegittimità di un quesito di lingua inglese, estremamente ambiguo per la presenza di una pluralità di risposte corrette, tra le quali quella prescelta dalla candidata, ritenuta erronea dalla commissione di concorso.

Al fine di avvalorare la tesi della ambiguità del quesito la ricorrente produceva in atti una perizia tecnica al fine di dimostrare l’errore di fatto in cui era incorsa la Commissione nel corso della redazione e correzione dei questi.

In ragione di ciò, il TAR del Lazio, ha accolto il ricorso riconoscendo l’ambiguità della domanda rilevando comela ricorrente “abbia adeguatamente dimostrato ciò per mezzo della consulenza tecnica di parte agli atti, giacché fondata su solide basi argomentative e suffragata da sicuri riferimenti a fonti qualificate.”

Inoltre, mediante tale provvedimento, il Collegio ha preso posizione sulla ammissibilità della perizia di parte al fine del convincimento del giudice nei giudizi aventi ad oggetto il sindacato delle valutazioni tecnico/discrezionali dell’Amministrazione.

Il TAR del Lazio, difatti, afferma che: “Il giudice del merito può porre a fondamento della propria decisione una perizia stragiudiziale, anche se contestata dalla controparte, purché fornisca adeguata motivazione di tale sua valutazione, attesa l'esistenza, nel vigente ordinamento, del principio del libero convincimento del giudice”.

 

Anni Successivi al primo: Il TAR Torino ammette il candidato escluso al III anno di corso.
Pubblicato in La voce del diritto

Il TAR Torino si è pronunciato su un ricorso, patrocinato dallo Studio Legale Bonetti & Delia, proposto da un ricorrente che era stato escluso dalla procedura per il trasferimento ad anni successivi al primo di Medicina e Chirurgia nonostante fosse già laureato in Odontoiatria presso lo stesso Ateneo.

Con un articolato ricorso, era stata evidenziata l’illogicità della procedura che si limitava a valutare ai fini dell'ammissione solo alcuni specifici esami – individuati dal bando - e non tutta la carriera pregressa del candidato nella sua interezza. Tale illogicità risultava inoltra manifesta dalla circostanza che gli esami non valutati ai fini dell’ammissione sarebbero stati comunque convalidati successivamente all’immatricolazione.

Il TAR piemontese, preso atto della irragionevolezza dei criteri di valutazione ha ritenuto meritevole di accoglimento la pretesa del ricorrente, soprattutto tenendo conto del bilanciamento tra i pericula contrapposti. In particolare, il G.A. ha ritenuto dovesse prevalere l’interesse del ricorrente ad essere ammesso a frequentare le lezioni universitarie degli anni di corso fino al terzo piuttosto che l’interesse dell’Università a non far accedere ai corsi di studio studenti in eccedenza rispetto al numero chiuso.

Inoltre, nel caso esaminato era stato evidenziato come in ragione dell’arbitrario restringimento dei criteri di selezione dei candidati fossero rimasti liberi diversi posti e come tale circostanza si ponga in contrasto con le finalità pubbliche della programmazione legata al fabbisogno di professionisti sanitari.