La riforma nasce durante il Governo Letta (d.d.l. AC 1542), ma è solo con il Governo Renzi che ha “visto la luce”, venendo approvata tramite “maxi-emendamento” governativo ed apposizione della questione di fiducia per tagliare i tempi del dibattito parlamentare. Essa prefigura un’azione in tre tempi: 1) riorganizzazione territoriale e strutturale delle Province; 2) istituzione delle Città Metropolitane, che acquisiscono funzioni e territorio delle Province; 3) definitiva soppressione di queste ultime, che vengono sostituite dal nuovo ente metropolitano. Queste tre fasi sono le stesse che erano previste nel d.l. spending review, e sono ora riproposte nella legge in esame in quanto il giudice delle leggi, nella pronuncia poc’anzi richiamata, ha chiarito che non è consentito il ricorso alla decretazione d’urgenza per riformare organicamente il sistema degli enti locali. La Corte Costituzionale, nella medesima occasione, ha anche affermato, con un obiter dictum, che la soppressione dell’ente provinciale può avvenire solo con una legge di revisione costituzionale. Per questo, parallelamente alla riforma Delrio, è stato presentato, allo scopo, il d.d.l. cost. n. AS 1429 (preceduto dal d.d.l. cost. AC 1543, poi abbandonato).
Gli obiettivi perseguiti. Il principale obiettivo perseguito è – o dovrebbe essere – quello di un incremento dell’efficienza del sistema di governo locale, incidendo sul c.d. “livello intermedio” (o “secondario”, o “di area vasta”), quello, cioè, che si colloca tra il Comune e la Regione. Da decenni, infatti, si denuncia l’incoerenza territoriale e funzionale delle Province, istituite, al tempo, sulla base di criteri meramente storico-culturali e politici. Tale obiettivo viene perseguito, come già accennato, sopprimendo l’ente provinciale e mettendo al suo posto un altro ente, la Città Metropolitana, che acquisisce del primo territorio e funzioni. Accanto a tale obiettivo principale ne viene perseguito un altro, “secondario” rispetto allo “spirito della riforma” ma non certo per importanza: quello della riduzione della democraticità degli organi di Governo intermedio, annunciato dal Presidente del Consiglio E. Letta nella relazione di presentazione del d.d.l. cost. AC 1543. L’ex Primo Ministro, infatti, affermò in quell’occasione che il livello di governo di area vasta sarebbe stato «chiaramente collocato in una visione funzionale più ad una razionale e coerente organizzazione dell’attività dei comuni insistenti sul territorio che non ad un livello di democrazia locale espressione della comunità metropolitana». Tale obiettivo è stato perseguito prevedendo che il Consiglio provinciale e quello metropolitano saranno composti unicamente da membri non direttamente eletti, ovverosia da alcuni tra i consiglieri comunali o tra i sindaci dei Comuni afferenti alla Provincia/Città Metropolitana eletti dagli stessi consiglieri e sindaci (commi 19, 20, 25, 58, 60, 67 e 69, articolo unico).
Il primo tempo. Come poc’anzi accennato, la prima fase (o “primo tempo”) della riforma prevede una riorganizzazione complessiva dell’ente provinciale, sancita soprattutto di commi 51-100. Quanto alle funzioni, i commi 85 e 86 assegnano alle Province l’esercizio di quelle relative a: pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; gestione dell'edilizia scolastica; controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale; cura dello sviluppo strategico del territorio e gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo; cura delle relazioni istituzionali con province, province autonome, regioni, regioni a statuto speciale ed enti territoriali di altri Stati, con esse confinanti e il cui territorio abbia caratteristiche montane, anche stipulando accordi e convenzioni con gli enti predetti. A norma del comma 88, «la Provincia può altresì, d’intesa con i comuni, esercitare le funzioni di predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive». A ciò si aggiunga che «lo Stato e le regioni, secondo le rispettive competenze, attribuiscono le funzioni provinciali diverse da quelle di cui al comma 85» (comma 89). Le Regioni, infine, possono riconoscere in capo alle Province «forme particolari di autonomia nelle materie di cui al predetto articolo 117, commi terzo e quarto, della Costituzione» (comma 52). Quanto al territorio, la ridefinizione dei confini provinciali è solo eventuale ed è assunta in vista della “trasformazione” della Provincia in Città Metropolitana. L’iniziativa è rimessa ai Comuni, «ivi compresi i comuni capoluogo delle province limitrofe, ai sensi dell'articolo 133, primo comma, della Costituzione» (comma 6).
Il secondo tempo. Il secondo tempo consiste nell’istituzione delle Città Metropolitane le quali, come già accennato, acquisiscono funzioni e territorio delle Province e succedono a queste ultime in tutti i rapporti attivi e passivi (commi 6 e 16). Ciò dovrebbe avvenire, più precisamente, il 1° gennaio 2015 (comma 16), ad eccezione della Città Metropolitana di Reggio Calabria, per la quale il comma 18 statuisce che l’istituzione avverrà non prima del «duecentoquarantesimo giorno dalla scadenza degli organi provinciali». In questa fase, tuttavia, Province e Città Metropolitane coesisteranno, in quanto per l’abolizione delle prime sarà necessaria, come già ricordato, una legge di rango costituzionale. Va detto che, oltre alle funzioni provinciali, il nuovo ente metropolitano ha competenza, a norma del comma 44, nelle seguenti materie: adozione e aggiornamento annuale di un piano strategico triennale del territorio metropolitano, che costituisce atto di indirizzo per l'ente e per l'esercizio delle funzioni dei comuni e delle unioni di comuni compresi nel predetto territorio, anche in relazione all'esercizio di funzioni delegate o assegnate dalle regioni, nel rispetto delle leggi delle regioni nelle materie di loro competenza; pianificazione territoriale generale, ivi comprese le strutture di comunicazione, le reti di servizi e delle infrastrutture appartenenti alla competenza della comunità metropolitana, anche fissando vincoli e obiettivi all'attività e all'esercizio delle funzioni dei comuni compresi nel territorio metropolitano; strutturazione di sistemi coordinati di gestione dei servizi pubblici, organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito metropolitano; predisposizione dei documenti di gara, di stazione appaltante, di monitoraggio dei contratti di servizio e di organizzazione di concorsi e procedure selettive, d’intesa con i comuni interessati; mobilità e viabilità, anche assicurando la compatibilità e la coerenza della pianificazione urbanistica comunale nell'ambito metropolitano; promozione e coordinamento dello sviluppo economico e sociale, anche assicurando sostegno e supporto alle attività economiche e di ricerca innovative e coerenti con la vocazione della città; promozione e coordinamento dei sistemi di informatizzazione e di digitalizzazione in ambito metropolitano. Inoltre lo Stato e le Regioni «ciascuno per le proprie competenze, possono attribuire ulteriori funzioni alle città metropolitane in attuazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui al primo comma dell'articolo 118 della Costituzione» (comma 46).
Il terzo tempo. La terza fase della riforma consiste, infine, nella definitiva soppressione della Provincia, alla quale subentra, così, in tutto e per tutto la Città Metropolitana. Tale soppressione, come già ricordato, è prevista dal d.d.l. cost. AS 1429 nel quale agli articoli 24, 27, 28, 32, viene statuita la cancellazione della parola “provincia” da tutte le disposizioni contenute nella Carta costituzionale ad eccezione di quelle riguardanti le Province autonome di Trento e di Bolzano. Va detto che, essendo il testo in esame ancora in corso di primo esame in commissione al Senato, non è affatto scontato che esso sarà approvato ed entrerà in vigore. Se ciò non dovesse avvenire, Provincia e Città Metropolitana continueranno a coesistere con territorio e funzioni pressoché identiche finché una legge non interverrà per redistribuire le funzioni o non verranno attivate le procedure previste dall’art. 133 Cost. per la ridefinizione dei confini provinciali o, in alternativa, non verrà approvata una legge di revisione costituzionale che abolisca uno dei due enti.
La Città Metropolitana. Qualche parola deve essere spesa per definire la Città Metropolitana, ente poco conosciuto a causa del fatto che, pur essendo previsto “sulla carta” dal 1990 (legge n. 142/1990), non è mai stato istituito. Il concetto di Città Metropolitana trova origine nel dibattito, cominciato soprattutto negli Stati Uniti d’America a partire dagli anni ’20-’30 del secolo scorso e poi diffusosi anche nel Vecchio Continente, sull’inefficienza amministrativa data dalla micro-frammentazione comunale di aree territoriali che invece, da un punto di vista urbanistico-funzionale, formavano un corpo unico. Si postulò così l’esistenza di realtà di fatto, chiamate dagli economisti “metropoli” o “aree metropolitane”, costituite da un insieme di agglomerati urbani accomunati dalla necessità di una gestione amministrativa centralizzata o almeno dall’esigenza di adottare forme di inter-comunalità più efficienti rispetto alle capacità delle singole amministrazioni.
In alcuni Paesi, quali la Francia o l’Italia, si è optato per una soluzione “strutturalista”, vale a dire per la creazione di un “ente metropolitano” (Métropole in Francia, Città Metropolitana in Italia) chiamato a gestire in maniera unitaria tutta l’area metropolitana di riferimento. Di fatto si tratta di una forma più evoluta di inter-comunalità: non sono più i Comuni che si associano, come nella Unione dei Comuni, ma è un ente superiore (lo Stato o la Regione) che li riunisce in un unico “ente metropolitano”, trasformandoli in ripartizioni di quest’ultimo. La Città Metropolitana è stata poi “costituzionalizzata” nel 2001 ricevendo l’attribuzione dello status di ente locale autonomo e costitutivo della Repubblica. In un secondo momento la Città Metropolitana ha subito a causa del dibattito politico intorno alle Province un progressivo snaturamento della sua natura fino ad essere intesa non più come forma evoluta di inter-comunalità bensì come ente “alternativo” alla Provincia. Tale “snaturamento” è probabilmente dovuto all’individuazione in seno all’opinione pubblica delle Province come luogo di sprechi sicché è divenuto elettoralmente conveniente prometterne l’abolizione. La necessità, tuttavia, di prevedere un ente di governo intermedio ha portato ad una soppressione solo fittizia delle Province “sostituite” dall’istituzione delle Città Metropolitane.
Secondo la nuova concezione, quindi, l’ente in esame sarebbe destinato a governare non più le aree metropolitane, che vengono lasciate alla loro inefficienza amministrativa, bensì le aree vaste provinciali, rispetto alle quali la Città Metropolitana dovrebbe prendere il posto della Provincia. È questa, ad avviso dello scrivente, la concezione che ispira la legge n. 56/2014. Ciò spiegherebbe, tra l’altro, per quale motivo la legge in esame è “associata” ad un disegno di legge costituzionale: poiché la Città Metropolitana non è stata, in origine, predisposta per sostituirsi alle Province, è necessaria l’abolizione di queste ultime per consentire tale sostituzione, rendendo lo snaturamento dell’ente metropolitano compatibile con la lettera del dettato costituzionale.
Qualche spunto critico. Pur essendo senz’altro condivisibile lo spirito che anima la legge in esame, vale a dire quello di riorganizzare il sistema degli enti locali, perseguendo l’obiettivo di un incremento dell’efficienza del sistema di governo locale, alcune delle misure proposte lascia qualche perplessità. Innanzitutto è dubbio che la potestà istitutiva dell’ente metropolitano spetti alla legge statale e non a quella regionale. Prevalente dottrina, nonché lo stesso ex Presidente del consiglio E. Letta, nella relazione con la quale il d.d.l. cost. AC 1543 è stato presentato, ritengono che l’art. 117, II c., lett. p), a norma del quale lo Stato ha legislazione esclusiva in materia di normativa elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali delle Città metropolitane, non copra anche la potestà istitutiva, che sarebbe quindi lasciata ex art. 117, IV c., alle Regioni. Ciò espone buona parte della riforma in esame agli effetti di una eventuale futura declaratoria di incostituzionalità. In secondo luogo non convince questa nuova concezione della Città Metropolitana come ente “sostitutivo” e “alternativo” della Provincia, che rischia di tradursi in un mero “scambio di etichette”, che non risolve né l’inefficienza amministrativa delle aree metropolitane, né la originaria incoerenza territoriale e funzionale delle aree provinciali. A questo proposito risulta anche inadeguata l’utilizzazione della procedura ex art. 133 Cost. per l’eventuale ridefinizione dei confini territoriali delle aree vaste, in quanto non obbliga i soggetti interessati a seguire criteri di efficienza amministrativa, e lascia aperta l’ipotesi di una riorganizzazione ancora più inefficiente dell’attuale in quanto basata unicamente su criteri politici. Altra conseguenza discutibile dello snaturamento dell’ente metropolitano, risiede nel fatto che il “terzo tempo”, o “terza fase della riforma”, sia affidata ad un evento futuro e quanto mai incerto, quale l’approvazione di una legge di revisione costituzionale. Se quest’ultima non fosse mai approvata, si verificherebbe una situazione di coesistenza tra Provincia e Città Metropolitana dalla quale, come già ricordato, sarebbe molto difficile uscire e che darebbe vita a un problematico patchwork istituzionale. Infine, deve senz’altro richiamarsi l’aspetto senz’altro più delicato della riforma, non a caso criticato da dottrina assolutamente prevalente, vale a dire quello della compressione della democraticità del governo di area vasta, dato dall’impossibilità dell’elezione diretta degli organi degli enti provinciali e metropolitani. Se è vero che questa soluzione può essere, forse, giustificata in termini di efficacia – non si ritiene il “popolo” in grado di scegliersi i rappresentanti migliori, quindi si lascia ai politici il compito di scegliersi tra di loro – è vero anche che la Costituzione prevede, all’art. 5, che la Repubblica «riconosca» e «promuova» le «autonomie locali». Impedire l’elezione degli organi di governo locale sembra andare esattamente nella direzione opposta. Inoltre non bisogna scordare che la compressione della democrazia può portare ad una eguale compressione dei diritti dei cittadini. Come aveva scritto già nel 1954 Carlo Esposito (Autonomie e decentramento nella Costituzione italiana, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p. 81) «la solenne proclamazione che la Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali non solo riassume, ma anche garantisce questo diritto dei cittadini a partecipare attivamente alla vita degli enti territoriali». Sembra difficile immaginare una “partecipazione attiva” che non comprenda la possibilità di eleggere direttamente i governi locali.