1. Il caso
La Corte di Appello di Palermo - in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Procuratore Generale ed in riforma della sentenza emessa in primo grado dal locale Tribunale che aveva dichiarato Antonio Antinoro colpevole del reato di cui all’art. 96 d.P.R. n. 361/1957 e condannato alla pena di due anni e sei mesi di reclusione - dava una diversa qualificazione in iure della condotta, ascrivendola nell’alveo della fattispecie di scambio politico-mafioso ex art. 416- ter c.p. e rideterminava la pena inflitta in primo grado nella misura di sei anni di reclusione. La Corte, in base al materiale probatorio acquisito, riteneva provata l’esistenza di un accordo elettorale intervenuto tra l’Antinoro, candidato per il partito UDC all’Assemblea Regionale Siciliana ed al Senato e l’articolazione mafiosa di Cosa Nostra.
La Sesta Sezione Penale della Suprema Corte, il 3 giugno 2014, con la sentenza in commento ha annullato la condanna con rinvio ad altra sezione della Corte territoriale per un nuovo giudizio.
2. Il principio di diritto enunciato
“Nel contesto di una significativa riformulazione della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 416-terc.p., il legislatore della novella. n. 62 del 2014, oltre alla estensione dell’ambito della controprestazione di chi ottiene la promessa di voti da parte di organizzazioni mafiose ad « altre utilità»,è intervenuto anche sul contenuto delle promesse oggetto di pattuizione. Nell’ introdurre la locuzione «procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416-bis» il legislatore, contrariamente a quanto emerso in sede di lavori preparatori, ha di fatto normativizzato quel filone ermeneutico presente nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui è necessario che la promessa abbia ad oggetto il procacciamento dei voti nei modi, con i metodi e secondo gli scopi dell’organismo mafioso. Si desume, pertanto, che ai sensi del nuovo art. 416-terc.p. viene sicuramente introdotto un nuovo elemento costitutivo nella fattispecie incriminatrice tale da rendere penalmente irrilevanti condotte consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano contemplato tali concrete modalità di procacciamento dei voti.Ne deriva che, ai fini della punibilità, vi deve essere stata piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di aver concluso uno scambio politico-elettorale implicante l’impiego, da parte del sodalizio mafioso, della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori».
3. Il commento
La sentenza in commento ha fatto il punto sulla fattispecie di cui all’art. 416-ter a seguito della riforma di cui alla legge n. 62/2014, in particolare in merito alle modalità di procacciamento dei voti ai fini della configurabilità del reato de quo.
Ripercorrendo brevemente le tappe della sua evoluzione, la fattispecie incriminatrice in parola si inserisce in un quadro normativo le cui origini risalgono al 1992. Più approfonditamente, l’art 11-ter del d. l. n. 306/1992, convertito in l. n .356/1992, ha aggiunto nel c.p. l’art. 416-ter rubricato “Scambio elettorale politico-mafioso” .
Con l’introduzione di siffatta norma si è inteso opporre un freno alle interferenze delle congregazioni di stampo mafioso nella normalità della vita democratica in modo da salvaguardare i cardini su cui regge il nostro sistema repubblicano con la garanzia che l’accesso alle cariche elettive avvenga in regime di parità tra i contendenti.[1]
La prescrizione in analisi, pertanto, rientra nella categoria dei reati plurioffensivi poiché, insieme all’interesse all’ordine pubblico, è deputata a presidiare il principio di legalità democratica e rappresentativa delle istituzioni politiche.
Il testo normativo nella sua prima formulazione, tuttavia, non appariva soddisfacente posto che, per la punibilità del fatto criminoso, presupponeva che la controprestazione fosse costituita esclusivamente da una somma di denaro. Ne discendeva che il suo campo di applicazione appariva esiguo, per non dire lacunoso, determinando un vero e proprio vuoto di tutela di fronte ad un composito ventaglio di casi, di frequente verificazione, in cui il compenso offerto a fronte della promessa di voti si sostanziava in vantaggi diversi dalla pura materia monetaria ( appalti, posti di lavoro, incarichi professionali).[2]
In questa direzione si è mosso il legislatore della novella del 2014 che, nel riformulare l’art. 416-ter, ha superato il limite della necessità della erogazione di denaro ai fine della consumazione del reato mediante il ricorso, come contropartita del pactum scleris, anche ad” altre utilità”.Infatti la nuova disposizione prevede che: ” Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma”.
Si tratta di un reato di pericolo[3] che si consuma nel momento in cui all'erogazione o all'offerta di denaro o di altra utilità corrisponde la promessa di voti, indipendentemente dall'effettivo concretarsi della stessa. La successiva eventuale raccolta di voti e le modalità con cui è avvenuta giuridicamente costituiscono un post factum penalmente irrilevante. Un'altra importante novità consiste nella struttura bilaterale del reato, cioè nella punizione (ultimo capoverso) con la medesima pena a colui che promette di procurare i voti. La promessa di voti deve essere intesa non tanto come scelta elettorale degli appartenenti al sodalizio mafioso (il c.d. voto di cosca), ma soprattutto come promessa di far votare terzi, avvalendosi della forza intimidatrice del potere mafioso. Il disvalore del fatto non sta nello scambiare contro denaro i voti appartenenti alla cosca, intesi anch'essi come membri del corpo elettorale (per sanzionare questo contegno sarebbe stato sufficiente il reato di corruzione elettorale), quanto nel promuovere la presenza intimidatoria della mafia nella competizione elettorale allo scopo di condizionarla.
Se colui che richiede la promessa è un appartenente ad un'associazione di tipo mafioso o un concorrente esterno con la medesima[4], la condotta va collegata al reato di cui al comma terzo dell'art. 416-bis c.p.
Elemento controverso della nuova formulazione riguarda le modalità per dar vita all’accordo di scambio, alla luce del richiamo dalla norma operato all’art.416-bis c.p.
Sul punto i giudici della sesta sezione della Suprema Corte hanno affermato il seguente principio : «Ai sensi del nuovo articolo 416- ter c.p. le modalità di procacciamento dei voti debbono costituire oggetto del patto di scambio politico-mafioso, in funzione dell’esigenza che il candidato possa contare sul concreto dispiegamento del potere di intimidazione proprio del sodalizio mafioso e che quest’ultimo si impegni a farvi ricorso, ove necessario». In assenza di siffatto potere intimidatorio, pertanto, si integra la fattispecie meno grave di corruzione elettorale, punita quindi con pene inferiori (artt.96-97 DPR. n. 361/57).
Si va cosi superando quell’annoso contrasto giurisprudenziale tra coloro che ritenevano che, ai fini dell’integrazione del reato, non fosse sufficiente l’elargizione di denaro essendo invece necessario il ricorso alla forza intimidatrice e coloro che, a contrario, risultavano inclini a svincolare la configurabilità dell’art. 416 ter c.p. dall’accertamento del concreto esplicitarsi dell’oppressione mafiosa.
La linea interpretativa fatta propria dalla Suprema Corte appare pienamente condivisibile alla luce della formulazione letterale della nuova disposizione e dei lavori preparatori che hanno preceduto la sua entrata in vigore.
Se, infatti, nella Relazione Parlamentare alla proposta di legge si sottolineava proprio come «l’ulteriore (diabolica) necessità di provare l’utilizzo del metodo mafioso, che non attiene alla struttura del reato, riconducibile ai delitti di pericolo ovvero a consumazione anticipata, rischiava di vanificare la portata applicativa della disposizione», il testo che sanzionava l’accettazione del procacciamento dei voti con modalità previste dal terzo comma dell’art.416-bis non è più stato modificato ed è diventato legge.
Ciò dimostra –ad avviso egli Ermellini– come la locuzione definitivamente inserita nel nuovo testo (ossia il riferimento alle modalità mafiose) abbia costituito oggetto dispecifica ponderazione da parte del Parlamento e che «il mantenimento sia stato ritenuto funzionale all’esigenza di punire non il semplice accordo politico-elettorale, bensì quell’accordo avente ad oggettol’impegno del gruppo malavitoso ad attivarsi nei confronti del corpo elettorale con le modalità intimidatorie tipicamente connesse al suo modo di agire. Ne deriva che, ai fini della punibilità, vi deve essere stata piena rappresentazione e volizione da parte dell’imputato di aver concluso uno scambio politico-elettorale implicante l’impiego, da parte del sodalizio mafioso, della sua forza di intimidazione e costrizione della volontà degli elettori».
Una circostanza difficile da provare concretamente che reca in sé tutti i rischi che la nuova variante normativa, più volte rimaneggiata in sede di stesura e salutata con favore dal mondo della politica e delle istituzioni, rappresenti l’ennesima occasione perduta per una repressione efficace del reato di scambio politico-mafioso come emerge dalla sua prima applicazione.
[1] Ingroia, A., L’associazione di tipo mafioso, Milano, 1998, 87.
[2] Fiandaca,G., Riflessi penalistici del rapporto mafia-politica, in Foro it., 1993.
[3] Cavaliere, A., Lo scambio elettorale politico-mafioso, in AA.VV., Delitti contro l’ordine pubblico, a cura di S. Moccia, Napoli, 2007, 642
[4] De Francesco, G., Paradigmi generali e concrete scelte repressive nella risposta penale alle forme di cooperazione in attività mafiose, in Cass. Penale 1996,3497.