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RIFLESSIONI A MARGINE DELLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 43130 DEL 15 OTTOBRE 2014 IN TEMA DI MISURE CAUTELARI PERSONALI: LA PERICOLOSITA’ SOCIALE DELL’INDAGATO NON E’ ESCLUSA DALLO STATO DI INCENSURATEZZA

by Dott.ssa Dalila Dell'Italia on12 Gennaio 2015

Con sentenza n. 43130 del 15 ottobre 2014, la II sezione della Corte di Cassazione ha statuito sulla compatibilità tra pericolosità sociale del reo, requisito imprescindibile per l’applicazione di misure cautelari personali, ed incensuratezza.

In punto di fatto, il G.I.P. del Tribunale di Salerno, con riguardo alla richiesta avanzata dal P.M. di applicazione di misure cautelari nei confronti di vari soggetti per delitti di riciclaggio, la rigettava nei confronti di uno di essi, la Sig.ra C.T. poiché, pur ritenendo sussistente la gravità indiziaria, escludeva il pericolo di reiterazione della condotta criminosa.

Proposto appello dall’organo dell’accusa avverso l’ordinanza di rigetto, il Tribunale salernitano, in parziale accoglimento del gravame, disponeva nei confronti della predetta indagata la misura cautelare degli arresti domiciliari.

La C. propone ricorso per cassazione.

Deduce la violazione dell’art. 274, lett. c), c.p.p. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, per essere stata ritenuta sussistente la sua pericolosità sociale senza l’individuazione di concrete condotte rivelatrici di una elevata probabilità di perpetrazione di reati della stessa specie e senza un esame dettagliato della sua personalità, dandosi rilievo unicamente al fatto criminoso contestato – la Sig.ra, in qualità di Dottoressa commercialista, avrebbe partecipato, secondo l’ipotesi accusatoria, alle operazioni di schermatura e ripulitura del denaro di provenienza illecita riferibile ad altro correo.

Deduce, ancora, la violazione dell’art. 275 c.p.p., nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto alla scelta della misura cautelare. In particolare la ricorrente reputa inosservati i criteri di proporzionalità, adeguatezza e minor sacrificio della libertà personale, stante l’occasionalità della condotta da lei tenuta da un lato e l’impossibilità oggettiva di ripeterla, considerato che la stessa indagata era stata ben presto sostituita da un altro commercialista.

La Suprema Corte rigetta il ricorso concludendo per l’infondatezza di entrambi i motivi addotti.

1.      Il principio di diritto enunciato dalla Cassazione

“Lo stato di incensuratezza non dimostra automaticamente l’assenza di pericolosità, potendo questa essere desunta, come espressamente previsto dall’art. 274 lett. c) cod. proc. pen., dai comportamenti e dagli atti concreti dell’agente quale specifico elemento significativo per valutare la personalità dell’agente. (Cass. sez. VI 2 ottobre 1998 n.2856, Mocci; sez.VI 21 novembre 2001 n. 45542, Russo; sez. III 13 novembre 2003 n. 48502, Plasencia; sez. IV 6 novembre 2003 n. 12150, Barbieri; sez. V 5 novembre 2004 n. 49373, Esposito; sez. III 18 marzo 2004 n. 19045, Ristia; sez. IV 19 gennaio 2005 n. 11179, Mirando; sez. IV 3 luglio 2007 n. 34271, Cavallari).Ai fini dell’affermazione della sussistenza del pericolo di reiterazione del reato, inoltre, questa Corte ha affermato che ben possono porsi a fondamento della valutazione della personalità dell’indagato le stesse modalità del fatto da cui è stata dedotta anche la gravità (Cass. sez. V 12 marzo 2013 n. 35265, Castelliti)”.

[…] è comunque consolidato il principio giurisprudenziale – condiviso dal collegio, richiamato espressamente anche nell’ordinanza impugnata e riaffermato anche di recente (Cass. sez. VI 5 aprile 2013 n. 28618, Pmt in proc. Vignali; sez. IV 10 aprile 2012 n. 18851, P.M., p.o. e Schettino; sez. I 3 giugno 2009 n. 25214, Pallucchini; sez. III 26 marzo 2004 n. 26833, P.M. in proc. Torsello; sez. I 20 gennaio 2004 n. 10347. Catanzaro) - che in tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione del pericolo di reiterazione del reato, il requisito della concretezza non si identifica con quello dell’attualità, derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, ma con quello dell’esistenza di elementi concreti sulla base dei quali è possibile affermare che l’indagato possa commettere delitti della stessa specie di quello per cui si procede, e cioè che offendono lo stesso bene giuridico.[…].

Peraltro il tempo trascorso dalla commissione del reato non esclude automaticamente l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione, che può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., tra i quali le modalità e la gravità del fatto, sicché deve essere considerato non il tipo di reato o la sua ipotetica gravità, ma situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato (Cass. sez. II 8 ottobre 2013 n. 49453, Scortechini e altro; sez. IV 24 gennaio 2013 n. 6797, Canessa; sez. IV 26 giugno 2007 n. 6717, Rocchetti).

Alla luce del citato orientamento giurisprudenziale e posta la specifica differenza tracciata nella pronuncia in esame tra concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione del reato, la condotta concreta dell’imputato, dunque le modalità del fatto-reato, è suscettibile di essere vagliata sotto una duplice prospettiva: come elemento da cui ricavare la gravità del fatto nonché come fondamento da cui desumere il pericolo di reiterazione del crimen.

2.      Commento

La sentenza della Cassazione che qui si commenta non può prescindere da una breve analisi delle condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari, delle esigenze alla base delle medesime e dei criteri di scelta che in concreto devono guidare il giudice nella loro applicazione.

A norma dell’art. 273 c.p.p. sono condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari, in positivo, la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza e, in negativo, l’assenza di scriminanti, di cause di non punibilità, di estinzione del reato o della pena.

Soffermando l’attenzione sul requisito preteso dal legislatore in positivo, sono gravi indizi di colpevolezza gli elementi a carico dell’indagato, di natura logica e rappresentativa, che, pur non provando oltre ogni ragionevole dubbio la sua penale responsabilità, consentono tuttavia, per la loro consistenza, di prevedere che attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare siffatta responsabilità, nel contempo fondando una qualificata probabilità di reità (Cassazione, Sezioni Unite, n. 11/1995). Non, dunque, elementi di prova già sufficienti a fondare un giudizio finale di colpevolezza, ma elementi probatori idonei a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati a lui addebitati.

L’art. 274 c.p.p. fissa le tre esigenze, tra loro alternative, che devono necessariamente ricorrere affinché il giudice possa applicare la misura cautelare personale. Esse sono strutturate secondo il comune denominatore del “pericolo”, nella duplice possibilità che il reo tenga una condotta che metta a rischio l’iter investigativo o possa delinquere nuovamente. Si tratta, in particolare, di: a) pericolo di inquinamento probatorio; b) pericolo di fuga; c) pericolo o di reiterazione dello stesso reato per cui si ritiene di disporre la limitazione o restrizione di libertà, o di commissione di gravi delitti contro l’ordine costituzionale, commessi con l’uso di armi o violenza, o ancora delitti di criminalità organizzata.

L’art. 275 c.p.p., infine, sancisce un principio di favor per l’indagato prescrivendo al giudice di disporre la misura cautelare che, secondo la specifica esigenza cautelare da soddisfare, risulti più idonea. Criteri ispiratori per il giudice sono, in tale contesto, l’adeguatezza della misura, in un’ottica di raffronto tra costi e benefici, la proporzionalità della misura all’entità del fatto ed il minor sacrificio possibile per il soggetto passivo.

Premesso il quadro normativo di riferimento, maggiore attenzione con riguardo al tema della compatibilità tra incensuratezza dell’indagato e sottoponibilità dello stesso a misure cautelari, va posta, stante il caso specifico esaminato dalla Cassazione, sull’art. 274, lett. c), c.p.p. In particolare sul rilievo preponderante che il legislatore ha attribuito alle specifiche modalità e circostanze ed alla personalità dell’agente, desumibile da comportamenti ed atti concreti.

Il principio di diritto enunciato lo scorso 15 ottobre conforta, invero, un orientamento ampiamente radicato in seno alla giurisprudenza di legittimità, come dimostrano i richiami a precedenti pronunce contenuti nella stessa sentenza n. 43130. La condotta tenuta dal colpevole in occasione del reato, pur nel necessario concorso con altri fattori, costituisce un elemento specifico significativo per poter valutare la sua personalità; è perciò legittima l’attribuzione di una duplice valenza alle modalità ed alle circostanze del fatto oggetto di indagine, sia sotto il profilo della valutazione della gravità del fatto che dell’apprezzamento della capacità a delinquere (ex multis, Cassazione n. 49373/2004 e n.  8534/2013).

Il dato normativo, tra l’altro, conferma questo assunto. La valutazione negativa della personalità dell’indagato può desumersi tenendo presente i criteri oggettivi e soggettivi stabiliti dettagliatamente dall’art. 133 c.p., tra cui gravità e modalità del fatto-reato (Cassazione n. 1384/2000).

Del resto, che l’assenza di precedenti penali sia un dato che il giudice considera di notevole, ma non sempre primaria importanza, è attestato anche in altro campo strettamente applicativo, quello della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Sia la giurisprudenza di merito che i Giudici di Piazza Cavour, infatti, hanno ritenuto che l’incensuratezza, pur proiettandosi in modo favorevole sulla personalità dell’imputato, non è sufficiente ad orientare il giudicante in senso positivo, cosicché, in assenza di ulteriori circostanze che la supportino, non può fondare il riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis c.p. Ribaltando quanto ha costituito jus receptum per anni, in particolare, la Corte di Cassazione (sentenza n. 6102/2014) ha concluso che è lo stesso dato normativo, il comma 3 dell’art. 62 bis, c.p., ad escludere che lo stato di incensuratezza possa, per ciò solo, essere posto a fondamento della circostanze attenuanti generiche.

Sembra logico concludere che il comportamento virtuoso dell’indagato o imputato antecedente alla commissione del fatto di reato sia per così dire “relativizzato” tanto dal legislatore, a monte, quanto dalla giurisprudenza in sede applicativa. Per un verso, infatti, ed in riferimento al caso oggetto di attenzione, l’assenza di precedenti penali non osta all’applicazione di misure privative o comunque restrittive della libertà personale, poiché la considerazione delle specifiche modalità e delle concrete circostanze di manifestazione del fatto-reato, unitamente alla personalità dell’indagato come desumibile da atti e comportamenti concreti, già radica un giudizio di pericolosità in capo al reo. D’altra parte, l’incensuratezza neppure è di per sè sola sufficiente a far beneficiare il condannato di una riduzione sanzionatoria.

Ultima modifica il 12 Gennaio 2015