Pubblicato in Altri diritti

Sostituzione dell’arresto e dell’ammenda con il lavoro di pubblica utilità nel codice della strada

by Dott. Dario Curti e dott. Pasquale Manili on10 Febbraio 2016

Con la sentenza n. 198 del 2015 la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di costituzionalità 

sollevata dal Tribunale Ordinario di Rovereto in ordine alla disciplina ex art. 186, comma 9 bis del D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, in riferimento all'art. 3 Cost.

La disposizione di cui sopra prevede, sempre che non si sia verificato un incidente stradale,  che il giudice possa sostituire le sanzioni penali dell'arresto e dell'ammenda con la sanzione del lavoro di pubblica utilità. In tale procedura premiale, ad esecuzione della pena ultimata con esito positivo, il giudice dell'esecuzione dichiara estinto il reato e dimezza la sospensione della patente di guida (ex art. 186, comma 2, lett. c), terzo periodo, CdS).

Il punctum dolens, secondo il rimettente, è la parte in cui non si prevede, in caso di svolgimento di esito positivo del lavoro di pubblica utilità, che la riduzione della metà della sanzione accessoria della sospensione della patente, irrogata in misura doppia in caso di veicolo appartenenti a terzi estranei al reato (e pertanto non suscettibile di confisca), possa essere applicata senza tener conto dell'indicato raddoppio. In altre parole quello che il giudice a quo sostiene lesivo del principio di eguaglianza è il differente trattamento sanzionatorio, il quale si baserebbe esclusivamente sulla circostanza inerente la proprietà o meno del veicolo in capo al reo.

Orbene ciò che viene posto all'attenzione dei Giudici della Consulta non concerne il  distinto trattamento sanzionatorio riservato alle due condotte messe a confronto, ma gli esiti finali determinati dalle diverse previsioni sanzionatorie, laddove intervenga il meccanismo premiale di cui al comma 9 bis dell'art. 186 CdS, vero e unico fulcro della questione di legittimità costituzionale sollevata. 

Proprio con riguardo a tale ultimo aspetto della vicenda occorre osservare, però, che, sebbene il rimettente proponga una disamina dei fatti e dei connessi aspetti di diritto alquanto precisa e ben scandagliata nei vari passaggi giuridico-logici, le conclusioni alle quali giunge possono risultare, in più punti, controvertibili.

A tal proposito, anzitutto, la Corte Costituzionale ha ritenuto giustificato il criterio di bilanciamento punitivo adoperato dal legislatore nell’ambito delle due distinte condotte messe a confronto dal G.I.P. del Tribunale Ordinario di Rovereto e, nel contempo, ha escluso ogni effetto lesivo del principio di pari trattamento delle situazioni giuridiche (art. 3 Cost.).

Sul punto, i Giudici della Consulta hanno valutato la scelta operata dal legislatore, circa la disposizione normativa sottoposta a censura dal rimettente, ragionevole e lecita, traendo le seguenti osservazioni principali: 1) “le determinazioni concernenti il complessivo trattamento sanzionatorio di qualunque reato.. sono il frutto di apprezzamenti tipicamente politici”; 2) il diverso trattamento sanzionatorio di “partenza” non risulta affetto da vizi di irragionevolezza ed arbitrio ed, al pari, non può non conseguirne uno altrettanto divergente e lecito anche all’esito positivo dello svolgimento del lavoro di pubblica utilità; 3) ciascuna delle sanzioni di partenza, associate alle due diverse fattispecie messe a confronto, risulta distinta “per ragioni obiettivamente rilevanti” e, dunque, l’effetto premiale, successivo al corretto compimento del lavoro di pubblica utilità, non può incidere sulle medesime nella stessa misura poiché, in caso contrario, risulterebbe ingiustificata la collocazione dell’agente, dell’una e dell’altra ipotesi di reato, sullo stesso piano punitivo.

Oltre alle considerazioni elaborate dalla Corte Costituzionale, in merito alla vicenda esaminata, occorre tener conto anche di ulteriori valutazioni che arricchiscono il “quadro probatorio” della ragionevolezza e liceità della norma censurata dal rimettente e che si intersecano alle prime.

In primo luogo, come già osservato, le due distinte condotte oggetto di confronto divergono, considerevolmente, fin dall’inizio del loro compimento, per alcuni significativi aspetti; ciò, comporta una netta diversità sul piano della rispettiva gravità oggettiva e soggettiva.

Ebbene, nell’ipotesi in cui il reo sia anche proprietario del veicolo condotto in stato di ebbrezza la capacità lesiva di tale illecita azione appare indirizzata verso la sola sicurezza delle persone nella circolazione stradale (art. 140, D.Lgs. n. 280/1992), quale bene giuridico tutelato dall’art. 186 CdS. Diversamente, nella circostanza in cui il soggetto attivo, in parola, non risulti proprietario del predetto mezzo, allora, l’alveo degli effetti lesivi appare ben più ampio: oltre alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, invero, l’ulteriore bene giuridico ad essere aggredito ed offeso è rappresentato dal diritto di proprietà vantato dal terzo, estraneo al reato, proprietario del veicolo utilizzato per delinquere (Cass. pen. Sez. IV, 18 agosto 2010, n. 32405).

Dunque, inevitabilmente, la gravità soggettiva ed oggettiva di quest’ultima condotta appare nettamente maggiore rispetto al caso in cui il reo fosse il proprietario del mezzo utilizzato per delinquere.

Infine, quale ultimo punto di osservazione a favore e giustificazione del diverso trattamento legislativo contestato dal rimettente, andrebbe considerata anche la non irrilevante casistica in cui il soggetto attivo sia a conoscenza del previsto provvedimento di confisca del proprio mezzo, qualora colto in guida in stato di ebbrezza, e, pertanto, al fine di eludere tale deterrente normativo decida di appropriarsi di un veicolo di altrui proprietà, senza il consenso del legittimo proprietario.

Un’ipotesi non inverosimile visto che, come osservato dalla adita Corte Costituzionale, parrebbe essersi diffusa notevolmente dopo l’introduzione della previsione della confisca obbligatoria del mezzo.

Ultima modifica il 11 Febbraio 2016