Pubblicato in Altri diritti

La clausola compromissoria nel sistema di giustizia sportiva

by Avv. Laura Vasselli on28 Dicembre 2016

Sulla scia di una storica sovrapposizione concettuale e definitoria nell’ambito del diritto sportivo e del suo relativo sistema di giustizia, la clausola compromissoria

tende a coincidere con le dinamiche del c.d. vincolo di giustizia,  destinato a garantire l’effettività delle tutele all’interno del sistema ordinamentale delle federazioni sportive appartenenti al CONI.

Anche dal punto di vista meramente lessicale, l’insolito accostamento tra i procedimenti celebrati dinanzi agli organi di giustizia sportiva e l’arbitrato (che è istituto autonomo e indissolubilmente legato alla clausola compromissoria), lascia intendere che esso, comunque utilizzato per la risoluzione di alcune controversie sportive in alternativa alla giurisdizione statale, si contrappone al vincolo di giustizia che trae la propria identità giuridica proprio dalla apposita clausola compromissoria contenuta negli Statuti delle federazioni sportive, valida nel rispetto di quanto previsto  dall’art. 807 cod.proc.civ. e che prevede - come per il compromesso - la forma scritta ad substantiam[1].

Nella formazione del vincolo che qui occupa, la manifestazione di volontà delle parti di aderire al sistema di giustizia sportiva si rinviene nel contratto associativo che contiene la clausola compromissoria ed alla quale i soggetti del rapporto sportivo aderiscono mediante l’accettazione dello Statuto federale o sociale del sodalizio; ciò avviene contestualmente all’atto dell’affiliazione di associazioni e società e del tesseramento di persone fisiche, in primis gli atleti, oltre a tutti gli altri soggetti riconosciuti dal sistema.

In pratica, il vincolo di giustizia si traduce in una clausola contenuta nei diversi statuti federali, tramite i quali gli ordinamenti delle singole federazioni, all’atto dell’adesione, obbligano società e tesserati a demandare la risoluzione delle controversie sportive esclusivamente agli organi di giustizia sportiva interna, ad essi precludendo ogni altra impugnativa dei relativi provvedimenti autoritativi federali dinanzi alla giustizia statale, salvi i casi - e comunque previa autorizzazione federale - di lesione di interessi legittimi o di diritti soggettivi.

Nonostante la riforma del sistema di giustizia sportiva, il tenore dei  rinnovati principi deliberati dal Consiglio Nazionale del Coni il 15 luglio 2014 con la Deliberazione n.1519 è rimasto del tutto ambiguo[2]; difatti, dopo la riaffermazione della riserva alla giustizia sportiva per le controversie interne ed alle quali è stata assicurata “l’effettiva osservanza delle norme dell’ordinamento sportivo per la piena tutela dei diritti….” con le garanzie del contraddittorio e del giusto processo (art.2 commi 1-2 rubricato Principi del processo sportivo), si incontra il limite ad essa nei casi di “effettiva rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo” (art.1 comma 1 rubricato Scopi della giustizia sportiva), mentre - contestualmente - nel successivo principio di cui all’art.8 rubricato Clausola compromissoria, si legge invece, ancor più confusamente che “gli Statuti e i regolamenti federali prevedono che gli affiliati e i tesserati accettino la giustizia sportiva così come disciplinata dall’ordinamento sportivo”.

Detta palese contraddittorietà tra principi generali non ha di certo favorito le necessarie chiarificazioni su questo malinteso che da lungo tempo  forma oggetto di discussione da gran parte degli operatori del settore; anzi, ha ulteriormente rafforzato la commistione tra “vincolo di giustizia” e “arbitrato”.

E per meglio comprendere, è utile analizzare il testo del nuovo Statuto della FIGC che ha tentato di uniformarsi ai suddetti principi: l’art.30 (rubricato Efficacia dei provvedimenti federali, vincolo di giustizia e clausola compromissoria), stabilisce principalmente al comma 3 che “Le controversie tra i soggetti di cui al comma 1 o tra gli stessi e la FIGC, per le quali non siano previsti o siano esauriti i gradi interni di giustizia federale secondo quanto previsto dallo Statuto del CONI, sono devolute, su istanza della parte interessata, unicamente alla cognizione del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, in conformità con quanto disposto dallo Statuto e dai relativi regolamenti e atti attuativi, nonché dalle norme federali”, mentre al successivo comma 4 stabilisce invece che “Fatto salvo il diritto ad agire innanzi ai competenti organi giurisdizionali dello Stato per la nullità dei lodi arbitrali di cui al comma precedente, il Consiglio Federale, per gravi ragioni di opportunità, può autorizzare il ricorso alla giurisdizione statale in deroga al vincolo di giustizia. Ogni comportamento contrastante con gli obblighi di cui al presente articolo, ovvero comunque volto a eludere il vincolo di giustizia, comporta l’irrogazione delle sanzioni disciplinari stabilite dalle norme federali”.

Orbene, davvero non si comprende la ragione per la quale l’arbitrato, che rappresenta in assoluto lo strumento più idoneo a garantire l’autonomia del diritto sportivo, come tale destinata a sottrarre il più possibile le controversie alle ingerenze della giustizia ordinaria, non riesca a ricevere una connotazione più chiara e definita nel sistema ordinamentale dello sport; oltretutto, l’unica limitazione a cui sono assoggettati i Collegi arbitrali è quella della disponibilità dei diritti che costituiscono oggetto della materia del contendere.

Per mezzo della clausola compromissoria, possono infatti essere rimessi a specifici Collegi Arbitrali le risoluzioni di controversie sportive (che vengono di regola ripartite in amministrative, tecniche, disciplinari o economiche), originate dall’esercizio dell’attività sportiva medesima che potrebbero insorgere con altri soggetti aderenti alle Federazioni; il vincolo di giustizia obbliga infatti sia gli affiliati che i tesserati al rispetto delle decisioni degli organi di Giustizia Sportiva, mentre la clausola compromissoria rappresenta una vera e propria alternativa per l’associato rispetto al ricorso alla magistratura ordinaria che non è oggettivamente in grado di garantire le fondamentali esigenze di celerità decisionale che è invece indispensabile per consentire il veloce prosieguo delle competizioni sportive.

Effettivamente, si tratta di Collegi Arbitrali caratterizzati da competenze residuali, destinati a decidere su materie sottratte alla competenza degli organi di giustizia sportiva e comunque si è in presenza di una figura di arbitrato volontario, la cui fonte risiede nella libera scelta delle parti e non di imposizione proveniente dall’esterno, al di là degli aspetti procedurali che presentano ulteriori criticità, non affrontabili in questa sede.

Più precisamente, è pur vero che nell’individuare i confini delle tutele è necessario uniformarsi alla normativa costituzionale relativa alle situazioni giuridiche protette (artt. 24 e 111), mantenendo però particolare attenzione alle prerogative dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, come dettata dagli articoli 2 e 3 della legge n. 280 del 2003; come è indispensabile evitare il rischio che possano restare prive di tutela lesioni di diritti soggettivi o di interessi legittimi, è altrettanto necessario evitare altresì che si verifichino ingerenze tali da parte del giudice statale nell’ordinamento sportivo, tali da rendere impossibile sia l’esercizio che l’organizzazione stessa dello sport[3].

Resta quindi da chiedersi se l’arbitrato possa svolgere o meno un ruolo efficace per assicurare la tutela dei valori dello sport rispetto agli altri mezzi di risoluzione dei conflitti.

Con l’abolizione del TNAS (Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport) voluto dalla riforma del 2014, parrebbe che il Coni abbia inteso penalizzarlo in occasione della rivisitazione dell’intero sistema di giustizia sportiva, non tenendo conto, evidentemente, della ulteriore importante prerogativa che l’istituto garantisce in termini di uniformità delle decisioni, rese da esperti ed anche in tempi molto brevi.

Sono infatti ampiamente condivisibili le convinzioni di chi ha sostenuto che “…l’arbitrato debba essere nettamente distinto, sia dal punto di vista concettuale che da quello applicativo, dal vincolo sportivo. L’arbitrato è, secondo l’accezione che preferisco, un mezzo privato per accertare diritti soggettivi ed interessi legittimi compromettibili: esso sostituisce il rimedio giurisdizionale pubblico, assicurando una piena fungibilità con quest’ultimo. Per vincolo di giustizia, o pregiudiziale sportiva, intendo invece l’obbligo di rivolgersi agli organi endosportivi (siano essi endo o esofederali), per tutti i conflitti inerenti la materia sportiva, a prescindere dalla loro natura : proprio perchè si tratta di una “pregiudiziale[4].

Sul punto, non può farsi a meno di osservare - se pur brevemente - che la contestata natura giuridica dell’arbitrato sportivo lasci propendere per la sua irritualità supportata dalle intrinseche ragioni legate alla fonte contrattuale, anche se interessante era l’impostazione di chi aveva ritenuto che “una delle caratteristiche dell’arbitrato sportivo è quella di essere “amministrato”, intendendosi per esso quando le parti scelgono di svolgerlo secondo l’organizzazione e le regole previste da un’istituzione, che offre al pubblico (di settore) tale tipo di servizio[5].

Non può non farsi poi un espresso richiamo alla disposizione normativa di cui alla legge  17 ottobre 2003 n. 280 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, recante disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva) ove deve essere evidenziata la differenza fra le controversie sportive rilevanti e non rilevanti; l’arbitrato può essere costituito unicamente per la soluzione di controversie sportive di primo tipo e cioè per la soluzione di liti patrimoniali che possono essere devolute all’autorità giurisdizionale ordinaria e quelle aventi ad oggetto atti del Coni o delle Federazioni che siano lesivi di diritti soggettivi o di interessi legittimi.

Il vincolo di giustizia può invece riguardare potenzialmente entrambe le categorie di controversie.

Si pone, dunque, un inevitabile problema di alternatività tra “vincolo di giustizia” e “arbitrato”: le strade suggerite in astratto potrebbero essere tre: “…a) o si attua un concorso fra i due strumenti: dapprima il ricorso alla giustizia endosportiva e poi l’arbitrato, che impedisce di rivolgersi al giudice se non per la strada (stretta) dell’impugnazione del lodo; ­ b) oppure si sceglie in via esclusiva l’arbitrato, saltando direttamente i gradi di giustizia sportiva; ­ c) o infine si impone unicamente la pregiudiziale endosportiva, escludendo l’arbitrato, sicché la controversia sarà sempre riesaminabile dal giudice ordinario o amministrativo, a seconda del criterio di giurisdizione[6]”.

 Dall’analisi del sistema attuale di giustizia sportiva elaborato dal Coni pare che si intenda favorire la scelta arbitrale diretta per le liti di natura patrimoniale (come peraltro è sempre stata la regola in alcune federazioni come la F.I.P. - Federazione Italiana Pallacanestro) e che si voglia costituire una pregiudiziale di giustizia sportiva per le liti su decisioni delle federazioni e del Coni per via della loro natura intrinsecamente amministrativa, con successiva tutela giurisdizionale pubblica, senza peraltro escludere la possibile “arbitrabilità” degli interessi legittimi.

Per concludere sulla stessa linea, diversamente dal vincolo sportivo, il ricorso agli arbitri esclude quello al giudice statuale perché l’arbitrato rituale opera nel sistema di raccordo che si evince dagli artt. 817-819 ter cod.proc.civ.; dunque, anche qualora l’arbitrato fosse cumulato con il vincolo sportivo, resterebbe pur sempre la fondamentale differenza tra i due istituti.

Resta solo da comprendere se gli strumenti arbitrali scaturenti dalle clausole compromissorie costituiscano a loro volta un elemento di autonomia distinguibile come tale all’interno del sistema del diritto sportivo; l’unico aspetto di chiarezza è infatti offerto dai fondamenti della Carta che garantiscono anche ai protagonisti del mondo sportivo la salvezza incondizionata del diritto di accesso alla giustizia ordinaria ed amministrativa.

 


[1] Sul tema, innanzitutto A.MAIETTA, Lineamenti di diritto dello sport, Torino, 2016, p.126 ss, ma anche P. SANDULLI, M. SFERRAZZA, Il giusto processo sportivo, Milano, 2015, p. 62, ove si tratta l’aspetto della legittima difesa dell’ordinamento sportivo attraverso l’imposizione del vincolo di giustizia;  anche A. PALMIERI, In tema di controversie sportive, in Foro it., 2008, c. 597 ss., G. VIDIRI, Autonomia dell'ordinamento sportivo, vincolo di giustizia sportiva ed azionabilità dei diritti in via giudiziaria, in Corr. giur., 2007, p. 1115 ss e L.COLANTUONI, L’arbitrato sportivo (brevi cenni) e la competenza dei collegi arbitrali, in Altalex, 12.2.2011

[2] Come osserva correttamente E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Quel che resta dell’arbitrato sportivo (dopo il nuovo Codice della Giustizia Sportiva 2014), in Riv.Diritto Sportivo, Dottrina, 2015, facendo riferimento alle contraddizioni emerse a seguito della creazione dei nuovi statuti federali. 

[3] Così P.SANDULLI, Giustizia sportiva e giurisdizione statale, Relazione, con l’aggiunta delle note, svolta ad Atri (TE) il 6 novembre 2008, nel convegno di studi La riforma del sistema sportivo: attori, istituzioni e processi, organizzato dal dottorato di ricerca in Critica storica, giuridica ed economica dello sport Università degli studi di Teramo

[4] Testualmente, Elena ZUCCONI GALLI FONSECA, Arbitrato dello sport: una better alternative, tratto dalla relazione svolta il 3 dicembre 2015 a Roma, presso il Coni, durante il Convegno su “Il giusto processo sportivo”, in occasione della presentazione della Rivista di diritto sportivo.

[5] In questa direzione T.E.FROSINI, L’arbitrato sportivo:tra teoria e prassi, in Studi in onore di Marcello Foschini, 2011, che rielabora e amplia due relazioni: la prima, tenuta al convegno: “Giustizia sportiva e risoluzione arbitrale delle controversie nell’ordinamento italiano e internazionale” e svoltosi a Palermo il 20 e 21 novembre 2009; la seconda, tenuta al convegno: “Il Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport: aspetti processuali e sostanziali” e svoltosi a Parma il 12 febbraio 2010.

[6] Idem

Ultima modifica il 30 Dicembre 2016