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LO STATO DI NECESSITA’ E IL DELITTO DI UCCISIONE DI ANIMALI: “NON E’ PUNIBILE CHI UCCIDE IL CANE ALTRUI PER SALVARE IL PROPRIO”.

by Avv. Giusy Di Maio on07 Dicembre 2016

Ormai non v’è più alcun dubbio circa l’operatività della scriminante dello stato di necessità al delitto di uccisione di animali. 

La Suprema Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, con una recente sentenza che ha suscitato non poco scalpore, ha sancito che il soggetto che uccide un altro cane per proteggersi dalla sua aggressione non è punibile, ai sensi e per gli effetti dell’art. 54 C.p.

Gli Ermellini erano stati chiamati a pronunciarsi in relazione alla condotta di un uomo ritenuto in prima e in seconda istanza colpevole di aver ucciso un cane con un bastone appuntito.

Questi, 71enne di Piombino, mentre stava passeggiando con il proprio cane in una zona del centro abitato, si era imbattuto in un alano condotto senza museruola né guinzaglio. L’alano si era avvicinato al cane (di piccola taglia) dell’imputato e, di scatto, lo aveva aggredito furiosamente e gli aveva morso la cosa, procurandogli delle visibili ferite. L’imputato, al solo fine di salvare il proprio cane e di evitare che la situazione degenerasse, non sapendo come evitare gli attacchi dell’alano, scagliava il bastone che aveva con se contro l’altro cane, colpendolo nel fianco e provocando la di lui morte.

L’uccisore veniva condannato in primo e in secondo grado per il delitto di cui all’art. 544-bis C.p., ma la situazione si è totalmente ribaltata dinanzi ai Giudici del Palazzaccio, i quali hanno invece ritenuto operante nel caso di specie la scriminante dello stato di necessità.

In buona sostanza, il Supremo Consesso ha ritenuto sussistente nella situazione de qua un pericolo grave, imminente e inevitabile, dinanzi al quale la condotta dell’agente assume un  connotato tutt’altro che criminale. L’imputato, infatti, ha agito col solo scopo di difendere il proprio animale e, dinanzi la ferocia dell’alano, altro non avrebbe potuto fare per evitare conseguenze irreversibili per il proprio animale.

Secondo la Suprema Corte, la situazione di necessità che esclude la configurabilità del reato contestato comprende non solo la necessità di cui all’art. 54 C.p., ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione o al danneggiamento di animale per prevenire o evitare un pericolo imminente, o anche per impedire l'aggravamento di un danno giuridicamente apprezzabile alla persona propria o altrui o ai propri beni, quando tale danno l'agente ritenga altrimenti inevitabile.

Ancora. Secondo il Collegio di Legittimità, la decisione della Corte d'Appello è carente di motivazione oltre che manifestamente illogica poichè, affermando la responsabilità dell'evento in capo all'uomo per la sua deliberata intenzione di intimidire l'animale e poi di trafiggerlo con un colpo secco, ha scartato l'ipotesi dello stato di necessità in riferimento al delitto di uccisione di animali, nonostante nel ricorso fosse stato prospettato dall'imputato il fatto che egli aveva agito per difendere se stesso e il proprio cagnolino dall'aggressione dell'alano.

Il Collegio ha altresì precisato che il delitto di uccisione di animali delineato dall'art. 544-bis c.p si pone in continuità normativa rispetto al reato di cui all'art. 727 c.p. prima della riforma attuata dall’art. 1 comma 1 della legge n.189/2004.

In particolare, questo si configura come un reato a dolo specifico nel caso in cui la condotta lesiva dell'integrità e della vita dell'animale, che può consistere sia in un comportamento commissivo che omissivo, sia tenuta per crudeltà, mentre si configura a dolo generico quando essa è tenuta, come nel caso in esame, senza necessità.

Pertanto, la sentenza dei giudici di seconda istanza veniva annullata con rinvio.

La sentenza della Suprema Corte, nonostante basata su motivazioni che, in punto di diritto, potrebbero apparire valide e coerenti, non sarà di certo immune da dubbi e perplessità. A parere di chi scrive, infatti, seppur nel caso di specie sussistessero i presupposti richiesti dalla norma generale di cui all’art. 54 C.p. ( pericolo imminente e inevitabile), forti dubbi permangono circa la proporzionalità della condotta rispetto all’offesa.

E’ solo l’ennesimo caso in cui, forse, è stato fatto un uso un po’ “incauto” delle scriminanti, attraverso un’interpretazione probabilmente troppo estesa dei requisiti necessari richiesti dall’art. 54 C.p. richiesti inderogabilmente ed indefettibilmente ai fini dell’applicabilità dello stato di necessità al reato contestato.

Ultima modifica il 29 Dicembre 2016